Danza & arte: due appuntamenti a Milano e Reggio Emilia

Danza&arte: un dialogo in divenire

Ruby Onyinyechi Amanze a Reggio Emilia

La Collezione Maramotti di Reggio Emilia, da sempre attenta alla coreografia dei corpi tra gli

oggetti artistici e in relazione allo spazio della sua galleria ex industriale, ospita Ruby Onyinyechi Amanze alla sua prima personale italiana: How to be enough (fino al 25 luglio). Nata in Nigeria, cresciuta nel Regno Unito, attualmente in residenza tra Philadelphia e New York, la trentanovenne artista sperimenta per la prima volta la scala monumentale della Pattern room della Collezione con un’opera composta da 15 fogli di carta estesi a tutta altezza e larghezza sulla parete centrale. Un dipinto su carta che sul limbo di un fondale bianco si popola delle figure e degli oggetti familiari alla poetica di Ruby Onyinyechi Amanze: creature ibride, oggetti architettonici, piscine, motociclette, nuotatori, uccelli, sospesi e fluttuanti in uno spazio privo di gravità, protagonisti di una mitopoiesi di un diorama mitopoietico.

Ruby Onyinyechi Amanze, HOW TO BE ENOUGH, 2021. Tecnica mista su carta, particolare. Foto Roberto Marossi

© Roberto Marossi

Al rapporto tra oggetti e spazio l’artista guarda con gli occhi della coreografa, da grande appassionata di danza quel è sempre stata. «Ho pensato molto alla danza mentre posizionavo ognuno dei miei elementi sulla carta, proprio come se stessi creando una coreografia. Ogni elemento è per me come un danzatore, da muovere nello spazio, avanti e indietro; più ancora degli oggetti, i corpi umani e gli animali sono preminenti, con i loro gesti particolari. Sono più interessata al modo di raccontare storie non verbalmente, come accade appunto con la danza. E così io concepisco il disegno: proprio come un coreografo che orchestra tutti i suoi interpreti, singolarmente e nella loro totalità. E come un coreografo mi chiedo: “se oriento un oggetto in un modo o in un altro, cosa succede allo spazio intorno?”» ha detto l’artista. 

Ruby Onyinyechi Amanze, HOW TO BE ENOUGH. Collezione Maramotti, 2021. Foto Roberto Marossi

© Roberto Marossi

Tra i personaggi creati per la Maramotti c’è Ada the Alien: una danzatrice con il suo bel volto, le movenze feline delle donne africane e sotto l’abito fluido un piede scalzo che spunta in posa. Una figura che si direbbe preannunciare la svolta ormai in atto dell’artista figurativa in coreografa e performer. Se in altre sue mostre il gesto dell’artista impegnata a dipingere si faceva danza, alla Maramotti, il giorno dell’inaugurazione (domenica 20 giugno, su invito e online) Ruby Onyinyechi Amanze si esibirà in una vera e propria performance di danza, una coreografia che pur dialogando con l’opera esposta avrà anche vita autonoma. Un nuovo inizio che porterà forse l’artista dalle gallerie espositive ai palcoscenici dei teatri. Resta da vedere che cifra saprà trovare la nuova coreografa, se internazionale con il tocco anglosassone dei paesi dov’è cresciuta, o segnato dalla memoria delle sue radici afro. Proprio come un personaggio del dipinto della Collezione Maramotti, Audre the leopard: nuotatore con muso felino.

Ruby Onyinyechi Amanze. Foto Sahar Coston-Hardy

© © Sahar Coston-Hardy

(Informazioni) www.collezionemaramotti.org

Stefania Ballone e Chiara Ameglio a Milano

La danza entra invece al PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, per suggerire una nuova visione, ragionata ed emotiva insieme, di una mostra in corso. In Tracce di sé, il 22 giugno alle 18.30, la performance costruita intorno alle fotografie diLuisa Lambri (esposte fino al 19 settembre) ne amplifica estetica e senso. Un intento che ci spiega Stefania Ballone, ballerina al Teatro alla Scala, che insieme a Chiara Ameglio, danzatrice della compagnia Fattoria Vittadini, firma e interpreta le coreografie. «La nostra idea è traghettare il pubblico in un’esperienza visiva e sonora attraverso il percorso espositivo, dall’ingresso, alle sale, fino al parco adiacente. Ci ha subito colpite l’armonia tra il disegno architettonico dell’edificio e la natura che appare dalla grande vetrata, riecheggiata dalle fotografie in mostra, il cui sguardo apre orizzonti altri e nuovi punti di vista». Il richiamo della natura addomesticata dall’urbanistica cittadina risuona potente, anche grazie alla presenza di un’altra artista, coinvolta dalle coreografie stesse: la vocalist israeliana Yifeat Zif, che nel brano The Amazonian tracesof self integra ai suoni della foresta amazzonica musica brasiliana, metallica, digitale, con citazioni da John Cage e Meredith Monk. «Una musica immersiva che accompagna me e Chiara nella seconda parte del nostro percorso, quando dopo aver abitato ognuna una stanza, ci ritroviamo sulla passerella del Pac e ci scambiamo frasi coreografiche». Una corrispondenza che anche i costumi mettono in risalto, per l’occasione firmati da Stephan Janson che li ha pensati proprio sulle due interpreti. Stefania, che da tempo indossa le creazioni dello stilista nelle sue coreografie, li descrive come speculari nello scarto di alcuni dettagli, essenziali eppure eleganti, finemente tagliati, con tessuti che si muovono fluidi e luminosi sul corpo.

Stefania Ballone e Chiara Ameglio. Foto Sara Meliti

Oltre l’immagine, se coreografare insieme si direbbe difficile, l’intesa è nata subito tra le due danzatrici: «Non ci conoscevamo» continua Stefania «ed è da considerare il fatto che proveniamo da background molto diversi, nonostante l’incontro sul piano della coreografia. Eppure siamo riuscite ad esplorare i rispettivi movimenti e a fare dialogare i nostri corpi - questi sì molto simili - lavorando sul concept della mostra e lasciandoci ispirare dal processo creativo, dalle opere, dal luogo, fino a realizzare il nostro incontro». Tanto che l’intervento performativo delle due danzatrici e coreografe non resterà isolato alla mostra, ma nato su iniziativa del festival MilanOltre, troverà forma compiuta il prossimo autunno nella sezione “Affollate solitudini”.

Informazioni www.pacmilano.it

Stefania Ballone e Chiara Ameglio. Foto Sara Meliti

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