David Beckham: un film sulla sua vita, una casa di produzione e i figli

In collegamento dalla villa di Miami, David Beckham svela i prossimi progetti e qualche segretuccio di famiglia durante il MIPTV, il mercato internazionale delle serie tv

di Cannes che si sta svolgendo virtualmente in questi giorni. Durante un incontro online con la stampa, l’ex calciatore svela l’anima da imprenditore grazie al debutto della casa di produzione Studio 99.

David Beckham durante il collegamento

Raggiante in una semplicissima maglia bianca a maniche lunghe, gioca con la fede mentre chiacchiera a ruota libera, ripercorrendo i momenti migliori – e peggiori – della carriera calcistica, della relazione con la moglie Victoria, del rapporto con i quattro figli, del legame con i social media (sono 65,7 milioni i follower su Instagram) e dei sogni sul futuro.

Proprietario del Club Internacional de Fubtol Miami, fondatore di una società che si occupa di procure sportive, a soli 7 anni dal ritiro dal capo David Beckham ha ancora grandissime ambizioni e molta strada da fare. E, udite udite, sta preparando undocumentario autobiograficosui retroscena del suo successo e del privato.

È in ottima forma, come va la vita?
Dalla mattina di Natale mi trovo con la famiglia a Miami, sarei dovuto restare una settimana e invece sono ancora qui…

Un recente ritratto di David Beckham

Il ruolo di capofamiglia è quello a cui tiene di più?
Fare il genitore per me è “il” lavoro: i ragazzi restano la mia priorità. Victoria è una delle lavoratrici più infaticabili che io conosca, per questo ha avuto successo prima come Posh Spice e ora come imprenditrice. E a casa vogliamo dare l’esempio ai nostri figli.

In che modo?
Potremmo starcene tutto il giorno a poltrire, senza far nulla, invece ci piace lavorare e anche tanto, vogliamo che i ragazzi vedano le responsabilità e conoscano come funzionano gli affari. Comunque fare il papà è il lavoro che mi piace di più.

Qualunque cosa lei faccia, dica o indossi finisce sempre a dettare un trend. Le riesce naturale o lo pianifica?
Mai stato nulla di costruito. Ricordo che anche da bambino mi piacevano cose e stili diversi dai miei amichetti. Una volta dovevo fare il paggetto e i miei genitori mi hanno chiesto di scegliere tra un completo classico e uno stile più casual, io ho scelto le scarpette da ballo. Lo stesso vale per i capelli: mi sveglio la mattina e mi viene l’idea di tagliarli corti, di tingerli biondi o di stravolgere lo stile. Dipende da come mi alzo quel giorno…

Quanto è stato influenzato da sua moglie nel senso dello stile?
Se esci con Posh Spice è naturale entrare a contatto con l’industria della moda, ma a prescindere da come mi vestivo e dal colore dei capelli, mai e poi mai mi sono lasciato distrarre dai miei doveri sul campo. Il calcio durante la mia carriera è sempre venuto al primo posto.

Con Victoria

© Darren Gerrish

I suoifiglisono stilosi almeno quanto i loro genitori: è nel DNA della famiglia?
Mi fa davvero piacere vedere come i miei figli siano arrivati a quel punto della vita in cui prendono in giro me per come vi vesto. A volte mi guardano e mi chiedono: “Non sei troppo vecchio per questi pantaloni?”. Sono già diventati icone di stile, lanciano i loro trend e io sono affascinato da come usino anche la moda per esprimersi e da come scelgano passioni diverse.

I suoi genitori la lasciavano così libero?
Assolutamente. Non mi hanno mai detto che non potevo fare qualcosa, infatti mi vestivo come volevo, proprio come ho insegnato ai miei ragazzi.

Cos’altro ha imparato in famiglia? 
I miei genitori e miei nonni mi hanno sempre inculcato una profonda etica del lavoro, quindi sono loro grato per essere cresciuto come una persona sempre attiva e in movimento.

È vero che sta lavorando ad un documentario sulla mia vita?
Mi ha ispirato una delle mie icone sportive, Michael Jordan con il suo The Last Dance (su Netflix): da quando l’ho visto ho deciso che questo è il momento giusto per girare un progetto autobiografico. Sono a quel momento della vita in cui posso fare un punto, anche se ho tanti capitoli ancora da scrivere. Per ora ho messo insieme un gruppo di lavoro che mi aiuti, ma non ho ancora trovato il regista giusto. Vorrei mostrare un lato di me diverso, inedito.

Da sportivo, è naturale che sia uno che fa squadra o tende a isolarsi?
Sei bravo solo quanto le persone di cui ti circondi, quindi io metto sempre grande attenzione a scegliere i professionisti giusti di cui fidarmi, gente leale e dedicata al lavoro.

Lo sport di per sé è metafora di vita. Per questo girerà e produrrà per Disney+ la serie Save our squad?
Sì e non vedo l’ora di restituire quello che la vita mi ha donato. Sono felice di tornare a giocare nei luoghi in cui ho iniziato a calciare la palla da piccolo aiutando i bambini a trovare il loro talento anche grazie alla mia esperienza.

Con Harper, la figlia minore

© Instagram

Le manca giocare?
Mi manca ogni singolo giorno della mia vita, mi sveglio e continuo a desiderare di poter allenarmi ancora, ecco perché gli ultimi tre mesi della mia carriera di 22 anni sul campo me li sono proprio goduti. Il pallone non uscirà mai dalla mia vita. A 85 anni ancora sarò convinto di poter giocare a livello agonistico e chissà che non sia vero.

Si è ritirato a 38 anni eppure è più impegnato che mai
Sapevo che quello sarebbe stato il momento giusto per l’addio ma per il mio equilibrio avevo bisogno di buttarmi subito su qualcosa di diverso che mi tenesse occupato. Quello che faccio oggi mi fa star bene come allora, ma se ripenso all’ultima partita, con Victoria, i ragazzi, i miei genitori e i suoceri sugli spalti ancora mi emoziono. Ero preparato a tutto, ma non a quel grado di commozione.

E cosa ha fatto?
Ho pianificato tutto molto tempo prima. Il sabato ho giocato l’ultima partita a Parigi e l’indomani ero già a Miami ad annunciare il nuovo inizio con la squadra. E così ho preso le mie energie e le mie idee e le ho impegnate per competere ancora con i migliori, per lavorare duro e vincere trofei.

È questa l’eredità a cui è legato?
Mi piace l’idea di lasciare un segno. Come tutti i bambini desideravo avere una squadra di calcio tutta mia, dove potessi scegliere i giocatori, i colori delle maglie, il logo e tutto il resto. Beh, a Miami ci sono riuscito. Ecco perché ho deciso sin dal primo giorno di filmare tutto per poi realizzare un documentario sulla genesi di questo progetto.

Sembra un vulcano di idee, c’è qualche altra storia che vuole portare in tv?
Sto già producendo il documentario World War Shoe, la storia di un litigio tra fratelli che sfocia nella nascita di due aziende sportive rivali, Adidas e Puma. Avevano persino negozi uno di fronte all’altro nella stessa strada, non è pazzesco?

In famiglia

© Instagram

Stare sempre sotto i riflettori non è troppo? Persino sui social è attivissimo…
Per me è un bene perché decido io cosa condividere e so che al pubblico fa piacere persino se racconto del caffè del mattino o di un ristorante dove mangio. Non mi fraintendere, sono una persona discreta, ma se ho un interesse ne parlo volentieri. Ecco perché mi sono dato alla produzione. E ho preso esempio dal mio amico Ryan Reynolds che ha anche una compagnia di pubblicità. Se ci pensi, gli spot hanno fatto parte della mia vita a lungo, quindi perché non occuparmene anche da un lato produttivo? Per me ha senso ed è un’avventura eccitante. Cerco sempre di lasciarmi ispirare dai migliori, ecco perché cinque anni prima di appendere le scarpette al chiodo ho iniziato a pensare ad una nuova fase della mia vita ed eccomi qua, fortunato di poterla realizzare.

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