10 parole della moda sostenibile da conoscere ora
Magari vi siete presi l’impegno di fare in modo che il vostro guardaroba sia il più green possibile, ma navigare il mondo della sostenibilità è un’impresa
Essere un consumatore informato significa poter evitare il greenwashing e assicurarsi che i brand che scegliamo si stiano mobilitando davvero per contribuire alla salvaguardia del pianeta e che supportino chi realizza i capi che indossiamo. Fortunatamente, sono tante le risorse che ci vengono in aiuto guidandoci, tra cui The Sustainable Fashion Glossary creato da Condé Nast in collaborazione con il Centre for Sustainable Fashion (CSF) del London College of Fashion. “È estremamente importante che ci sia chiarezza e una comprensione condivisa nel linguaggio della moda per poter discutere delle grandi crisi interconnesse dei nostri tempi – quella ambientale, culturale e sanitaria”, ha dichiarato a Vogue Dilys Williams, direttrice del Centre for Sustainable Fashion. “Ciò che indossiamo dovrebbe riflettere ciò per cui ci battiamo e questo glossario può aiutarci a fare le scelte giuste in fatto di moda davvero ammirevole”.
Desiderate conoscere il vero significato di trasparenza o la differenza tra biodegradabile e compostabile? Niente paura! Ecco di seguito 10 termini essenziali da conoscere in vista della Giornata Mondiale della Terra (22 aprile) e oltre.
La moda deve ridurre la propria impronta di carbonio e farlo velocemente dal momento che il settore è responsabile del 4 -10% delle emissioni di gas a effetto serra generate ogni anno a livello globale. Questo è il motivo per cui sono sempre più numerosi i brand che adottano pratiche di carbon offsetting (compensazione delle emissioni di carbonio), investendo in progetti che hanno come obiettivo quello di ridurre le emissioni tramite la forestazione, per esempio. Tuttavia, il carbon offsetting (che spesso avviene nei Paesi in via di sviluppo) non è affatto la soluzione ideale e non deve distrarci dalla reale necessità che le aziende affrontino il problema dell’impronta di carbonio in maniera diretta.
Le microplastiche sono delle minuscole particelle di plastica che contribuiscono ad aumentare l’inquinamento del nostro pianeta. Tra i maggiori responsabili vi sono i capi di abbigliamenti sintetici tant’è che si stima che tra il 20 e il 35% delle microplastiche disperse nei nostri oceani venga proprio dai tessuti, causando danni irreversibili alla fauna marina che le inghiotte. Fortunatamente, esistono gesti quotidiani che possiamo compiere per ridurre il problema, come evitare i capi sintetici laddove possibile e utilizzare un filtro cattura microplastiche per la lavatrice, tra cui i sacchetti Guppyfriend o Cora Ball.
In generale, le fibre naturali, di origine vegetale o animale, sono più sostenibili di quelle sintetiche (derivate dai combustibili fossili) e includono il cotone, il lino e la lana. Ma anche le fibre naturali hanno un impatto ambientale di natura variabile; il cotone biologico che, per esempio, è meno dannoso rispetto al quello tradizionale o la pelle che ha un’impronta di carbonio maggiore rispetto al poliestere. Sebbene le fibre naturali siano di per sé biodegradabili, le sostanze chimiche con cui vengono trattate in fase di produzione potrebbero non esserlo (vedi sotto).
Vi sarete probabilmente accorti che sul mercato aumentano i prodotti descritti come ‘biodegradabili’, questo sia in riferimento al capo stesso che al packaging. E sebbene i materiali biodegradabili si scompongano in maniera naturale attraverso microorganismi come batteri e muffe, non ci sono garanzie. Infatti, diversi fattori come la temperatura e i nutrienti influiscono sulla biodegradabilità, ma anche le tinture e i finissaggi. Inoltre, occorre ricordare che biodegradabile e compostabile non sono sinonimi, e quest’ultimo richiede di norma un processo controllato.
Con la maggior consapevolezza dei consumatori crescono anche le pratiche di greenwashing — ovvero quando i brand forniscono affermazioni false o fuorvianti sulle loro politiche ambientali. Tra queste vi è il descrivere un prodotto come sostenibile solo perché contiene una piccola quantità di materiale riciclato. Al fine di evitare il greenwashing, andate alla ricerca di prove concrete come fatti e dati a supporto delle affermazioni dei brand piuttosto che prenderle alla lettera.
Man mano che i marchi diventano più consapevoli dell’impatto delle materie prime, l’upcycling acquista sempre più popolarità all’interno della moda, tant’è che nelle ultime stagioni maison come Balenciaga, Miu Miu e Marni hanno riutilizzato materiali pre-esistenti nelle loro collezioni. Il termine upcycling significa trasformare tessuti e prodotti di scarto in qualcosa di maggior valore mentre riciclare significa trasformarlo in qualcosa di simile o paragonabile.
La biodiversità è la varietà di specie del nostro pianeta ed è estremamente importante, specialmente se consideriamo quanto interconnessi siano gli ecosistemi. Attualmente un milione di specie sono a rischio di estinzione e si stima che il tasso di biodiversità persa sia 1000 volte superiore a quello naturale. Dal momento che la maggior parte dei materiali utilizzati nella moda proviene dalla natura (sia che si tratti del cotone coltivato nei campi o della viscosa estratta dagli alberi), il settore sta gradualmente prendendo atto delle proprie responsabilità e, quest’anno, sia Kering che LVMH hanno annunciato nuove iniziative mirate a ripristinare la biodiversità.
Se si pensa che, ogni anno, si producono globalmente ben 100 miliardi di capi di abbigliamento, l’entità del problema del consumo eccessivo diventa subito chiara. Detto semplicemente, acquistiamo più capi di quelli di cui abbiamo bisogno e ne stiamo producendo di più di quelli che il nostro pianeta è in grado di tollerare. Si stima che il numero di volte in cui indossiamo lo stesso capo è diminuito del 36% negli scorsi vent’anni e, spesso, questo finisce nelle discariche. Proprio per questo motivo lo slogan ‘buy less and buy better’ (acquista meno e meglio) è più importante che mai.
I brand devono garantire ai consumatori una maggior trasparenza dimostrando loro di mantenere fede ai propri impegni a favore della sostenibilità. Questo significa divulgare informazioni su tutta la filiera produttiva, politiche ambientali e sociali incluse. Sebbene il gruppo attivista Fashion Revolution produca il Fashion Transparency Index con cadenza annuale, è importante ricordare che i brand che sono maggiormente trasparenti non sono necessariamente anche i più sostenibili.
Sebbene a volte i termini ‘sostenibile’ ed ‘etico’ siano utilizzati in maniera intercambiabile, la dicitura ‘commercio etico’ si riferisce specificatamente al modo in cui vengono trattati gli operai su tutta la filiera produttiva della moda, dagli agricoltori che coltivano le materie prime a chi lavora direttamente per un brand. Affinché un’azienda possa affermare di operare in maniera etica deve rispettare i diritti dei lavoratori stabilendo un numero massimo di ore lavorative, garantendo le misure in materia di salute e sicurezza, la libertà di associazione e un salario adeguato.