The Handmaid's Tale 4: trama, cast e curiosità
The Handmaid's tale 4 pronti al ritorno di June?
Le donne sono in guerra, ma i tempi restano incerti. Comincia così la quarta stagione di
La trama
La storia si svolge a Gilead, una dittatura misogina e teocratica, che riduce l’universo femminile a puro accessorio di quello maschile. Quando la sterilità flagella il mondo, le poche creature ancora fertili – le Ancelle - vengono ridotte a schiavitù e obbligate a procreare: perdono persino il nome, ribattezzate con quelle del “padrone” di cui diventano proprietà. Di loro fa parte June (Elisabeth Moss), che viene strappata dal marito Luke (O. T. Fagbenle) e dalla figlia Hannah (Jordana Blake) per diventare un’incubatrice umana per il comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) assumendo l’identità “DiFred”. Dall’animo ribelle e dal temperamento irrequieto, la protagonista sopporta le angherie solo nel tentativo di liberare la primogenita e scappare, ma nel frattempo trova conforto tra le braccia del comandante Nick Blaine (Max Minghella), con cui concepisce una bambina. Ancora una volta le viene portata via e affidata a Fred e alla moglie Serena (Yvonne Strahovski), raddoppiando gli sforzi della donna per riappropriarsi non solo della propria libertà ma anche di quella della neonata e della sorella maggiore.
Elisabeth Moss è June
© Jasper Savage
La fine della terza stagione
Alla fine della terza stagione June, con l’aiuto di una rete di resistenza al regime, riesce ad organizzare la liberazione e la fuga di 86 bambini in Canada, accompagnato da un gruppo di Marte (viene chiamata così, con riferimento religioso, la categoria di donne a cui sono affidati i lavori domestici). La protagonista aveva affidato già la sua piccola all’amica Emily (Alexis Bledel di Una mamma per amica) perché la portasse in salvo, ma decide di restare a Gilead per combattere. Suo malgrado, diventa leader di un movimento che non aveva alcuna intenzione di guidare ma di cui si sente responsabile.
Il nuovo inizio
Il quarto capitolo inizia dov’era terminato il precedente, con un gruppo di ancelle in fuga e June gravemente ferita. Il tono è – se possibile – più claustrofobico che mai: la storia è avvolta da sfumature sempre più grigie e angoscianti e di fatto questa presunta libertà deve fare i conti con un vicolo cieco. Mentre Fred e Serena sono stati arrestati a Toronto, il governo di Gilead fa convergere i propri sforzi per dare la caccia a colei che ha iniziato questa ribellione. Chiunque le sia stato accanto diventa come radioattivo e finisce vittima di torture e violenze, inclusa zia Lydia (Ann Dowd), che fa parte di quella categoria femminile al comando delle ancelle. Il suo astio nei confronti della disobbediente June, che ha messo in ridicolo il suo potere, cresce a dismisura fino a toccare vertici di rara disumanità: vederla ricamare placidamente mentre nella stanza accanto rimbombano le urla delle percosse fa venire i brividi.
Max Minghella (Nick) ed Elisabeth Moss (June)
© Courtesy of Hulu
Su due fronti
Di fatto le decisioni di June si ripercuotono anche sui suoi cari al di là del confine: Luke deve occuparsi di una neonata che non è sua figlia, Moira (Samira Wiley di Orange is the new black) si sente schiacciata dal peso dell’impotenza ed Emily ha la classica sindrome del sopravvissuto. Sensi di colpa, rabbia, frustrazione: i sentimenti che animano queste nuove puntate per una volta diventano trasversali a tutti i personaggi e alle varie categorie umane. Nessuno è al sicuro e ciascuno si sente infelice e oppresso a modo proprio. È vero, June dice: “Non ci nascondiamo più, combattiamo”, ma di fatto non ha la più pallida idea di come procedere.
Gelo totale
L’idea che si ha - a giudicare dai primi episodi – è che la storia sia avvolta da una sorta di nebbia, un limbo in cui ogni personaggio si è perso, dilaniato da dubbi e conflitti. La speranza, che a brevi tratti ha animato il racconto, diventa flebile, quasi schiacciata da quest’angoscia spiazzante.
Il continuo crescendo d’oppressione e ingiustizia contagia lo spettatore fino a confonderlo. Il gioco di specchi con alcune vicende d’attualità affatica la metafora di The Handmaid’s Tale, ora ancora più reale e vicina alla quotidianità del pubblico. La serie ha smesso di essere un’evasione con morale per diventare un’amplificazione angosciante di una realtà – quella della pandemia, del razzismo e degli abusi di genere – già fin troppo claustrofobica.
L’unica vera sorpresa d’inizio stagione è rappresentata da una Moglie (la categoria delle consorti degli uomini di potere, riconoscibile da abiti blu) in cui June e le altre ancelle s’imbattono. Questo personaggio fa una breve apparizione nella storia ma lascia il segno perché, forse per la prima volta, mostra come l’universo femminile a Gilead sia sottomesso senza alcuna eccezione. I privilegi di casta sono apparenti: la violenza si palesa in forme diverse, ma la mascolinità tossica non merita attenuanti.
Il tema del consenso, ampiamente affrontato dalla serie, torna prepotentemente al centro delle vicende, con rinnovato vigore. In attesa di sapere che cosa succede nella quinta serie. Sia lode.
The Handmaid's Tale 4
© Sophie Giraud