Fotografo infinito. Intervista a Mario Cogo
Il cielo appare immobile. Eppure possono volerci centinaia di ore, appostati magari al freddo, possibilmente in altura, per riuscire a catturarlo: «Ogni venti minuti occorre controllare
Mario Cogo, 60 anni, è uno dei più importanti astrofotografi del mondo. Un indagatore del “profondo cielo”. Contrariamente ad altri colleghi che si concentrano sull’empireo prossimo fatto dal Sole e dai pianeti, con la stella che brucia plasma e Mercurio che si nasconde. Un amatore che s’è visto pubblicare ben sei volte le proprie immagini dalla Nasa (una galleria è visibile su Galaxlux.com). E ha vinto il primo premio al concorso organizzato dal Royal Observatory di Greenwich, Londra, il più prestigioso, grazie a un’immagine scintillante della Corona Australe con le sue nebulose blu e la polvere galattica che sembra zucchero al caramello. Un viaggio siderale degli occhi che purtroppo, sotto le nostre volte celesti, è quasi impossibile fare.
Il cielo sopra Monticello Conte Otto, Vicenza, dove vive, com’è?
È un cielo che a fotografarlo, per via dell’inquinamento luminoso, risulta giallognolo e verdastro. Siamo circondati da luci artificiali che disperdono intensità verso l’alto e non illuminano ciò che dovrebbero: penso ai parcheggi dei centri commerciali, o all’illuminazione degli impianti sportivi. Per fare foto devo salire fino a Braies, quasi al confine con l’Austria.
L’inquinamento da combustibili fossili incide?
In parte, perché le luci artificiali accentuano la presenza delle micro particelle che si librano nell’aria. L’osservatorio astrofisico di Asiago ha stabilito che una percentuale consistente di inquinamento luminoso, a distanza di centinaia di chilometri, qui nel profondo Veneto, arriva addirittura dalla città di Milano.
La super gigante rossa Antares e, in basso al centro, M4, uno degli ammassi globulari più grandi (10mila stelle) e vicini a noi (poco meno di seimila anni luce). A destra brilla la stella gigante blu Al Niyat (Sigma Scorpii) e la nebulosa a emissione Sh2-9.
© ASTROPHOTOGRAPHY BY MARIO COGO.
In questo abbaglio, quali astri resistono?
Le stelle più luminose, come per esempio Sirio, Rigel e Vega. Poi le Pleiadi e i pianeti. Ma la Via Lattea, ormai, è nascosta.
E se tutta Italia d’un tratto si spegnesse?
Ci sarebbe comunque l’umidità a disturbare, almeno in zone come la Pianura Padana. I cieli più tersi e asciutti del mondo si vedono in Cile, nel deserto dell’Atacama. Alle Hawaii, a Roques de los Muchachos nelle Canarie o in Namibia, dove vado io, in un piccolo resort conosciuto da tutti gli astrofotografi del mondo che si chiama Tivoli Southern Sky Guest Farm, a milleduecento metri di quota. Un posto in cui puoi vedere la tua ombra, nel buio totale, proiettata dalla luce della nostra galassia.
Che colore hanno le stelle?
C’è tutta una classificazione che varia dal rosso-arancio fino al bianco-blu. Contro intuitivamente, quelle bianche sono le più calde, le rosse invece le più fredde.
Se un suo collega ipotetico, lontano anni luce, cercasse di fotografare noi, cosa vedrebbe?
Qualcosa di simile alla galassia di Andromeda, l’oggetto più lontano visibile a occhio nudo, che sta a 2,5 milioni di anni luce dalla nostra Via Lattea e ne è la gemella. Il Sistema Solare però, tra miliardi di stelle e pianeti, non lo distinguerebbe.
Quando nelle notti terse scorgiamo la Via Lattea, cosa stiamo vedendo in realtà?
Un braccio della spirale colossale che forma nel cosmo. Noi siamo posizionati più o meno a tre quarti della sua estensione. Ed è come se, da posizione defilata, potessimo vederne l’interno.
(Continua)