Stiamo rischiando di uscire dalla pandemia con meno diritti civili?
“La protesta di piazza è il motore della giustizia”, afferma l’attivista femminista e scrittrice ugandese Jessica Horn. “Tutti i diritti di cui godiamo, dai weekend liberi
Il 13 marzo 2021, un gruppo di donne, tutte rigorosamente con mascherina, si sono riunite per una veglia nel parco di Clapham Common, a Londra, formando una marea di torce illuminate. Le donne si sono riunite per ricordare insieme l’uccisione di Sarah Everard, una direttrice marketing di 33 anni il cui corpo era stato ritrovato nei boschi di Ashford, nel Kent, pochi giorni prima. Le donne, appartenenti al collettivo Reclaim These Streets, volevano sensibilizzare le persone sulla mancanza di sicurezza per le strade delle donne britanniche.
Sebbene la veglia sia stata prevalentemente pacifica, la polizia ha fatto irruzione all’evento e i poliziotti hanno bloccato a terra alcune manifestanti, fra cui la studentessa Patsy Stevenson. Le foto della ragazza, faccia a terra e ammanettata dietro la schiena, hanno fatto il giro del mondo. “Dobbiamo ricordare che la gente non va a protestare perché vuole provocare disordini”, avverte Horn. “La gente va a protestare perché ha profondamente a cuore quello che succede nella società e vuole che chi detiene il potere li ascolti, e faccia qualcosa”.
Patsy Stevenson arrestata a una veglia in memoria di Sarah Everard.
© James Veysey/Shutterstock
Che succede se il nostro diritto a protestare ci viene negato?
Pochi giorni prima, il 9 marzo, il Ministro dell’Interno Priti Patel aveva introdotto la proposta di legge Police, Crime, Sentencing and Courts (PCSC), che, se approvata, darà ancora più potere alla polizia per impedire le proteste pacifiche. La proposta di legge vuole anche innalzare la pena massima per chi vandalizza i monumenti da tre mesi a 10 anni, oltre a imporre limiti sui livelli di rumorosità delle manifestazioni. Gli attivisti temono che se la proposta diventerà legge i diritti dei cittadini britannici e la loro libertà di protestare verranno fortemente limitati.
Nonostante ciò, nel weekend di Pasqua migliaia di persone hanno continuato a protestare contro la proposta di legge nel centro di Londra e in alcune città in Inghilterra e nel Galles. A Londra, gli oppositori della proposta di legge hanno marciato da Hyde Park a Parliament Square dove sono poi seguiti altri tafferugli con la polizia che, mentre la folla dei manifestanti aumentava, che ha arrestato 26 persone. L’ex leader laburista Jeremy Corbyn ha parlato a favore delle proteste: “Battetevi per il diritto di protestare, battetevi per il diritto di essere ascoltati”. Horn concorda: “Se un governo passa una legge per cui i suoi cittadini non possono andare in piazza a esprimere il proprio dissenso, di fatto mette il bavaglio al loro diritto di battersi per la giustizia e di considerare il governo responsabile”.
2020: un anno di proteste in tutto il mondo
Gli eventi degli ultimi mesi hanno innescato una serie di manifestazioni in tutto il mondo che sembrano destinate a proseguire. L’omicidio di George Floyd, un afroamericano di 46 anni di Minneapolis, il 25 maggio 2020, ha dato il via a proteste antirazziste andate avanti per mesi in tutti gli Stati Uniti e nel resto del mondo: la lotta contro l’ingiustizia razziale resta una battaglia incessante per la Black community. Le proteste hanno dato visibilità alla famiglia di Floyd che a marzo ha ricevuto un indennizzo di 27milioni di dollari. L’ex poliziotto Derek Chauvin il 20 aprile è stato condannato per la morte di Floyd.
Fuori dagli USA ci sono state proteste in tutta la Francia contro le leggi sulla sicurezza - che fra l’altro vietano ai cittadini di pubblicare immagini degli agenti di polizia - introdotte dopo la diffusione del video del brutale pestaggio del produttore musicale nero Michel Zecler. A ottobre, in Nigeria, il movimento #EndSARS ha infiammato soprattutto i giovani che chiedevano di smantellare la SARS (Special Anti-Robbery Squad), unità antirapina nota per la sua lunga storia di abusi e per aver causato la morte di molte persone.
La diseguaglianza di genere, le violenze e il controllo esercitato sulle donne e sui gruppi di identità non binaria in tutto il mondo sono altre cause importanti di protesta. In Polonia le misure antiabortiste - con l’eccezione di stupro, incesto e menomazione fetale - hanno unito le donne, la comunità LGBTQ+ e i gruppi di identità non binaria: in 100.000 sono scesi in piazza a Varsavia a protestare nonostante le temperature sotto lo zero. Il movimento #MeToo è cresciuto ulteriormente in Australia e in Messico dove le donne hanno continuato a protestare contro la violenza sessuale e la diseguaglianza di genere.
Proteste ad Harlem per la morte di George Floyd, 30 maggio 2020 a New York
© David Dee Delgado
Le proteste sono continuate in tutto il mondo anche nei primi mesi del 2021. Migliaia di manifestanti — in molti casi guidati da donne— si sono riversati per le strade in Myanmar a seguito del colpo di stato militare avvenuto il 1° febbraio. Gli scontri sono diventati sempre più violenti e il 27 marzo è stato il giorno che ha registrato più morti, con 100 persone uccise dai militari, fra cui anche bambini. In Colombia, da quando sono cominciate le proteste il 28 aprile, 24 persone sono morte durante gli scontri contro la proposta di riforma fiscale, poi ritirata dal governo. In Turchia la CNN ha parlato delle donne che chiedono al presidente Recep Tayyip Erdoğan di riconsiderare il ritiro del Paese dalla Convenzione di Istanbul, che sostiene le vittime di violenza domestica.
Intanto, la profilazione etnica è più diffusa che mai e influisce seriamente sulla salute e sulla sicurezza dei cittadini Black, e ancor di più durante la pandemia. Se c’è una cosa che il 2020 ci ha insegnato — con la morte di Floyd, l’uccisione di Breonna Taylor e gli assurdi omicidi di 350 persone transgender in tutto il mondo — è che quando viene messa in atto la censura, sono le comunità emarginate quelle più a rischio.
Varsavia febbraio 2020: le donne riunite sotto il simbolo della città "la sirena" per cantare canzoni ribelli a sostegno della protesta contro il divieto totale di aborto in Polonia.
© Karolina Jonderko/Napo Images
Cosa fare per difendere i nostri diritti?
Dalla lunga marcia delle suffragette del 1908, a quella su Washington, nel 1963, quando Martin Luther King Jr aveva prounciato il suo appassionato discorso, quello che iniziava con I Have A Dream, la protesta ha sempre accelerato il cambiamento.
“Lavoro nel campo dei diritti civili, e ho visto cosa succede quando un governo li cancella”, dice Horn. “Porta a un potere eccessivo nelle mani dello Stato, e mette il bavaglio ai cittadini più coraggiosi e idealisti, quelli che si battono per la collettività. Non è certo questa la ricetta per una società vivace e giusta”.
Secondo CIVICUS Monitor, che studia e monitora lo stato della società civile e delle libertà essenziali, i diritti civili vengono sempre più limitati nel mondo, anno dopo anno. Nel 2020, lo studio ha concluso che il 43,4 % dei cittadini del mondo oggi vivono in Paesi in cui gli spazi di libera espressione vengono limitati.
Come possiamo garantire, quindi, che i nostri diritti non vengano calpestati? In poche parole, dobbiamo continuare a far più rumore possibile. Aderire a organizzazioni che si occupano di sostenere i più vulnerabili è un buon inizio.
Un gruppo di madri protesta contro la brutalità della polizia in solidarietà con i giovani durante la battaglia #EndSARS a Lagos in Nigeria, ottobre 2020.
© Adeyinka Yusuf / Alamy Stock Photo
Sono i giovani spesso in prima linea quando si scende in piazza a protestare, quindi creare una piattaforma per far sentire la nostra voce è fondamentale. “Le leggi sono il riflesso di quello che il partito al potere pensa di questo momento storico”, continua Horn. “La protesta di piazza è spesso guidata dai giovani, e da persone che vengono discriminate e che si battono per i propri diritti perché, altrimenti, nessuno lo farà mai. Rendere illegale la protesta non fa che incanalare sempre più emarginati e giovani nel sistema giudiziario e rafforzare le disuguaglianze sociali”.
“In questo momento l’opposizione più forte alla proposta di legge del Ministro dell’interno britannico viene dalle attiviste femministe”, spiega Horn, che cita gruppi come Sisters Uncut. “È importante vedere che c’è solidarietà da parte di tutto lo spettro delle community che usano la piazza per la protesta politica: sindacati, organizzazioni studentesche, movimenti sociali”.