Come la Corea influenza il mercato beauty globale
C’è la rapper Jennie Kim (34,1 milioni di follower), che dal suo profilo Instagram (@jennierubyjane) celebra il trend delle palpebre sorbetto per pubblicizzare il suo
La Corea ragiona a modo suo. Le tendenze sono più veloci che nel resto del mondo – a livello di produzione, ingredienti, packaging e marketing –, spesso anche la popolarità delle influencer ha andamento ciclico e vita breve. E non c’entrano solo gli usi e i costumi della già nota scrupolosa routine (fino a dieci prodotti) che ha reso la K-beauty famosa nel mondo.
«Il motivo è anche sociologico: lo chiamano il miracolo del Fiume Han», spiega Jayanne Jin, executive vice president business development Korea di Beautystreams. «Dalla fine della guerra di Corea nel 1953 a oggi siamo passati da un Pil pro capite di 40 dollari a uno di circa 30.000. Da paese poverissimo siamo diventati una nazione OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in soli 50 anni. La percentuale di disoccupazione è altissima. Siamo stati educati a essere molto competitivi, nello studio, sul lavoro. E noi donne a essere sempre perfette. La pressione sociale sui canoni di bellezza è schiacciante. Tra gli aneddoti più tradizionali c’è quello che le donne coreane, da sempre, devono alzarsi prima del marito il tempo necessario per truccarsi e sistemare i capelli, per evitare che lui possa vederla acqua e sapone».
Paese peculiare. Così, mentre nel resto del mondo si celebrano le diversità, la pluralità e l’inclusività, in Corea l’ossessione per l’apparenza e la rincorsa senza sosta della perfezione estetica (regolamentata da rigidi stereotipi) sembra non subire colpi d’arresto, né tantomeno invertire il senso di marcia.
(Continua)