Christian Dior: la superstizione del couturier
Christian Dior si fa leggere i tarocchi prima dei suoi show, cucendo rami di mughetto in ogni nuovo abito
Christian Diorè l'uomo più superstizioso del
Il legame fra i tarocchi e la moda
Prima di presentare al pubblico le sue nuove creazioni, Dior non cerca il consiglio dei critici o il consenso di amici fidati. Il giudizio della sua opera è affidato ai tarocchi e ai loro simboli. La carta del Gerofante è sinonimo di un grande potenziale da mettere in atto, il Carro incita alla costanza e alla dedizione, la Stella illumina il cammino del successo, il Mondo è il compimento di un percorso di vita, unità di assoluta perfezione. L'arte divinatoria nasce in epoca antica e i mazzi prediletti dal couturier sono i classici tarocchi di Marsiglia o gli arcani italiani, tinti di sfumature rinascimentali, con giallo ocra e rosso carminio che distinguono le vesti delle figure immobili ma che guardano al futuro e che la società del tempo consultava nelle pause fra un giro di Volta nella sala da ballo e un assaggio di biancomangiare sulle tavole imbandite. Nato come un gioco mnemonico per passare il tempo, si evolve in una pratica fra il ludico e la pretesa di un intellettualismo votato al risolvere questioni di cuore.
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Nell'atelier di Christian Dior, il tarocco ha la consistenza crespa della carta usurata dalle troppe letture, è conservato in sacchetti di velluto nero per proteggerlo dalle energie negative e soprattutto si erge a giudice della creatività del couturier: estrarre il seme di Spade equivale al veder distrutti i suoi capi, i tessuti trafitti e smembrati dalla lama invisibile che lo invita a ricominciare da capo; i Pentacoli, al contrario, ne presagiscono il successo, la gratificazione e la pioggia d'oro borghese piovuta dalle tasche delle acquirenti. La superstizione poggia sulla lunaticità della sorte e monsieur Dior offre in pasto dei suoi capricci e messaggi incerti ogni passo e azione della sua vita. Con in tasca un quadrifoglio, una moneta d'oro e un cuore di stoffa, camuffa da mago l'indole da uomo scaramantico e sfrega le sue armi di buona fortuna come a scongiurare una fine mostruosa, nella certezza di attirare la benevolenza di un fato vanitoso che ama i gingilli e i metalli preziosi.
L'infanzia di Christian Dior e la nascita della superstizione
È il 1919 quando avviene il primo incontro con una chiaroveggente. Il paese natio, Granville, è immerso nel profumo dello zucchero denso e appiccicoso delle bancarelle dei caramellai, nel rumore di fuochi e spari di finti fucili della fiera, una delle prime dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Bastano due soldi per conoscere il futuro e un Dior quattordicenne ma già affascinato dalla magia entra nella tenda viola con ricami d'argento dell'indovina d'occasione. Nella mano giovane, solchi e linee parlano chiaro, preannunciano dolori e miserie ma indicano una via di salvezza: dedicarsi alle donne e alla loro bellezza. Col senno di chi osserva la storia da lontano, non possiamo, oggi, credere alle coincidenze.
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Da quel momento, l'occultismo diviene una componente fondamentale delle giornate di Dior, che sta attento a non passare sotto le scale, a evitare di incrociare gatti neri o di rovesciare il sale, il tutto nella speranza di non sfidare il destino. Quest'ultimo si rivela ben presto incontrollabile e ha per Dior il rumore acuto e secco di uno specchio infranto.
Nel 1930, al ritorno da una vacanza, pezzi di vetro e di riflessi invadono la casa paterna, caduti da un muro a causa di un chiodo arrugginito. Sul pavimento, monsieur Christian non vede il pericolo di tagliarsi o la perdita di un oggetto d'antiquariato, ma mille residui di sventura che si manifestano in altrettante tragedie. Pochi mesi dopo, la sua famiglia è colpita dalla morte del fratello per malattia, della madre per crepacuore, dalla bancarotta del padre e dal fallimento della sua prima galleria d'arte. Come il vampiro che non può guardarvi la sua immagine o la diva decaduta che ne copre la superficie immacolata per non confrontarsi con l'età, Dior teme gli specchi e il loro angusto potere, li evita per il resto della vita, sentendo nel suono infranto e adamantino il singolo rintocco di una campana a lutto che batte per lui.
A proteggerlo dalla cecità del destino, è la vista di Madame Delahaye, la sua consulente spirituale, come la chiama nel pubblico, la sua “Loutte” come viene soprannominata nel privato, la donna a cui dedica un suo ritratto, poche parole scritte sul retro di una fotografia e un messaggio di eterna gratitudine: “Alla mia cara D… che mi ha dato il coraggio e la sicurezza di essere Christian Dior, con tutto il mio affetto e la mia riconoscenza”.
Il rapporto con Madame Delahaye e il numero otto
Cinque i piani di scale che separano l'ingresso del condominio senza ascensore in Rue de Bouganvilliers, a Passy, dall'appartamento di MadameDelahaye, che un Dior cardiopatico percorre sempre a piedi come a espiare le sue colpe prima di raggiungere quel santuario di calma e frasi rassicuranti. Si fa leggere le carte, si fa predire il futuro, si mette alla ricerca della sorella Catherine, deportata dai nazisti nel 1944, tramutando le carte in mappe che ne svelino la posizione, in presagi che ne anticipino il ritorno in patria, sana e salva, nel 1945. Fra le medesime pareti grigie, si fa costringere ad accettare l'invito a creare una sua maison di moda dopo anni di apprendistato. “Accetta”, decreta la Delahaye. Nell'atelier appena nato, una stanza privata accoglie l'inconsueto duo, dove il couturier passa al vaglio della preveggenza ogni singolo modello nella speranza di una premonizione positiva. Sempre su consiglio di Madame Delahaye, nei primi anni della sua carriera appone una piccola croce davanti alla sua firma, per proteggersi dall'invidia dei suoi concorrenti.
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Otto sono invece i piani dell'edificio di Avenue Montagne dove Dior crea il suo impero couture. Ottavo è l'arrondissement in cui tutt'ora sorge, otto i laboratori in cui le sarte realizzano le creazioni della maison. Il numero otto è parte di quella sequenza di gesti, simboli e rituali che monsieurDior mette in atto per attirare la fortuna, estraendo da quella cifra echeggiante l'infinito la figura stilizzata di un corpo femminile. A esso dedica la sua prima collezione primaverile, presentata nel 1947 con il sintetico nome di “8”, con altrettanti abiti che ne decretano l'immediato successo. Un anno prima, sempre nell'ottavo arrondissement della sua Parigi, in Rue du Faubourg Saint-Honoré, un carro merci perde dal carico una stella in ottone a cinque punte, rotolata dalla strada sul marciapiede, sin sotto il piede di Dior, che la calpesta in prossimità dell'Ambasciata Britannica, sancendo in congiunzioni astrali e magiche casualità il legame che lo porterà alla fama universale: quello con la principessa Margaret d'Inghilterra.
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La fortuna del mughetto
Le spose vanno all'altare con ciuffi di mughetti intrecciati fra i capelli o annodati nel bouquet. Sin dal XVI secolo, la Francia scorge nella delicata spontaneità di questo fiore di campo un simbolo di grazia e lieto fine, sfruttato nella sua semplicità per augurare un matrimonio felice. Nella sua autobiografia Dior and I, pubblicata nel 1957, Dior palesa senza remore una superstizione che è intrisa di tradizione nazionale, parlando del suo fiore preferito che, accidentalmente, è anche il più fortunato bocciolo di madre natura. Nella parte interna di ogni suo abito, un rametto del piccolo fiore è cucito in segno di buon auspicio, quasi che la sua superficie legnosa, pizzicando la pelle delle mannequin, ne ispiri una camminata più fluida, una postura più dritta, uno splendore venato da un'espressione di fastidio stupendamente snob.
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Come accaduto con il filtro del Tristan nell'opera del cantore Béroul, dove l'intruglio incantato suscita l'amore immediato del cavaliere nei confronti di Isotta, l'aroma di mughetto si spande nei saloni dove il couturier presenta le sue collezioni. Da Circe ai fumi di Delfi arrivando agli odori alchemici di Aleister Crowley, il profumo è sortilegio e suggestione, è stordimento e sogno e Dior ne sfrutta il poetico potere per invogliare il successo a far capolino fra la teste in veletta e cappelli di zibellino dell'elitaria kermesse riunitasi per elargire pollici sentenziati vita, morte e miracoli delle sue collezioni. Se per il mughetto o per l'immensa bellezza delle sue forme, ogni opera uscita dalla mente di Dior è un garantito trionfo, così come lo è la prima fragranza della maison, in cui l'essenza dei petali bianchi si unisce a una ricca base di rose di Grasse: è Miss Dior.
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La morte nella stanza bianca
In Normandia, a Milly, Christian Dior fa costruire la sua villa, il suo Eden floreale di riposo e ispirazione, creato sulla misura della sua visione estetica. Fra bellissime piante e vasche da bagno notoriamente presentate come il luogo preferito del couturier, una stanza bianca spezza il cromatismo da collezionista della casa. Pareti, mobili, tende e coperte candide attendono l'arrivo della Dama e del suo eterno riposo: Christian Dior prepara una culla per la morte. Nonostante la speranza di morire in pace nella sua casa, il fato decide diversamente e gli riserba un'ultima sorpresa, un colpo da maestro per insegnargli che non gli è dato conoscere né sfidare il domani.
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Nel 1957, monsieur Christian organizza un viaggio a Montecatini, per trascorrere giorni alle terme. “Non andare, non tornerai”, decreta la Delahaye. Per la prima volta in vita sua, Dior non le dà ascolto. Il 24 ottobre, a poche settimane dalla partenza, dopo una partita a canasta con le carte onnipresenti, è trovato senza vita nella sua stanza al Grand Hotel & La Pace, vittima di un collasso cardiaco. A Milly, la stanza bianca non fu mai abitata.
La maison Dior oggi
Raccogliendo l'eredità mista e mistica lasciata dal couturier, Maria Grazia Chiuri riscopre il simbolismo occulto che ne ha caratterizzato la vita e la creazione, riproponendo l'immaginario del tarocco e della numerologia in capi dall'aplomb moderno che di clairvoyant hanno l'approccio femminista. I primordi della religione tra fulmini divini e fuoco purificatore si ritrovano nel bestiario di cervi, cavalli e buoi delle Grotte di Lescaux, ridipinte sui tessuti della collezione Cruise 2018, così come i tarocchi indigeni e variopinti di Vicki Noble e Karen Vogel ne decorano le gonne voluminose, gli accessori preziosi, in un caleidoscopio in stile anni 70 di scheletri e arcobaleni geometrici.
© Courtesy Dior/Sophie Carre
L'Italia e le sue credenze esplodono invece su piatti e porcellane, Lecce e i suoi arcani sono riprodotti attraverso la pittura sulle stoviglie pregiate che accolgono gli ospiti della Cruise 2021. Di armonia e superstizione, la storia Dior resta un inno al futuro, alla divinazione del domani, propenso verso la scoperta dei misteri che muovono la bellezza.
"Così mi appare nel fregio di Lascaux,
madre fantasticamente travestita,
la Saggezza dagli occhi pieni di lacrime."
René Char
© Courtesy Dior/Sophie Carre