La Dolce Vita: il documentario a 60 anni dall'uscita
In occasione dei 60 anni dal film La Dolce Vita di Federico Fellini, un docu-film racconta i retroscena, le curiosità e la Verità che si
cela dietro al capolavoro italiano
Era il 5 febbraio 1960 quando al cinema Capitol di Milano veniva proiettato per la prima volta La Dolce Vita. Difficile non amarlo, impossibile non conoscerlo. E, soprattutto, molto più di un film: quella di Federico Fellini è infatti una magia, una poesia d’immagini capace di entrare per sempre nell’immaginario collettivo. Vincitrice della Palma D’Oro al 13° Festival di Cannes, La Dolce Vita è una pellicola conosciuta in tutto il mondo, anche dalle generazioni più giovani, il cui appeal e potenza sono rimaste intatte. Un film eterno, diventato un’icona e un simbolo di italianità in tutto il mondo.
Il suo dietro le quinte, però, fu tutt’altro che Dolce: fu infernale. Non tutti sanno infatti La Verità su La Dolce Vita, come recita il titolo del docufilm – presentato in anteprima Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia – scritto e diretto da Giuseppe Pedersoli, il nipote dell’unico vero artefice di questo film leggendario, il produttore Giuseppe Amato. “Il visionario è l’unico realista” diceva Fellini. Un’affermazione che ben si addice ad Amato (già famosissimo produttore di altri capolavori del nostro cinema come Umberto D., Quattro passi tra le nuvole, Francesco Giullare di Dio, Don Camillo) che quando lesse la sceneggiatura di Fellini (che la scrisse insieme a Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano) si innamorò di quella “visione”, condividendo le stesse sensazioni ed emozioni del geniale regista romagnolo.
Federico Fellini e Anita Ekberg sul set de La Dolce Vita
© Umberto Cicconi
Quel soggetto, così anticonvenzionale, ben lontano dalle storie tradizionali viste al cinema in quegli anni, fu giudicato troppo “caotico” da Dino De Laurentiis, il produttore di Fellini (a lui legato da un contratto in esclusiva). Non avendo la minima intenzione di produrlo, De Laurentiis accettò di rompere l’accordo con Fellini accettando (in uno scambio degno del calciomercato) da Amato il copione de La Grande Guerra di Mario Monicelli. La Dolce Vita era salva, ma per realizzarla Amato aveva bisogno del suo socio di fiducia, l’imprenditore Angelo Rizzoli. Lo convinse, spiegandogli che avrebbero realizzato un capolavoro rivoluzionario. Servivano, però, tanti, tantissimi soldi. Fu stabilito e fatto approvare da Fellini un budget, già esorbitante, di 400 milioni di lire. Ma le settimane di lavoro si moltiplicarono e la data di uscita slittò due volte (il film sarebbe dovuto uscire prima a Novembre 1959, poi durante le feste di Natale, nel Dicembre dello stesso anno). Alla fine il film costò il doppio, 800 milioni. Una cifra enorme che fece litigare i tre protagonisti di questa impresa: Rizzoli, Amato e Fellini.
©Press Office
Lo capiamo attraverso i documenti, originali e assolutamente inediti, che mostra il docufilm di Giuseppe Pedersoli: “con l’avvicinarsi del 60° anniversario dell’uscita de La Dolce Vita e con la celebrazione del Centenario della nascita di Federico Fellini – ci racconta il regista - ho pensato fosse interessante leggerli, studiarli e ripercorrerli cronologicamente. La grande scoperta è stata quella di trovare una cronaca quasi quotidiana raccontata dalla voce diretta dei protagonisti, attraverso lettere, corrispondenze e telegrammi”.
Giuseppe Amato, il nonno di Pedersoli (“ero troppo piccolo quando è morto, ma ho sempre saputo che è stato un pioniere del cinema”), prima di imbarcarsi in quest’avventura chiese, da uomo credente (e, da buon napoletano, anche tra scaramanzia e folklore), l’approvazione di Padre Pio (“quell’incontro, molto intimo, lo tenne però segreto”) che, come un gesto divino, arrivò. Tutto cominciò con il massimo dell’entusiasmo. Con il passare del tempo però, e soprattutto con l’aumentare delle spese, Rizzoli, Amato e Fellini si scontrarono, anche ferocemente. Il regista, quotidianamente pressato per finire il film, non sentiva ragioni: “aveva una grande personalità, quando si metteva in testa di raggiungere una cosa, esattamente come la voleva lui, non guardava in faccia agli ostacoli”. E gli ostacoli erano soprattutto i costi, le scadenze e la lunghezza del girato (4 ore!). Amato, che per quel progetto ci aveva messo l’anima, cercava di mediare tra Razionalità (Rizzoli) e Arte (Fellini), difendendo sempre la seconda. Un giorno però vide nero, quando “Rizzoli decise di non distribuire più il film. Quello fu il momento più duro, dove tutti gli sforzi sembrano essere stati vani e tutte le aspettative deluse. Mio nonno di lì a poco ebbe un primo infarto che fortunatamente non lo stroncò: continuò a combattere, per convincere Fellini a tagliare una parte del montaggio e Rizzoli a continuare a credere nel film”.
Giuseppe Amato sul set de La Dolce Vita
La Dolce Vita venne completata, e uscì, grazie soprattutto ad un uomo coraggioso che aveva visto lontano: “leggendo il copione, mio nonno capì subito che c’era l’embrione di un grande film, non soltanto nuovo e spettacolare, ma che avrebbe inciso sul cinema in generale sul modo di raccontare le storie. Nonostante gli screzi e i litigi e nonostante ci abbia rimesso la salute, la sua convinzione che quel film contenesse qualcosa di nuovo, di magico, non è mai vacillata”.
Alla fine ebbe ragione. Il film, solo nelle prime due settimane di proiezione nei cinema (anche per via del clamore e delle profonde polemiche che suscitò, soprattutto tra Cattolici e Progressisti), incassò l’intera cifra di produzione. Dopo la Palma d’Oro, vinse anche un Oscar per i Costumi (di Piero Gherardi): “quel film – conclude Pedersoli - è diventato un simbolo di italianità, nel bene e nel male, perché ha rappresentato anche un cambio di linguaggio cinematografico. Universale e unico, la sua potenza è immortale”.
Anita Ekberg, La Dolce Vita
© Silver Screen Collection
“Marcello, come here!”. Quando guardiamo la Fontana di Trevi a Roma, ancora oggi, a 60 anni da quella prima proiezione, pensiamo subito a quella sequenza diventata cult, con Anita Ekberg immersa nell’acqua che invita Marcello Mastroianni. Un momento fantastico, iconico, che senza il coraggio e la visione di Giuseppe Amato non sarebbe mai entrato nell’immaginario collettivo. Ogni volta che lo guardiamo, come la prima, ci sembra di vivere un sogno. È la magia del cinema, è l’eterna magia deLa Dolce Vita.