Le rivoluzionarie: Coco Chanel e Greta La Medica
Il ritratto di Coco Chanel viene raccontato partendo dallo scatto di Robert Doisneau del 1954 nella biografia intitolata “Coco Chanel” e scritta da Greta La
Un personaggio come Coco Chanel che a suo modo ha sfidato il concetto di genere avvicinandosi al guardaroba maschile per reinterpretarlo in una chiave nuova, e ha rappresentato una liberazione per le donne afflitte da “costumi di scena” complessi e ingombranti, vivendo nel modo più moderno che fosse possibile immaginare per una donna nata alla fine dell’800. Con eguale forza rivoluzionaria Greta La Medica è la prima donna transessuale in Italia ad aver scritto una biografia pubblicata a livello nazionale da un prestigioso quotidiano e, sicuramente, l’importanza di questo traguardo crea, tra l’autrice e la leggendaria designer, un prezioso legame trascendentale.
Greta La Medica è un'attivista del movimento LGBTQIA+ e questo suo impegno è legato a delle esperienze di vita che è fondamentale mettere in luce, come la stesura di questa biografia. I cambiamenti sociali a volte passano per strade inaspettate e sarebbe sciocco pensare che la “frivolezza” degli argomenti trattati nel libro – proprio quella stessa frivolezza che fin dalle prime pagine i due autori vogliono decostruire e allontanare dal concetto di moda – possa essere un deterrente per raggiungere obiettivi più alti. È piuttosto un importante messaggio di speranza “per tutte le ragazze che lo leggeranno”, come la stessa La Medica ha detto, e al contempo, un suo personale riscatto da tutto l’odio che l’ha investita, come quando alle medie negli anni ‘80 in Sicilia la sua insegnante di italiano la prendeva di mira, solo perché figlia di una divorziata che, tutt’altro che rabbuiata, brillava per la sua bellezza e i tanti gioielli che caramente l’autrice ricorda.
La nostra intervista a Greta La Medica
Perché hai scelto di dedicarti a questo progetto?
Ho una formazione di tipo umanistico. Sin dal liceo classico conservavo sotto scrigno il sogno di insegnare latino e greco. A Milano però, iscrittami in lettere antiche, ho maturato la consapevolezza che un futuro da docente mi sarebbe stato precluso per via della mia scelta di genere. A Gennaio di quest’anno, il progetto con il Corriere della Sera deflagra su invito di un caro amico, Emanuele Melilli; con lui condividevo il mio banco sin dal ginnasio e la passione per le lettere e avendo già , con il corriere, una collaborazione avviata, mi ha traghettato in questo viaggio “chanelliano” di cui anche lui è coautore.
Sei la prima autrice transessuale a collaborare con un quotidiano così importante per un grande progetto editoriale. Cosa significa questo per te?
Io credo che si stia mettendo in moto un ingranaggio che distruggerà le catene di ottusi retaggi. La società sta nettamente cambiando e, in osmosi a questa rivoluzione, questo progetto mi viene dato quasi come un testimone in un’olimpiade del riscatto per la comunità che rappresento con fierezza. Chiunque in futuro vorrà partecipare a questo agone del cambiamento, renderà la società in cui tutti viviamo un posto migliore.
Perché hai scelto di scrivere di Coco Chanel?
In verità è stata una scelta che arriva dall’editore e per me è stato un incipit provvidenziale: sono un’appassionata del periodo della Belle Époque; penso sia stato un momento storico fra i più prolifici, tra metamorfosi sociali, avanguardie artistiche e una produzione letteraria accesa all’introspezione: la “Recherche” di Proust su tutti. Confido di poter portare al mio inchiostro altri personaggi femminili che hanno influito sull’estetica e sul costume contemporaneo e magari eroine di rivendicazioni sociali.
Quali sono le curiosità su di lei che ti hanno colpita di più?
Il mimetismo che caratterizza Gabrielle “donna” è trasfigurato anche nelle relazioni d’amore. La couturier si relazionava a ogni suo amante in una maniera singolare e del tutto imprevedibile: con Étienne Balsan, per esempio, stabilì un certo cameratismo amicale per sottrarsi al meschino confronto, tipico per l’epoca, con altre donne più avvenenti di lei e in questo modo divenne l’Unica, in un serraglio di attrici e demi-mondaine; con Arthur Capel invece, pur usufruendo dei vantaggi e delle garanzie economiche che le arrivavano dalla relazione con l’uomo, cercò immediatamente di sdebitarsi di tutto l’ammontare di un prestito pur rimanendone l’inseparabile amante. E la lista potrebbe continuare, ma è tutto nero su bianco nel libro.
Quali altre donne presenti nella collana ti affascinano?
Mi affascinano molto le donne che, nel medioevo sono riuscite a emergere e imporsi: mi è quasi impensabile come queste siano riuscite, non a galleggiare, ma addirittura a primeggiare. Ancora oggi, malgrado secoli di rivendicazione, si assiste al permanere di condizioni femminili quasi inermi al teorema del patriarcato strutturale. Non oso immaginare in che acque burrascose abbiano dovuto remare donne come Anna Bolena, Lucrezia Borgia o Giovanna d’Arco, tutti nomi contemplati nella collana.
In un tuo recente post su Instagram ringrazi per questo risultato anche tutte le persone che ti hanno ferita nella tua vita. In particolare è interessante il riferimento alla tua insegnante di italiano. Qual è il tuo suggerimento per i giovani che potrebbero trovarsi a vivere situazioni del genere?
Sì, sono cresciuta in una realtà di provincia, le scuole medie rappresentano un capitolo che ricordo con grande fastidio. Io ero l’unica in classe che proveniva da una famiglia di genitori divorziati, la lettera scarlatta in quella realtà mi fu fatta pesare parecchio in seno a un ambiente che dovrebbe tutelare l’infanzia. Durante un compito d’italiano usai il termine “paludamento” per un componimento di Giuseppe Parini. Forse era troppo ardito per la sensibilità dell’insegnante e divenni suo bersaglio: ero figlia di divorziati e forse con una sensibilità troppo femminea. Continuai quegli anni a denti stretti, feci di quell’assurda debolezza il mio punto di forza: al liceo mi divertivo a coniare neologismi che menti molto più illuminate apprezzavano molto. La chiave per disarmare il “nemico” è mutare il proprio punto debole in un’arma: nel mio caso fu una “parola” mal digerita, ma oggi eccomi qui.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro come attivista per i diritti LGBTQIA+?
Sono fermamente convinta che ognuno di noi abbia un massimo comune denominatore che ci accomuna tutti: si chiama umanità. Anche il più vile dei dittatori è in grado di empatizzare con realtà apparentemente estranee al proprio orticello. Ebbene io mi metto nei panni dei loro figli, dei loro nipoti, voglio che vivano in un mondo diverso da quello che ci hanno consegnato, nella certezza di annettere alla parola “diversità” il pregio meraviglioso che merita e non il difetto che hanno stigmatizzato: questo è ciò per cui voglio battermi.
© Röxy Ceron Vergani