La grande saga di Brookfield House
La storia che state per leggere si potrebbe intitolare anche “Il cottage dei destini incrociati”, perché è davvero straordinaria l’alta concentrazione di personaggi celebri che
Brookfield House, a Elstead, Surrey. Foto Henry Diltz.
A due ore da Londra, proprio nel cuore della campagna del Surrey, Brookfield House sorge al limitare di Elstead, “the best village in the world”. La sua storia comincia nel Medioevo, quando fu costruita come fattoria. I primi mutamenti significativi risalgono al 1617: un contadino di nome Heath comprò l’intera proprietà e, con il legname recuperato dalle navi che avevano combattuto le guerre contro la Spagna, costruì un nuovo edificio, più o meno corrispondente a quello che esiste tuttora. Nel ’900, la storia di Brookfield House registra nuovi, più straordinari avvenimenti: «Se quei muri potessero parlare», dice Henry Diltz, fotografo del r’n’r e testimone di tre decenni di lifestyle americano, mentre sfoglia le pagine dei suoi diari di quegli anni, «racconterebbero storie incredibili: per almeno mezzo secolo, Brookfield House ha ospitato alcune delle personalità più creative del cinema e della musica».
Peter Sellers (1925 - 1980) e Britt Ekland, sposi novelli a Brookfield House, febbraio 1964. (Photo by Larry Ellis/Express/Getty Images).
© Larry Ellis
È il 1964: poco prima del suo secondo matrimonio con la poster girl svedese Britt Ekland, Peter Sellers compra la casa da Spencer Tracy, dei cui soggiorni a Brookfield nulla si sa di preciso. I ricordi dell’attrice sono invece vivissimi: «Abbiamo vissuto in quella casa fino al ’68, poco prima del divorzio. Non era molto grande, c’erano tre stanze da letto, uno studio, una sala da pranzo, un piccolo soggiorno, cucina e, sopra il garage, una sala di proiezione; poi una sauna e la scuderia. In un granaio, sull’altro lato della strada, davamo spesso dei party». Era stato il maniacale Sellers a volere la rimessa per ospitare la sua sterminata collezione di automobili; non a caso, si dice che cambiasse auto tanto spesso quanto i comuni mortali cambiano la biancheria intima. Va accreditata interamente all’attore, che aveva una vera passione per il giardinaggio, anche la trasformazione degli antichi acquitrini in splendidi laghetti e delle distese di erbacce in lussureggianti colline. Grazie a lui, tutta la proprietà divenne un vero paradiso terrestre. Nel 1968, Sellers vendette Brookfield a Ringo Starr per 70mila sterline, benché John Lennon gliene offrisse 150mila. «Peter e Ringo si erano conosciuti da poco sul set di “The Magic Christian”», ricorda Diltz, «ed erano diventati amici inseparabili. Quando Ringo comprò la casa, scoprì un set di batteria con cui Sellers aveva iniziato la sua carriera di musicista e ciò accrebbe il loro legame».
Ringo Starr nel parco di Brookfield © Douglas Kirkland/CORBIS.
© Douglas Kirkland
Uno dei complici dell’attore in questa trasformazione fu John, il giardiniere, il solo e unico keeper a occuparsi dei giardini, chiunque fosse il proprietario. «Apparteneva alla casa, non ai suoi inquilini», continua Diltz. «Abitava in paese ed era uno dei pochi con libero accesso alla proprietà, così come il meccanico, il macellaio e l’ortolano: proprio come nel Medioevo. John era responsabile della manutenzione dei giardini, dei laghetti e dei boschi di betulle. A volte, lo si vedeva sotto la pioggia mentre piantava bulbi e crochi, fumando l’inseparabile pipa». Nell’autunno del 1969, Ringo, dopo un ulteriore restauro di 50mila sterline, affittò Brookfield a Stephen Stills, che poi la comprò, nel 1970, per centomila. «Un giorno Stills mi chiama», ricorda Diltz, «e dice: “Henry, mi sono rotto un braccio guidando la Ferrari; puoi aiutarmi a trovare un posto dove passare la convalescenza?”. Conoscevo un dj che aveva una bellissima casa alle Hawaii: l’idea piacque così tanto a Stephen che mi invitò, se fossi stato libero da impegni, a trascorrere un paio di settimane insieme». Cominciò così per i due vecchi amici un bizzarro peregrinare che dalle spiagge assolate li portò nell’innevato Colorado, nella casa di montagna di Stills, per concludersi, di lì a poco, in Inghilterra, dove il musicista aveva appena affittato il cottage di Elstead. «Ci ritrovammo a guidare per quelle strade tipicamente inglesi, tortuose e nebbiose, circondate da colline di prati verdissimi. Arrivammo al tramonto e capimmo subito che eravamo in un posto magico, dove tutto sembrava essersi fermato ai tempi di D.H. Lawrence». Diltz trascorse tre mesi nella proprietà, dove, oltre a incontrare la crème del rock del momento, scattò foto in continuazione. «Stills aveva deciso di trasferirsi lì per registrarvi il suo nuovo album come solista. La casa era sempre piena di gente, ma era la cucina il vero fulcro di ogni attività, specie di notte, quando, sfruttando il diverso fuso orario, Stephen telefonava in California ad amici, agenti e produttori. L’atmosfera era davvero eccitante: un intrico di storie d’amore, litigi e riappacificazioni con le varie cantanti, attrici e girlfriends degli ospiti; per non parlare del côté allucinogeno, tipico di quegli anni, a base di erba ed lsd».
Stephen Stills e Graham Nash nella stanza del biliardo, 1970. Foto Henry Diltz.
Stills ha sempre dichiarato che Brookfield è uno dei luoghi che più l’hanno ispirato nella composizione di molti dei suoi pezzi più noti, anche grazie ai fantasmi che popolavano la casa. «Per Stephen, una delle persone più importanti era – e ancora rimane al centro dei suoi racconti – John il giardiniere: il pilastro della proprietà, lo stesso al quale Sellers si ispirò per la parte di Chauncey in “Oltre il giardino” e che iniziava un discorso dicendo ogni volta in tono serissimo: “Quando Mr. Sellers viveva qui”. Stills, che era rimasto conquistato dagli straordinari infusi d’erbe preparati da John, gli dedicò la canzone “Johnny’s garden” (nell’album “Manassas”, 1972, ndr); compose quel pezzo senza dirglielo e lo cantò in un concerto alla Royal Albert hall: John, in prima fila, si commosse fino alle lacrime». Diltz ebbe modo di assistere anche a una visita di Sellers, invitato a trascorrere una giornata nella sua vecchia casa: «Stills e Nash lo avevano incontrato a Londra. Fu allora che Stephen gli disse di avere comprato la casa e soprattutto gli chiese notizie sul conto di John. Una mattina fui svegliato da alcune risate, mi affacciai alla finestra e vidi Sellers, Stills e John, immersi in quel verde incredibile, conversare come vecchi amici. Presi la fotocamera e cominciai a scattare».
Stephen Stills nella cucina di Brookfield House. Foto Henry Diltz
«Ho vissuto a Brookfield House dal ’73 al ’99», racconta Gordon Stead, imprenditore immobiliare. «La acquistai da Tony Lonsdale. L’aveva comprata dall’etichetta di Stills, la Atlantic Records, che vi aveva installato uno studio di registrazione, rimasto quasi inutilizzato, se non nel periodo di residenza di Stills. La casa era malmessa, ma la caparbietà e gli investimenti di Lonsdale la riportarono allo splendore originario». Tony Lonsdale, padre di Chloe Lonsdale, designer dei jeans MiH (acronimo di Made in Heaven), è stato un pioniere del brit denim: nei primi ’70 aprì la boutique Jean Machine, nell’allora groovy Kings Road, che divenne uno dei negozi londinesi più di tendenza, tanto da moltiplicarsi in tutte le grandi città inglesi. «Subito dopo, Lonsdale sposò la modella Chekkie Maskell», continua Stead con un calmo accento britannico da film di guerra degli anni 50. «I tabloid la ribattezzarono subito “Blue Jean Bride”, anche perché era la modella della campagna pubblicitaria dei jeans Made in Heaven». Che, indossati a quel tempo da Farrah Fawcett, Jerry Hall e Twiggy, divennero un cult. «Chekkie voleva vivere a Brookfield e, d’altro canto, Tony aveva subito capito che occasione fosse comperare quella casa, che, oltre a essere antica, aveva una storia così particolare», chiosa Stead. «Con tutti i milioni di sterline che ha guadagnato, si sarà di certo trasferito in qualche grandioso castello, proprio mentre io traslocavo a Brookfield. Se la casa non è tanto grande – oltre alle cinque stanze da letto nel corpo principale, ve ne sono altre due in un’ala separata –, il luogo è splendido: vi abbiamo passato momenti davvero incantevoli. Nella tenuta ci sono poi tre laghetti con pesci, oche, anatre e cigni. Ho esteso la proprietà a otto ettari, includendo anche i terreni che costeggiano il fiume. Volevo conservare l’aspetto rurale dell’insieme perché non fosse rovinato dalla speculazione edilizia; c’è stato un momento in cui nei prati pascolava un gregge di oltre cento pecore». Stead ha raccolto molte foto e testimonianze della casa, ricostruendone la storia. «All'inizio, era a un piano solo, con un soffitto molto alto, vari focolari e un unico camino, al centro del tetto». A proposito delle opere realizzate da Heath nel ’600, conferma: «Nelle travi, si vedono ancora i fori per le funi e i solchi in cui scorrevano. Tutto quello che ho aggiunto io è stata una nuova ala; e ho dovuto penare per rispettare il progetto originale. Ho impiegato mesi per trovare lo stesso tipo di mattoni e, siccome era impossibile avere delle travi simili, ho usato legno di quercia francese per i pavimenti e gli infissi delle finestre. Ma il risultato è stato impeccabile».
Peter Sellers, John il giardiniere e Stephen Stills, a Brookfield House, novembre 1970. Foto Henry Diltz.
Tra i ricordi di Stead, anche il ritrovamento di alcuni reperti appartenuti a Ringo. «In soffitta c’era una cassa piena di memorabilia dei Beatles – corrispondenza, targhe, riconoscimenti, una lettera del sindaco di Liverpool che si felicitava per la nascita di Zak, note contabili che informavano Ringo dell’arrivo dell’ennesimo assegno da 50mila sterline. Purtroppo, umidità e muffa avevano rovinato tutto». Stead ebbe anche modo di incontrare Sellers, tornato a vedere che ne era della sua vecchia casa: «Rientrando da una passeggiata, vidi un uomo che sbirciava nel giardino attraverso il cancello. Per Giove, era Sellers! Così invitai lui e sua moglie, Miranda Quarry, a entrare per una tazza di tè. Sellers fu di una simpatia irresistibile: quando se ne andò, avevo le costole indolenzite per le risate fatte mentre mi raccontava le più esilaranti vicende della casa, imitando le differenti voci dei vari personaggi». Che ne è di John, fil rouge di questa storia? «Ebbi modo di fargli varie domande, ma non lavorò per me», ricorda Stead. «Comunque, dopo avere venduto Brookfield a John Benn, editore e cugino di Tony Benn, membro del Parlamento, ho perso ogni contatto con lui e la casa». Chi vi abita ora? «So che è stata poi venduta a un uomo d’affari italiano, che la usa come residenza per le vacanze e arriva su una misteriosa auto nera. Tra i miei conoscenti, nessuno sa chi sia. E al pub dicono: “They don’t drink round these parts”».