Pieces of a woman su Netflix: trama, recensione e interviste
Intimo e straziante: il film Pieces of a woman, disponibile su Netflix dopo l’anteprima alla Mostra del cinema di Venezia che ha premiato la protagonista
La storia
La storia, diretta da Kornél Mundruczó con la sceneggiatura di Kata Wéber, sua ex partner, s’ispira ad un’esperienza diretta della scrittrice. Con la firma di Martin Scorsese come produttore esecutivo, racconta un episodio che cambia per sempre il matrimonio di Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf). La donna decide di partorire in casa ma la nascita del primogenito si trasforma in un incubo quando durante il travaglio il piccolo perde la vita. La madre di lei, Elizabeth (Ellen Burstyn), intenta una causa ai danni dell’ostetrica ma nel frattempo l’elaborazione del lutto prende pieghe diverse nei vari personaggi.
Shia LaBoeuf e Vanessa Kirby in Pieces of a Woman
© Benjamin Loeb / Netflix
La parola alle donne del cast
Vanessa Kirby (che ha interpretato anche la principessa Margaret in The Crown) ha raccontato a Vogue durante la video-intervista via Zoom che per calarsi nei panni di questa madre ha assistito a un parto dopo sette ore di travaglio. “Quel momento – parole sue - è stato semplicemente immenso e profondo. Ho assistito alla sua resa, nel senso reale del termine “resa”, ossia gli istanti in cui lei era in un momento d’agonia e di estasi al tempo stesso e si è lasciata totalmente andare all’esperienza che stava vivendo. Mi ha insegnato molto ad essere presente, a vivere le sensazioni quando arrivano, per quanto a disagio possano mettermi. Ecco, nel ritmo di contrazione ed espansione del suo corpo ho scoperto il vero significato della vita”.
L’attrice, di solito molto calibrata, si è mostrata esposta e vulnerabile, pronta a condividere quel turbinio di sensazioni che sperimentare la maternità (e la perdita) per esigenze di copione le ha provocato come essere umano. Considerando invece il tutto dalla prospettiva di una celebrity, quel trauma assume una valenza non sono personale ma universale: “Quando un personaggio pubblico – parole sue – decide di rendere noto un aborto quel dettaglio così intimo della sua vita diventa un manifesto di coraggio per altre donne che hanno vissuto lo stesso dramma senza riuscire a parlarne. Credo che tutti – e il film ne parla diffusamente – sperimentino la perdita in modo specifico e unico, se qualcuno la vuole mantenere privata e non se la sentono di condividerla, lo capisco, ma penso che rompere il muro del silenzio porti la conversazione ad un livello di connessione maggiore”.
Vanessa Kirby
© Benjamin Loeb / Netflix
Nel film Ellen Burstyn interpreta Elizabeth, la madre di Martha, che reclama a gran voce giustizia per quanto accaduto dopo la nascita della nipotina. “Stiamo vivendo in un periodo storico – spiega a Vogue - in cui la verità di quanto accade è difficile a volte da trovare, personalmente mi sono ritrovata assetata di sapere da dove viene questo virus e cerco fonti affidabili perché io possa fare chiarezza (sullo stato della sanità, ndr.). In un certo senso anche il mio personaggio vuole andare a fondo, spinge la figlia a tirar fuori quello che sente, a reclamare risposte e ammissioni di colpa. Penso che abbia ragione, anche se forse il modo che usa non è il più giusto”.
Dietro le quinte del dramma
Il realismo quasi soffocante del film è dovuto in gran parte al fatto che la vicenda è realmente accaduta al regista e alla sceneggiatrice, quando erano ancora una coppia. Kornél Mundruczó e Kata Wéber hanno vissuto sulla loro pelle cosa voglia dire affrontare un lutto in maniera diversa: “A volte andare avanti – spiega lei – sembra quasi un tradimento nei confronti della perdita, ma è proprio quello in momento in cui bisogna parlarne. Statisticamente, la metà delle coppie si sfascia dopo un aborto, come succede ai protagonisti del film. Sean vuole ritornare a com’erano prima della gravidanza, Martha resta aggrappata a quel legame con il bebè”. “La protagonista – le fa eco lui – resta una madre, non molla, anche se ha tenuto in braccia la figlia per appena cinque minuti, e non cede alle pressioni della famiglia e dell’ospedale perché è questa la sua strada per elaborare la morte della bambina, il suo processo di guarigione”.
Vanessa Kirby al Festival di Venezia 2020
A differenza di quanto si possa pensare, i due sono convinti che Pieces of a woman sia un inno alla speranza e il fatto che sia stato mostrato in sala è sembrato loro sia un piccolo miracolo che un segno dall’alto: “Siamo stati fortunati a partecipare al Festival di Venezia – conclude Kornél Mundruczó – e a vivere quella, breve parentesi di normalità, anche se solo per dieci giorni, ci siamo goduto ogni secondo della condivisione di quest’esperienza con il pubblico. Per la prima volta gli spettatori venivano da noi per parlare delle loro storie, non ci facevano commenti sul film ma ci lasciavano entrare nelle proprie vite, il che, visto il grado di isolamento e disconnessione umana che stiamo vivendo a causa della pandemia, è stato un regalo. Così come il sostegno di Netflix che ha davvero fatto la differenza”.