Charles de Vilmorin, la nuova star couture della generazione Z
Se leggete con attenzione il calendario dell’alta moda per la primavera estate 2021 noterete che, accanto alle maison storiche come Dior e Chanel, c’è un
De Vilmorin ha preso una decisione molto coraggiosa, quella di presentare la sua griffe omonima su Instagram durante il primo lockdown in Francia, nel marzo scorso. Un rischio che valeva sicuramente la pena correre, visto che i suoi abiti dal mood super positivo, poetico e piacevolmente ‘grafico’ hanno subito catturato l’attenzione della stampa fashion internazionale. Inoltre, il fatto che sia stato invitato a sfilare nel calendario dell’alta moda è un chiaro segnale che la couture sta cambiando. “Per me, la couture non è solo lusso, è anche fantasia, e io voglio far vedere qualcosa che sia fuori dall’ordinario”, afferma il designer francese. “Non lavoro come i grandi brand. Voglio rimanere indipendente e creare esperienze uniche”.
© Guillaume Plas
Con un business model ‘su misura’ incentrato sull’abbigliamento genderless, de Vilmorin è un esponente dell’approccio inclusivo ed eco-consapevole che è tipico della generazione Z. “Gli abiti creati per un genere specifico oggi non hanno più rilevanza” dice. Appassionato illustratore, fresco di diploma alla École de la Chambre Syndicale de la Couture Parisienne, nella sua collezione di debutto, che si ispira all’idea di libertà, lo stilista lascia che i suoi disegni prendano vita in silhouette esagerate dai colori psichedelici, o dipingendo direttamente sulla pelle, trasformando il viso e il corpo in una tela da riempire.
In attesa del lancio della sua collezione attraverso un film, il 27 gennaio, Vogue ha parlato con il giovane designer su Zoom di sostenibilità, moda genderless e del futuro della haute couture.
Come è nato il tuo interesse per la moda e per gli abiti?
“Mia nonna e la mia bisnonna disegnavano abiti da sposa, e questo ha fatto nascere in famiglia una sensibilità particolare per l’arte e per la moda. Gli abiti sono sempre stati argomento di conversazione per noi, quindi per me è stata una cosa molto naturale”.
Quali sono state le tue influenze dal punto di vista creativo?
“John Galliano perché mi ha ispirato a disegnare abiti, Christian Lacroix per i colori, e Alexander McQueen per il desiderio di raccontare un storia. Sono stato anche ispirato da Tim Burton e da Chagall, Matisse e Dalí, tutti artisti con un loro mondo onirico e poetico”.
© Guillaume Plas
Come è nata l’idea di trasferire le tue illustrazioni sugli abiti?
“Disegnare rappresenta l’inizio del mio processo creativo, lo faccio da quando ero bambino. Vado pazzo per le stampe, quindi adoro mettere i miei disegni sul tessuto. In tutte le mie creazioni ci sono disegni fatti a mano”.
Com’è stato studiare alla École de la Chambre Syndicale de la Couture Parisienne?
“All’inizio è stato difficile, perché nessuno capiva il mio approccio libero, che non segue il normale processo creativo che cercano di insegnare. Dal secondo anno in poi, i miei insegnanti sono stati più comprensivi. Ho imparato ad adattarmi, ma anche a lasciare che gli altri si adattassero a me”.
© Guillaume Plas
Perché hai deciso di lanciare la tua prima collezione durante il primo lockdown?
“Non ci ho pensato molto, perché era da sempre il mio obbiettivo, si è presentata l’opportunità e io non ho resistito. Per me aveva senso lanciarla proprio in quel momento, perché il mondo attraversava un momento davvero buio, e io volevo portare colori e felicità a tutti”.
Quali sono le idee alla base della collezione Couture PE21?
“È la continuazione della mia prima collezione e l’idea centrale è la libertà. Volevo tantissimo colore, e i simboli della liberazione sui tessuti, ma anche presentare gli abiti su diverse tipologie di fisico. Ho creato vestiti, camicie, collant, giacche imbottite e fiori di tessuto sulle extension per capelli.
“L’idea di libertà è evidente nei disegni, così come i vestiti con grandi seni ricordano le donne di Niki de Saint Phalle, mentre le farfalle dipinte e nelle silhouette evocano l’idea del volo. Volevo un effetto stropicciato, per questo ho dipinto su seta con colori acrilici e inchiostro di china”.
Con chi hai collaborato per il tuo film, e di cosa tratta?
“Con Manon Engel e Alma de Ricou dello Studio L'Étiquette che hanno realizzato il film. Ho anche collaborato con MAC per il trucco e per il body paint, che è coloratissimo. Il makeup è stato sempre molto importante nel mio processo creativo, mi piace esprimere qualcosa attraverso un volto.
“Il video, come la collezione, parla di libertà ed è sperimentale. Gli abiti vengono presentati come dei dipinti che prendono vita. A indossarli sono alcuni dei miei amici più cari, quelli che ci sono sempre stati, fin dall’inizio, siamo una piccola community di artisti animati dalle stesse idee”.
© Guillaume Plas
Perché gli abiti genderless sono così importanti per te?
“Oggi che la società sta cambiando, gli uomini e le donne non dovrebbero più vestirsi in un modo specifico. Se un uomo vuole indossare un vestito, deve poterlo fare. Il fatto che le fashion week stiano diventando sempre più gender-mixed è una cosa estremamente positiva”.
Sei uno dei designer più giovani nel calendario couture: come ci si sente?
“All’inizio ero un po’ spaventato, perché pretendo sempre moltissimo da me stesso e quindi questa cosa è stata piuttosto travolgente. Alla fine ho lasciato andare queste sensazioni, e mi sono messo sotto con il lavoro, e questo mi aiutato a non pensare troppo al mio processo creativo e a quello che pensavano gli altri”.
Come pensi di riuscire a fare interessare i giovani alla couture attraverso il tuo lavoro?
“Offrendo più contenuti. Voglio creare una fantasia che è portabile, grazie a capi in cui le generazioni più giovani possano riconoscersi. Utilizzo Instagram per restare connesso con le community più giovani”.
© Guillaume Plas
Fra i tuoi obbiettivi c’è quello di dirigere una maison, o pensi di concentrarsi solo sul tuo brand?
“Diventare il direttore creativo di una maison francese è un sogno, ma ovviamente voglio prima crescere il più possibile con il mio brand”.
Che cosa speri per il futuro della fashion industry?
“La moda deve pensare di più alle pratiche eco-friendly e all’impatto dei cambiamenti climatici e meno a fare soldi. Io creo abiti su ordinazione, credo sia l’approccio più sostenibile. Dobbiamo adattare il nostro modo di fare e di comprare abiti per il bene dell’ambiente”.