Che cosa c'entra la biodiversità con la moda?
Siamo ormai tutti consapevoli della crisi del clima che abbiamo di fronte. Ma c’è anche un altro problema da affrontare, quello della biodiversità – la varietà
“Non è solo per gli animali che amiamo e che ci piace scoprire, abbiamo bisogno della natura per prosperare,” dice a Vogue Bambi Semroc, vicepresidente per i mercati e le strategie sostenibili dell’organizzazione non-profit statunitense Conservation International. “La biodiversità e gli ecosistemi ci forniscono l’acqua fresca di cui necessitiamo, il cibo che mangiamo. Abbiamo bisogno di questi ecosistemi per restare in salute.”
Preservare il nostro ecosistema è importante anche per la crisi del clima, e la deforestazione è un esempio evidente di come stiamo perdendo i pozzi naturali di carbonio del nostro pianeta (che assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera). “La natura ha un ruolo centrale nel risolvere la crisi del clima”, aggiunge Semroc. “Circa il 30% della soluzione al cambiamento climatico deve venire dalla natura”.
Qual è l’impatto della moda sulla biodiversità?
Per fortuna l’industria della moda sta lentamente prendendo coscienza del suo impatto sulla biodiversità. “Gran parte delle nostre materie prime provengono direttamente dagli allevamenti, dall’agricoltura, dai paesaggi, dalle foreste,” dice Marie-Claire Daveu, a capo dello sviluppo sostenibile del gruppo Kering e responsabile degli affari istituzionali internazionali.
Coltivare il cotone – che costituisce un terzo delle fibre contenute nei nostri vestiti – può portare al degrado del terreno e alla perdita di habitat e può anche danneggiare le specie attraverso l’uso di pesticidi dannosi. Quanto al cuoio, proviene dall’allevamento di bestiame, un’industria responsabile del 70 per cento della deforestazione della foresta amazzonica. Anche la viscosa contribuisce sensibilmente alla deforestazione, con 150 milioni di alberi abbattuti ogni anno per produrla.
“Non c’è bisogno di abbattere alberi di 800 anni per fare le magliette,” dice Nicole Rycroft, fondatrice e CEO della non-profit canadese Canopy. “Gli ecosistemi forestali sono l’habitat dell’80 per cento delle specie terrestri con cui condividiamo questo pianeta, e la perdita di habitat è un fattore determinante nel declino della biodiversità che stiamo osservando. La moda ha un impatto enorme.”
Altre fibre naturali come la lana e il cashmere possono portare al degrado del terreno e all’alterazione delle catene alimentari, mentre le fibre sintetiche come il poliestere provengono dall’estrazione di combustibili fossili, che porta anch’essa al degrado e alla perdita di habitat (per non parlare delle emissioni di gas serra dei milioni di microplastiche dannose che vengono successivamente rilasciate negli oceani).
Quali sono le soluzioni?
Più di 200 brand di moda si sono impegnati a ripristinare la biodiversità secondo il Fashion Pact, con il quale si impegnano anche a sostenere la zero-deforestazione e la gestione sostenibile delle foreste entro il 2025. Kering, proprietario di Gucci, che ha presentato l’accordo, si è inoltre impegnato ad avere un impatto netto positivo sulla biodiversità entro il 2025, e ha lanciato il Regenerative Fund For Nature con Conservation International, che mira alla transizione di un milione di ettari di attuali colture e terreni per il pascolo del bestiame a pratiche di agricoltura rigenerativa nei prossimi cinque anni.
“La nostra strategia per la biodiversità ruota attorno a quattro pilastri,” dice Daveu. “Il primo è evitare impatti negativi sulla biodiversità; il secondo è ridurre la perdita di biodiversità con nuove metodologie scientifiche e certificazioni dei materiali; il terzo è ripristinare e rigenerare gli ecosistemi; e il quarto è trasformare – superare i nostri limiti come Kering e collaborare con altre industrie per rivoluzionare la catena di produzione.”
Il tema dell'utilizzo della viscosa ha visto un notevole progresso negli ultimi anni, con Canopy che insieme a stilisti come Stella McCartney, Eileen Fisher e Levi’s fa pressione sui fornitori per accertarsi che la loro viscosa non provenga da foreste antiche e in pericolo. Secondo un rapporto del 2020, oggi il 52 per cento della viscosa a livello globale non proviene da queste foreste protette, un grande miglioramento rispetto al 28 per cento del 2018.
Anche l’agricoltura rigenerativa, che comporta pratiche come il no-tillage e la diversificazione delle colture, sta ricevendo molta più attenzione di recente per la sua capacità di ripristinare la salute del terreno e dei nostri ecosistemi. “Quando il terreno è vivo, smetti naturalmente di dipendere dagli erbicidi chimici perché il terreno è attivo,” spiega Rebecca Burgess, fondatrice dell’organizzazione non-profit Fibershed, in California. “Il terreno diventa anche una culla per tutte queste altre specie di piante, come i meravigliosi fiori di campo, il che significa che le popolazioni di api native stanno meglio – ci possono essere tutti questi effetti a cascata.”
Brand come Mara Hoffman ora stanno usando anche la lana Climate Beneficial di Fisherbed, anch’essa prodotta con un processo che ripristina i nostri ecosistemi. “Uno degli allevatori del nostro consorzio di fibre di lana, per esempio, ha quasi finito di ripristinare 3mila acri di terreno per degli uccelli in via d’estinzione chiamati galli della salvia,” dice Burgess. “Quindi è una bella sinergia tra il ripristino dell’habitat e la produzione di fibre.”
Quali sono i prossimi step?
L’industria della moda dovrà senza dubbio investire di più in questo tipo di iniziative e lavorare in stretta collaborazione con i fornitori affinché si verifichi un cambiamento esteso – oltre a passare ad alternative riciclabili, dato l’impatto delle materie prime sul nostro pianeta. Con il 2021 destinato a essere un anno fondamentale per la biodiversità grazie al vertice delle Nazioni Unite sul tema che si terrà in Cina a maggio, è importante coinvolgere brand di tutta l’industria. “Dobbiamo approfittare di questo momento per spingere la gente a prendere decisioni concrete per trasformare la catena di produzione,” dice Daveu.
Quanto ai consumatori, il primo passo da fare è riconoscere che i nostri vestiti provengono dalla natura e l’impatto che questo ha. “Possiamo sostenere brand che adottano delle pratiche per proteggere la biodiversità”, conclude Rycroft. “E assicurarci che quando compriamo dei vestiti, stiamo davvero scegliendo cose che amiamo e che pensiamo di poter indossare anche tra 5, 10 e persino 25 anni.”