Chi vincerà l'Oscar 2021 come Miglior Film

Agli Oscar 2010 l’emozionante film di guerra di Kathryn Bigelow, The Hurt Locker, è stato il primo film diretto da una donna ad aggiudicarsi la statuetta

per il miglior film. Oggi, più di dieci anni dopo, il poetico road movie di Chloé Zhao, Nomadland, potrebbe essere il secondo,  alla cerimonia degli Oscar 2021 il 25 aprile. È il racconto intenso, empatico e profondamente commovente del viaggio di una donna attraverso gli USA all’indomani della grande recessione, e affronta tematiche che in questo momento ci sembrano più significative che mai dopo un anno di lockdown discontinui e sollevazioni sociali: solitudine, incertezza economica, resilienza, e le comunità che  ci sostengono nelle ore più buie. Difficile immaginare una scelta più adatta per l’Academy — o una scelta migliore, per dirla tutta, anche se non è detto che sarà proprio questo il film che vincerà. 

Parasite (2019)

© Curzon Artificial Eye/Kobal/Shutterstock

I più ottimisti, però, citano la vittoria del capolavoro del regista  sudcoreano Bong Joon-ho, il dramma satirico Parasite che ha trionfato agli Oscar 2020. Il premio per il miglior film, il primo vinto da una pellicola non in lingua inglese, è stato accolto come un segno che gli sforzi da parte dell’Academy di diversificare il suo corpo votante stavano avendo un impatto concreto. Ci si domanda però se questo risultato epocale sia stato un caso isolato, o se la vittoria del film sui suoi avversari più convenzionali (fra cui C’era una volta a Hollywood…, 1917, The Irishman) fosse l’indicazione che gli Oscar stessero finalmente prendendo una direzione più inclusiva  e progressista

L’opinione diffusa era però che ci sarebbe voluto almeno un altro anno per averne la certezza. Di sicuro, se Nomadland — un film che parla di una donna che ha più di 50 anni (interpretata con grande sensibilità da Frances McDormand, mai stata così brava) e diretto da una donna di colore, due categorie spesso ignorate dall’ Academy — dovesse vincere, forse vorrebbe dire che le cose stanno cambiando davvero. Ma è importante ricordare che Hollywood ha dimostrato troppe volte di non essere al passo con i tempi. Prima di Parasite, il miglior film nel 2019 era stato Green Book, la storia di riconciliazione razziale carica di cliché diretta da Peter Farrelly. Fra i vincitori degli ultimi 20 anni ci sono Moonlight, nel 2017, ma anche Crash, nel 2006. Ogni volta che abbiamo sperato fosse l’inizio di una nuova era, i fatti ci hanno smentito.       

“Due passi avanti e uno indietro”

È un senso di delusione che April Reign conosce molto bene. Nel 2015, in reazione a una serie di attori candidati agli Oscar tutti bianchi, ha lanciato l’hashtag #OscarsSoWhite che ha subito dato vita a una vera e propria campagna di giustizia sociale, sollecitando l’Academy a cambiare in meglio, anche se il cambiamento non è stato mai lineare. “Gli Oscar sono come un pendolo che ogni anno oscilla avanti e indietro”, dice Reign, che era presente la sera in cui Green Book ha vinto. “Prima vediamo vincere diverse persone di colore, poi, alla fine, smettono di sostenerci. Due passi avanti e uno indietro”.

Judas and the Black Messiah (2021)

© Warner Bros/Moviestore/Shutterstock

Reign osserva che nonostante gli sforzi da parte dell’Academy di raddoppiare il numero delle donne e delle persone di colore fra le proprie fila, resta comunque “a forte dominanza bianca e maschile, e dal momento che l’Academy non richiede ai propri membri di visionare tutti i film prima di esprimere il proprio voto, qui si tratta in realtà di una gara di popolarità fra uomini bianchi e più anziani”. E anche se fra gli attori in lizza per gli Oscar 2021, edizione nel segno della diversità,  ci sono 9 attori di colore, lo stesso non si può dire della categoria Miglior Film. Dopo un anno di film acclamati dalla critica con cast a predominanza black, da One Night in Miami di Regina King a Spike Lee con Da 5 Bloods passando per George C Wolfe con Ma Rainey’s Black Bottom, l’unico candidato per il Miglior film è Shaka King con Judas and the Black Messiah.

E anche se secondo lei è una candidatura più che meritata, Reign sperava che il film non dovesse portare su di sé, e da solo, tutto il peso della rappresentatività. “Ci sono tanti film che rispecchiano le diverse sfaccettature di cosa significhi essere black o queer”, dice. “Non vogliamo pensare che ce ne possa essere soltanto uno”. Se il film, un intenso dramma ambientato negli anni 60 con Daniel Kaluuya nel ruolo del leader delle Pantere Nere Fred Hampton, dovesse portarsi a casa il premio più ambito, potrebbe aiutare ad attutire il colpo. Il film, che esplora la questione del razzismo sistemico che perdura da moltissimo tempo,  e della violenza da parte della polizia è sicuramente legato a doppio filo alla situazione attuale.

Favoriti e sfavoriti

Ma ci sono tanti altri candidati che meriterebbero una vittoria. Primo fra tutti Lee Isaac Chung con Minari, la delicata storia di una famiglia coreano-americana che si trasferisce nell’Arkansas rurale. Al centro del film c’è la brillante interpretazione di Steven Yeun nel ruolo del patriarca che insegue i suoi sogni, il primo asiatico americano a ricevere una nomination come miglior attore. Poi c’è anche Darius Marder con il suo Sound of Metal, la commovente storia di un batterista che sta perdendo l’udito, il cui protagonista, il magnetico Riz Ahmed, è anche fra i candidati a miglior attore, il primo musulmano in questa categoria.

Carey Mulligan (a sinistra) e la regista e sceneggiatrice Emerald Fennell sul set di Promising Young Woman (2021)

© Merie Weismiller Wallace

Ma c’è anche Promising Young Woman, l’esplosiva storia di vendetta nell’era del #MeToo la cui regista, Emerald Fennell, è la prima donna britannica (e una delle sole sette donne nominate in 93 anni di storia degli Oscar) a ricevere una nomination per la miglior regia. Per Jennifer Siebel Newsom, la fondatrice di The Representation Project , organizzazione internazionale che si batte contro gli stereotipi di genere e che da tempo sostiene il lavoro delle registe donne, è una cosa molto incoraggiante. E a proposito delle candidature di Fennell e Zhao alla miglior regia e anche per il miglior film, dice: “Si tratta di un cambiamento innegabile. Le storie delle donne sono valorizzate molto raramente agli Oscar, quindi il fatto che due donne siano in lizza per la miglior regia con storie che parlano di donne è qualcosa di straordinario, anche se la strada verso la parità è ancora lunga”.

Per i temi trattati, per la loro portata e attuazione, per non parlare dell’enfasi che pongono sulle esperienze delle donne e delle persone di colore, tutti e tre i film sono davvero molto lontani dal classico film “da Oscar”. Se una qualsiasi di queste opere dovesse aggiudicarsi l’Oscar come miglior film sarebbe un vero passo avanti nella ridefinizione del significato di “film da Oscar”, aprendo la strada a scelte più coraggiose, profonde e particolari.

Il processo ai Chicago 7 (2020)

© Netflix

Gli altri tre film in concorso potrebbero essere molto graditi a quei membri dell’Academy che vogliono invece mantenere lo status quo. Florian Zeller con The Father, il racconto surreale di un uomo che combatte contro la demenza senile, è un film formalmente ambizioso, ma ha per protagonisti due attori amatissimi e già premiati con l’Oscar: Anthony Hopkins e Olivia Colman. Il legal drama di Aaron Sorkin Il processo ai Chicago 7, con i suoi monologhi pieni di rabbia e un cast a predominanza bianca e maschile, è un film fedelmente old-school, anche se strizza l’occhio a tematiche attuali come il potere della protesta.  Fra i favoriti subito dopo Nomadland, il film potrebbe portarsi a casa la vittoria, restando sul qui e ora, piuttosto che guardare avanti.

Mank (2020)

© Netflix

Ma il vincitore più “tradizionalista” sarebbe sicuramente Mank. L’ode all’epoca d’oro di  Hollywood diretta da David Fincher è un film di grandissimo spessore tecnico, ma sarebbe una scelta ben strana se vincesse l’Oscar per il miglior film dopo l’anno che abbiamo vissuto. Il mondo del cinema ama vedersi sullo schermo (basti pensare ai sei Oscar di La La Land nel 2017 e ai cinque di The Artist nel 2012, fra cui anche miglior film), ma la vittoria di un film in bianco e nero intriso di nostalgia e non di un’opera che tocca tematiche molto più attuali non farebbe altro che confermare che, dopo Parasite, il famoso pendolo torna di nuovo indietro, e che  i membri più anziani dell’Academy hanno ripreso il controllo. La prova che tutto questo potrebbe effettivamente succedere?  Con 10 candidature, Mank è il film con più nomination dell’anno.

Un anno anomalo, oppure eccezionale?

Chiunque sarà il vincitore, Reign mette in guardia il pubblico: non leggiamoci più del dovuto. “Gli Oscar esistono da più di novant’anni ed è ancora impossibile capire in che direzione stiamo andando”, dice. Siebel Newsom, d’altro canto, dice di essere “ottimista, perché il risultato ottenuto dalle donne registe è un segnale che le cose stanno cambiando, specialmente se Zhao o Fennell si portano a casa un Oscar”.

Vale la pena anche considerare che il miglior film agli Oscar 2021 potrebbe anche essere un’anomalia, considerata l’attuale predominanza delle piattaforme di streaming e i tantissimi blockbuster usciti in ritardo che potrebbero invece fare il botto nel 2022. È molto più probabile, però, che chi vince quest’anno porrà le basi di quel che verrà. Magari non ci dirà tutto quel che accadrà, ma di sicuro ci farà dare uno sguardo nel futuro.

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