Il 24 aprile del 2013, il mondo gridò allo scandalo quando 1134 persone persero la vita nella straziante tragedia del Rana Plaza in Bangladesh. Le immagini
Otto anni dopo il lutto, la situazione rimane critica e i lavoratori continuano a perdere la vita nella realizzazione dei capi che indossiamo. A novembre 2020, 12 persone sono state uccise da un’esplosione in uno stabilimento tessile del Gujarat, in India. A marzo di quest’anno, 20 persone sono morte e decine sono rimaste ferite a causa di un incendio divampato all’interno di una fabbrica di abbigliamento del Cairo, Egitto e, poco tempo dopo, nella stessa città, il crollo di un edificio di dieci piani ha causato la morte di otto lavoratori ferendone altri 29. In Bangladesh, a Gazipur, l’ennesimo incendio presso uno stabilimento ha riportato una vittima e 42 feriti. \
I vigili del fuoco combattono le fiamme in una fabbrica di abbigliamento a quattro piani situata nella zona industriale della città di Obour, a nord del Cairo, Egitto, 11 marzo 2021.
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“Negli scorsi due mesi, oltre 40 lavoratori tessili sono morti nella sola regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa)”, ha dichiarato a Vogue Christina Hajagos-Clausen, direttrice del settore tessile e dell’abbigliamento presso il sindacato internazionale IndustriALL. “Dopo il Rana Plaza in Bangladesh, c’eravamo detti ‘mai più’ ma la situazione rimane critica per i lavoratori di tutto il mondo. È davvero deprimente pensare che serva la tragedia per cambiare anche solo qualcosa”.
I brand devono assumersi più responsabilità
In seguito al crollo del Rana Plaza, nel 2013, più di 200 brand internazionali tra cui H&M, il proprietario di Zara, Inditex e Adidas hanno firmato l’Accord on Fire and Building Safety, un contratto vincolante che assicura che i lavoratori tessili del Bangladesh abbiano un ambiente di lavoro sicuro. Da allora, sono stati portati a termine oltre 38.000 controlli in più di 1600 stabilimenti verificando le condizioni di due milioni di lavoratori e intervenendo o riparando circa 120.000 tra incendi, pericoli elettrici e guasti agli edifici.
“La sicurezza degli edifici è migliorata enormemente in Bangladesh”, afferma Babul Akhter, segretario generale della Bangladesh Garment and Industrial Workers Federation. Tuttavia, la sicurezza in materia elettrica e di prevenzione degli incendi rimane un problema, come dimostra l’incidente di Gazipur. “C’è ancora tanto lavoro da fare; è un processo in costante evoluzione”, aggiunge Akhter. “È molto importante che i brand continuino a fare pressione sui dirigenti e i proprietari degli stabilimenti affinché rispettino tutte le norme dei contratti”.
L’esistente Accordo, che riguarda solo il Bangladesh, scade a maggio e gli attivisti si stanno già mobilitando chiedendo ai brand di firmare un nuovo contratto internazionale per garantire la sicurezza dei lavoratori tessili anche in altri Paesi e a livello globale”. “Stiamo portando avanti una campagna per un accordo vincolante internazionale”, spiega Christie Miedema, campaign and outreach coordinator presso la Clean Clothes Campaign, una rete mondiale dedicata a migliorare le condizioni di lavoro del settore tessile. “In passato abbiamo visto che i programmi di sicurezza su base volontaria non sono in grado di prevenire tragedie come quella di Rana Plaza.”
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Il Covid ha dimostrato che occorre fare di più
La pandemia ha inoltre messo in luce le enormi difficoltà affrontate da milioni di lavoratori tessili che sono rimasti senza lavoro o hanno subito una riduzione del salario a causa delle cancellazioni degli ordini, da parte dei brand di moda, per un valore pari a miliardi di dollari. Uno studio scioccante condotto dal Worker Rights Consortium (WRC) ha riportato che l’80% dei lavoratori soffre la fame e chi è stato licenziato non riesce a trovare lavoro dall’anno scorso.
“Il Covid-19 ha causato una sofferenza enorme: i lavoratori non vengono pagati a sufficienza per riuscire a risparmiare; per lo più vivono alla giornata”, spiega Dr Sanchita Banerjee Saxena, redattrice di Labor, Global Supply Chains, and the Garment Industry in South Asia: Bangladesh After Rana Plaza (Routledge, 2020). “Ci sono tutta una serie di cose che non sono cambiate [dal Rana Plaza]: le molestie quotidiane, la violenza di genere, la mancanza di qualsivoglia protezione sociale e il problema dei salari troppo bassi”.
Il 14 aprile, il Bangladesh è entrato nuovamente in lockdown a causa dell’aumento dei casi di Covid-19 ma il settore tessile è stato esonerato, il che rappresenta un ulteriore rischio per i lavoratori. “In un Paese come il Bangladesh, praticare il distanziamento sociale o obbligare gli operai a portare la mascherina fino a 15 ore al giorno, in stabilimenti bollenti, non funziona”, continua Dr Saxena. “È diventata una questione del tipo ‘lascio la mia famiglia senza mangiare o rischio di prendere il Covid-19? Naturalmente la famiglia ha la priorità’”
Persone davanti al Rana Plaza, Savar, Bangladesh, 25 aprile 2013.
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I fornitori sono soggetti a pressioni sempre maggiori per produrre capi con scadenze strette e a prezzi ridotti. E questo ha causato un generale peggioramento delle condizioni di lavoro durante la pandemia e si teme persino che la situazione possa continuare con i brand che cercano di recuperare i guadagni persi durante gli scorsi 12 mesi. Aumentano anche le attività anti-sindacali (‘union busting’), che hanno portato ad un numero sproporzionatamente alto di licenziamenti tra membri dei sindacati e attivisti del lavoro, il che riduce, a sua volta, la capacità dei lavoratori di pretendere un salario adeguato e il rispetto dei loro diritti.
Stando a quanto emerso dai report, durante la pandemia c’è stato un aumento delle molestie sul posto di lavoro e la violenza sessuale continua a rimanere un problema enorme. A gennaio, Jeyasre Kathiravel, una lavoratrice tessile di vent’anni, è stata violentata e uccisa dal suo supervisore presso uno stabilimento che rifornisce H&M di Tamil Nadu, India, in seguito a mesi di molestie. H&M ha dichiarato di aver avviato un’inchiesta indipendente sulla sua morte condotta da WRC.
La sicurezza dei lavoratori va oltre le condizioni fisiche degli stabilimenti presso cui lavorano e, ciò che emerge chiaramente è che, otto anni dopo la tragedia del Rana Plaza, continuiamo a non fare abbastanza per proteggerli. E questo è il motivo per cui gli attivisti stanno ora chiedendo ai consumatori di responsabilizzare i brand. Inoltre, la Clean Clothes Campaign ha lanciato un nuovo sito - Rana Plaza Never Again, che permette di entrare in contatto diretto con i retailer. “I consumatori hanno un ruolo molto importante in questo senso: possono fare pressione sui brand”, conclude Akhter. “E supportare, in questo modo, la sicurezza dei lavoratori, un salario dignitoso e i loro diritti”.