Antologia di Casa Vogue. Chez Yves Klein, Paris

Si dice Yves Klein e la prima cosa cui si pensa è il famoso blu che l'artista inventò: un blu oltremare assoluto, l'International Klein Blue. La

prima immagine che invece viene in mente  è quella dell'artista che inarcato, lo sguardo al cielo e i capelli scompigliati si lancia nel vuoto da un tetto. L'immagine è in bianco e nero, ma il cielo uno se lo immagina subito di quel famoso blu. È comunque solo un fotomontaggio realizzato dalla coppia di fotografi Shunk-Kender che, come l'articolo ricorda, hanno documentato spesso il lavoro di  Klein. E tuttavia il risultato finale è impressionante per quanto rende appieno la tensione dell'artista all'assoluto, la sua volontà di vuoto, il desiderio di scomparire, meglio, si potrebbe dire, di entrare nell'immateriale, Del resto, nella sua ricerca di spiritualità, con l'assoluto Klein lavorò spesso presentando mostre totalmente vuote e Dino Buzzati, così serio e posato quanto attento e acuto, che la visitò a Parigi ne rimase affascinato e alla scomparsa dell'artista nel 1962 ne scrisse sul Corriere della sera: “Ecco il suo capolavoro assoluto, fatto esclusivamente di  vuoto, il vuoto di cui egli era il signore. Non esisteva più la tela, non esisteva più il colore, non esisteva neppure la sua presenza fisica, il fatto artistico si dissolveva nel nulla assoluto e nessun al modo doveva venire a saperlo”.  L'articolo che riproponiamo apparve suCasa Voguenell'aprile 2015. (Paolo Lavezzari) 

Yves Klein e Rotraut Uecker con il loro cane Caporal nell'appartamento al 14 di rue Campagne-Première, Montparnasse, (foto Shunk-Kender © Roy Lichtenstein Foundation, lichtensteinfoundation.org)

Esistono strade magnetiche, che intrecciano percorsi urbani a vicende biografiche. Rue Campagne-Première, al centro di Montparnasse, nel 14° arrondissement di Parigi, è una di queste. Da lì sono passati celebri esponenti di avanguardie vecchie e nuove. Marcel Duchamp, Francis Picabia, Kiki de Montparnasse, Tristan Tzara, Erik Satie e Vladimir Majakovskij erano ospiti fissi dell’Hôtel Istria; Elsa Triolet e Louis Aragon hanno abitato al numero 17; Man Ray, Pierre Restany e Jean-Pierre Raynaud al 31bis. Un appartamento al numero 14 è stato invece luogo fondamentale per Yves Klein, segnandone in modo indelebile la vita e la produzione artistica. L’esperienza di Klein è stata breve e intensa, la sua carriera copre a malapena l’arco di un decennio, ma tanto è bastato per imporne l’opera sulla scena internazionale, dando nuovo impulso alla ricerca artistica degli anni Sessanta. Già da ragazzo, Yves è abituato a vivere in una casa dove attività domestiche e ricerca artistica coesistono: nell’abitazione parigina dei genitori, la madre, pittrice, ospita infatti un salotto artistico dal 1946 al ’54, “les lundis de Marie Raymond”, frequentato da intellettuali e artisti. 

Yves Klein e Rotraut Uecker (foto Shunk-Kender © Roy Lichtenstein Foundation, lichtensteinfoundation.org)

Più significativa è la coincidenza totale di arte e vita, aspetto fondamentale della poetica di Klein, che il 7 settembre 1957 scrive sul suo diario: «Un pittore dovrebbe dipingere un unico capolavoro: se stesso, in eterno». Ogni opera, ogni appunto, ogni foto, la stessa quotidianità sono per lui parti di un insieme inscindibile, teso alla ricostruzione dell’universo. L’appartamento di rue Campagne-Première segna inoltre per Klein un momento biografico e artistico importante: la fine di una gioventù nomade e l’inizio della rielaborazione organica di quanto ha acquisito durante i suoi viaggi e nelle sue letture. Tra il 1948 e il ’52, infatti, visita l’Italia in autostop, svolge in Germania il servizio militare, risiede a Londra e a Curragh, in Irlanda, poi a Madrid. Tra il 1952 e il ’53 trascorre sedici mesi in Giappone, dove si specializza nel judo, sua passione ed elemento costitutivo della sua pratica artistica, diventando cintura nera 4° dan. 

Yves Klein in judogi (foto Shunk-Kender © Roy Lichtenstein Foundation, lichtensteinfoundation.org)

Il 1955, l’anno in cui si stabilisce a Parigi, è anche quello della sua prima mostra. Da questo momento, la ricerca della spiritualità attraverso il cristianesimo esoterico dei Rosa Croce e lo zen, l’indagine cromatica, il judo, la filosofia di Bachelard vengono trasformati da Klein in opera e vita, esperienze e interessi. Lo studio del colore diventa indagine sulla monocromia, che dal 1957 si concentra sul blu, colore della spiritualità per eccellenza, tanto che Klein decide di brevettare l’IKB – International Klein Blue –, pigmento di particolare intensità, e si ribattezza “Yves le Monochrome”. Già dal 1958 l’attenzione di Klein si sposta dalla pittura a quella che lui chiama “sensibilità pittorica” con la produzione di opere immateriali come “Il vuoto” o le “Zone di sensibilità pittorica immateriale”. Klein si installa in rue Campagne-Première con Rotraut Uecker, sua assistente e compagna di vita, nella primavera del ’58. L’appartamento, di dimensioni medie, si apre su un ingresso/corridoio, sul quale affacciano le stanze, tra cui una sala spaziosa e un cucinino di forma molto irregolare. Le foto della sua attività nella casa/atelier raccontano della pratica artistica di Klein e delle opere da lui prodotte.

Uno scatto del 1960 di Harry Shunk, fotografo spesso chiamato a collaborare, ritrae Yves e Rotraut che posano con il loro cane Caporal. In primo piano, alcune delle “sculptures éponge”, spugne imbibite di colore blu, metafora della sensibilità pittorica che impregna lo spettatore; sullo sfondo, un monocromo e, sopra il camino, s’intravede una scultura blu. Allo stesso modo, un ritratto di Yves e Rotraut del 1961 immortala sullo sfondo un “Monogold”, monocromo realizzato con foglia d’oro – materia alchemica per eccellenza che interessava molto Klein –, e due “Anthropométries suaires”, opere dipinte con l’impronta lasciata dai corpi nudi delle modelle, usate come pennelli viventi. Rotraut racconta che Yves era solito invitare fotografi professionisti che lo ritraessero al lavoro; a volte per una documentazione spontanea, altre, invece, progettando lo shooting in ogni dettaglio, scegliendo pose e inquadrature. Sono di Harry Shunk gli scatti del 1960 che ritraggono Yves e Rotraut al lavoro nel soggiorno, trasformato in studio e atelier. Klein ha probabilmente ereditato dal viaggio in Giappone la predilezione per gli spazi flessibili, senza funzioni predefinite. Rotraut ricorda inoltre che il soggiorno era regolarmente tramutato in atelier o in sala da pranzo: in occasione delle frequenti visite di amici, appoggiavano per terra un piano circolare e mangiavano lì intorno. Il legame tra judo e attività artistica è testimoniato da alcune foto scattate nel 1961, in cui Klein dipinge uno dei “Reliefs planétaires” – opere dove ricopre di blu dei plastici geografici – indossando il suo judogi, quasi una “divisa della spiritualità.” 

Yves Klein crea una “Peinture de feu”, casa di rue Campagne- Première, Parigi (foto Jacques Fleurant)

L’interesse per gli elementi naturali si traduce nella serie delle “Cosmogonies”, tele che Klein lasciava esposte agli elementi per registrarne gli effetti sulla pittura, e nei monocromi bruciati, che realizzava utilizzando il camino di casa. L’esecuzione della “Ant 133, Anthropométrie sans titre” (1960) si svolge in due fasi, cui corrispondono altrettante serie di scatti. Prima l’artista realizza l’antropometria con Elena Palumbo, fotografato da Jacques Fleurant. In un secondo tempo, decide di reinterpretare la realizzazione dell’antropometria, per documentarne meglio il processo creativo, invitando ben quattro fotografi: René Burri, Harry Shunk, John Kender e Jacques Fleurant. L’appartamento di rue Campagne-Première è testimone di fatti privati e pubblici: è infatti luogo d’incontro per gli artisti che lì fondano il Nouveau Réalisme, il 27 ottobre 1960. Klein lega profondamente la sua esistenza alla casa, dove muore, per infarto, il 6 giugno 1962. Pochi giorni prima aveva scritto: «Ora voglio andare oltre l’arte – oltre la sensibilità – oltre la vita. Voglio entrare nel vuoto. Voglio morire e voglio che si dica di me: “Ha vissuto, perciò vive”». 

Yves Klein in frac, mentre realizza l’antropometria con Elena Palumbo (foto Jacques Fleurant)

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