L’armonia del mondo. Intervista a Francesco Clemente

Guardare un’opera di Francesco Clemente è come fare un viaggio in un tempo indefinito dove culture, razze e stili diversi si fondono in un unico linguaggio

ricco di simboli e di memorie di ogni parte del mondo. L’artista napoletano, che da anni vive tra New York, l’India e l’Italia, ci spinge a indagare noi stessi attraverso interrogativi semplici e, nello stesso tempo, estremamente complessi, questioni millenarie alle quali cerchiamo incessantemente di dare risposta. La temporalità della vita, chi siamo oltre la maschera che scegliamo di indossare, il corpo come radicale strumento d’indagine sono solo alcune delle tematiche che la sua arte affronta da decenni.

In una foto privata scattata da Allen Ginsberg, Francesco Clemente, al quale il prossimo settembre il MoMA di Mosca dedicherà una grande mostra.

In una sua affascinante serie rea­lizza un mazzo ditarocchi: cosa l’ha spinta a farlo?
Il mio lavoro nasce dal desiderio di imitare le dinamiche di una immaginaria tradizione contemplativa. Se si abbandona ogni certezza, come passare il tempo? Una possibilità è pensare che il mondo abbia un ordine e un’armonia totale. I tarocchi sono un’espressione di ordine. A ognuno vengono date le stesse carte, solo la sequenza delle coincidenze cambia.

Trasforma i tarocchi in ritratti: personalità pubbliche e del suo mondo privato diventano un grande affresco della società con­temporanea. Come è avvenuta la scelta?
Per leggere le carte bisogna che riflettano la vita. Mi sono divertito ad assegnare alle persone presenti nella mia esistenza un personaggio, come in un teatro.

“VIII Justice (Fran Lebowitz)”. 

L’intellettualeFran Lebowitzè la giustizia, in mano regge una bi­lancia mentre alle sue spalle una rete metallica si apre su un cielo azzurro e un arcobaleno.
Fran è famiglia, un’amicizia di quarant’anni. La sua integrità intellettuale è insolita. La giustizia dei tarocchi non è imparziale. Qualche volta occorre forzare con l’arbitrio la crudeltà meccanica dell’ingiustizia.

Marisa Monte è la Luna. La can­tante brasiliana è avvolta tra le maree insieme a una coppia di lupi ululanti alla luce di una falce bluastra che le decora il capo... Questa coppia come è nata? Anche per la sua origine culturale. Marisa è una clamorosa manifestazione di Yemanjà, la divinità acquatica del Candomblé, religione originaria dell’Africa che sopravvive e prospera in Brasile.

Poi c’è la bellaElisa Sednaoui; personifica il cavaliere di spade. Appare come un’amazzone ma­linconica che infilza un cuore sanguinante. Cosa l’ha colpita in questa giovane donna?
Il suo temperamento cavalleresco. Elisa mi è apparsa come una improbabile Don Chisciotte che in un’epoca così indifferente crede ancora nel bene e nel poter fare del bene.

(Continua)

In apertura: “XVIII The Moon (Marisa Monte)”. Opere della serie dei tarocchi, 2008-2011, che verrà ripresentata nella primavera 2022 all’Albertina Museum di Vienna.

Leggete l'intervista integrale sul numero di maggio di Vogue Italia, in edicola dal 5 maggio

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