“Stop painting”. Peter Fischli alla Fondazione Prada di Venezia

Arte contemporanea: alla Fondazione Prada di Venezia, fino al 21 novembre 2021, “Stop painting”, a cura di Robert Fischli

Mostre 2021. Neanche il tempo di salire

lo scalone di Ca’ Correr della Regina, il palazzo storico sede della Fondazione Prada a Venezia, che uno stop ferma chi si avvicina. È un’opera di Josh Smith, approdata da una collezione privata svizzera alla Serenissima, uno dei pezzi-icona di Stop Painting, progetto concepito dall’artista elvetico Peter Fischli. Apre al pubblico il 22 maggio e sarà visibile fino al 21 novembre: più che una mostra collettiva è – per citare lo stesso Fischli - «un caleidoscopio di gesti ripudiati», che nasce dallo sconfinato amore dell’artista per la pittura e dal desiderio irrefrenabile di narrarne il funerale per poi celebrare “la fine della fine” e, così ci è parso, lasciar spazio a una rinascita.

La Fondazione Prada a Venezia

© Marco Cappelletti

L’impatto visivo, lo vedete dalle immagini delle installation views che vi proponiamo, è notevole: siamo nei saloni riccamente affrescati, dipinti e stuccati di una delle dimore patrizie di Venezia, da tempo sede in laguna della Fondazione Prada. Il percorso, scandito in 10 sezioni, 110 opere e 80 artisti per una collettiva che richiede tempo per essere gustata a dovere, esplora i diversi momenti di rottura nella storia della pittura dell’ultimo secolo e mezzo.

Cinque, secondo Fischli, quelli più importanti: prima fu la fotografia (che senso ha cercare la fedeltà al reale se puoi avere uno scatto esatto?) poi il readymade (la pittura deve fare i conti con lo spazio e uscire dalla tela) poi ancora la morte dell’autore (vedi alla voce Roland Barthes: chiunque può dipingere, quindi nulla è davvero originale), il consumismo (la pittura è la preferita dei collezionisti) e infine la morte della critica, che non sa dare più un senso all’esistenza stessa della pittura. Forma d’arte più diffusa e condivisa oggi in quella forma ibrida che sono i file iperilluminati che vediamo sui nostri schermi, la pittura è sotto esame.

Lucio Fontana, Milano, 1962. Photo Ugo Mulas © Ugo Mulas Heirs © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2021

Leggete anche il nostro articolo sulla mostra monigrafica dedicata a Bruce Nauman, sempre a Venezia

Lo vediamo subito al piano terra nella nuova opera site-specific di  Fischli: un modello in scala ridotta dell’intero progetto, definito dall’artista come «una scultura di un mostra di pittura». Lo si osserva dall’alto e con gli  occhi si segue il percorso che si comincia a fare a piedi, salendo al piano nobile di Ca’ Correr, tra pareti temporanee che tagliano le antiche sale e danno subito l’idea di una rottura. Anzi, delirio. ‘Delirium of Negation’ s’intitola infatti la sala centrale: domina Lucio Fontana, con la sua pittura che si fa prima materia, poi taglio, buco e infine puro concetto, e poi Marcel Duchamp, Francis Picabia, Adrian Piper. E poi ancora i vestiti di Michelangelo Pistoletto e le scenografiche, coloratissime enormi stoffe cucite a mano da Jean-Frederic Schnyder, altra opera-simbolo del percorso. Questo solo per dare un’idea della vastità e della complessità dell’intera operazione.

Francis Picabia, Point, 1951. Courtesy Galerie 1900-2000, Paris © Francis Picabia, by SIAE 2021

Lynda Benglis. Photo: Henry Groskinsky Collection: The LIFE Picture Collection Via Getty Images

© Henry Groskinsky

Fotografia e readymade hanno stravolto tutto, pare dirci un video in cui vediamo Andy Warhol al lavoro. Si procede, dopo aver superato le “impronte” di Pietro Manzoni, tra lavori di Carla Accardi, Walter De Maria (delizioso il suo Silver Portrait of Dorian Gray, un piccolo specchio d’argento con un sipario di velluto), David Hammons, Klara Líden, Martin Kippenberger e Albert Oehlen che sembrano voler annullare l’immagine stessa della pittura. Si gira l’angolo: la parola scritta, anche su tela, torna a contare. Ecco Pino Pascali, John Baldessari, Gene Beery, Karen Kilimnik e i quadri espressionisti di Jim Shaw (cui è dedicata una intera parete: bellissima). Siamo a metà del percorso e incrociamo, nella sezione “When Paintings Become Things” tavole che si fanno materia, come i quadri di Dadamaino o la barchetta di legno di Jean-Frederic Schnyder.

Ci si perde, dentro i pensieri e le suggestioni di Peter Fischli: nulla segue un ordine, se non quello della libera associazione della sua mente. Giunti alla fine, dopo aver officiato il funerale della pittura, l’artista ne offre al visitatore ormai disilluso una prova di esistenza in vita: nella sezione ‘Die Hard, Duri a morire’ spuntano opere di Asger Jorn e altri artisti d’avanguardia, felicemente sedotti dal potere del figurativo, nonostante tutto. Evviva: stop paiting, keep on painting.

Niki de Saint Phalle, “Feu a Volonté,” Galerie J, Parigi 1961.: Shunk-Kender © J. Paul Getty Trust. Getty Research Institute, Los Angeles (2014.R.20)

Morag Keil, Eye 1 – 4, 2018. Four elements. Courtesy of the artist and Jenny’s, Los Angeles Photo: Ed Mumford

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