Anche quando c’è la volontà di fare acquisti più responsabili, navigare il mondo della sostenibilità può essere una vera e propria sfida viste le tante complessità.
L’anno scorso, il brand di scarpe Allbirds (quello su cui investì anche Leonardo di Caprio) aveva deciso di riassumere le proprie credenziali green sotto forma di un’etichetta contenente i dati relativi all’impronta di carbonio, che comprendeva le emissioni di CO2 delle sue calzature a partire dalle materie prime fino alla fine del loro ciclo di vita. “Vogliamo che i nostri clienti sentano di avere il potere di prendere le decisioni più giuste per il pianeta in quanto ci rendiamo conto che non hanno a loro disposizione alcuna informazione oggettiva sui prodotti che stanno acquistando”, ha dichiarato a Vogue Hana Kajimura, Sustainability manager presso Allbirds. “Hanno slogan pubblicitari ma non dati concreti. Offrire loro tali dettagli è essenziale al fine di costruire un futuro in cui possiamo collettivamente fare scelte migliori”.
© Courtesy Allbirds
Etichettare i prodotti in questa maniera manda un segnale molto chiaro sia ai clienti che al settore nel suo complesso. Proprio questa settimana verrà presentata Futurecraft.Footprint, la sneaker con la minor impronta di carbonio al mondo, frutto della collaborazione tra Allbirds e Adidas. Il modello in questione emette 2,4 Kg di CO2 per paio – una quantità minima rispetto alla trainer tradizionale (12,5 Kg CO2). “Ciò che questa partnership mostra è che due brand possono ottenere molto di più e più in fretta rispetto a ciò che avremmo potuto fare singolarmente”, aggiunge Kajimura.
Le etichette sulla sostenibilità possono guidare il cambiamento?
Lavorare assieme in questo modo è fondamentale per far sì che l’eco-etichettatura sia efficace in tutto il settore ed è per questo motivo che Allbirds - il cui elaboratore di emissioni di carbonio della calzatura è disponibile per tutti - sta portando avanti una campagna per convincere l’intera industria della moda a adottare le etichette per le scarpe sul conteggio del carbonio. “Ridurre l’impronta di carbonio non è così utile se a farlo è solo Allbirds. I clienti devono potere avere qualcosa a cui paragonare i nostri numeri”, spiega Kajimura.
Inoltre, la speranza è che estendendo la pratica delle etichette sul carbonio a tutto il settore si inneschi una sorta di “corsa al ribasso”, con le maggiori aziende determinate a ridurre le proprie emissioni in maniera più veloce e a adottare pratiche sempre più responsabili e trasparenti. “Quando il settore alimentare introdusse un sistema di etichettatura ‘a semaforo’, si dovettero automaticamente adeguare i prodotti prima di etichettarli”, afferma Jodi Muter-Hamilton, fondatrice dell’organizzazione non-profit Lab 2030. “Si fece un grosso lavoro per migliorare i prodotti al fine di non immetterli sul mercato con il bollino rosso, per esempio”.
Ovviamente, le emissioni di CO2 rappresentano soltanto un elemento della più ampia questione dell’impatto della moda sul pianeta. “Desideriamo che sappiate che riflettiamo su ogni passaggio del processo che porta un capo di abbigliamento nelle mani del consumatore”, dichiara Caroline Smithson, fondatrice del marchio di slow fashionSsōne, che, sulle etichette, include credenziali green sui materiali oltre a informazioni su come è stato prodotto l’indumento.
Al fine di offrire tali dati, Lab 2030 propone l’introduzione di un sistema ‘a semaforo’ per la moda che includa diverse aree come i materiali, la produzione, l’impronta di carbonio e l’impatto ambientale del capo. “Tale etichettatura ‘a semaforo’, simile a quella in vigore per i cibi, sarebbe un ottimo modo per comprendere, universalmente, cosa stiamo acquistando”, aggiunge Muter-Hamilton.
© Daisy Walker
La necessità di un sistema standardizzato
Sebbene il sistema ‘a semaforo’ potrebbe semplificare le credenziali di un indumento a beneficio dei consumatori, la vera sfida consiste nello stabilire un modello standardizzato che possa funzionare per l’intero settore. “La standardizzazione è difficile in quanto richiede che le aziende garantiscano l’accesso ai loro dati e alle informazioni relative alla filiera produttiva. Oppure di lavorare direttamente con loro alla raccolta dati”, spiega Muter-Hamilton. “Ma non disponiamo dello stesso quantitativo di informazioni degli altri settori in quanto le filiere produttive della moda non sono semplici o lineari”.
Ottenere la collaborazione di quelle aziende che non sono facilmente disposte a rivelare il proprio impatto ambientale rappresenta un altro grande ostacolo. Per questo motivo, se vogliamo che un sistema realmente efficace e standardizzato prenda piede all’interno della moda, molto probabilmente sarà necessario introdurre una qualche forma di regolamentazione. “La necessità di un tale sistema è lampante dal momento che non ho ancora trovato una risposta al quesito che ha ispirato il mio agire sin dall’inizio”, conclude Muter-Hamilton. “‘Come faccio a sapere cosa sto acquistando realmente? ’”