London Fashion Week: Bethany Williams ci racconta la sua collezione

Per Bethany Williams, la pandemia ha dimostrato perché avere un impatto sociale come designer è così importante. La stilista inglese, 30 anni, lavora in collaborazione

con enti sociali da quando ha lanciato il suo brand omonimo nel 2017 e sta ancora una volta sostenendo  The Magpie Project, un’organizzazione di beneficenza di Londra che aiuta le madri con figli piccoli che vivono in alloggi temporanei, tra cui coloro che non hanno accesso ai fondi pubblici. “Il Covid ha davvero messo in evidenza le falle nel sistema,” dice Williams a Vogue su Zoom, aggiungendo che il 20 per cento dei profitti della collezione andranno all’organizzazione.

Ad aprile, a causa di una carenza di dispositivi di protezione individuale (DPI) negli ospedali, Williams ha lanciato l’Emergency Designer Network  insieme alle colleghe stiliste di Londra Phoebe English e Holly Fulton, producendo 50mila camici chirurgici e 10mila divise di protezione per gli operatori sanitari. “Tutte noi ricevevamo richieste da diversi ospedali e da amici che operano nella Sanità,” spiega Williams. “Abbiamo lavorato con una quarantina di enti pubblici autonomi di assistenza sanitaria e con 150 aziende produttrici”.

Tutto questo è stato realizzato mentre la vincitrice del premio Queen Elizabeth II lavorava nel suo appartamento nell’est di Londra. “Abbiamo dovuto fare tutto nel mio appartamento, la nuova collezione, i progetti, la produzione, quindi è stato impegnativo,” dice la designer. “Siamo stati presissimi durante tutto il lockdown.”

Abbiamo raggiunto Williams per parlare della sua collezione primavera estate 2021, delle nuove pratiche sostenibili che ha introdotto questa stagione, e dell’importanza della collaborazione all’interno dell’industria della moda.

Bethany Williams per Magpie

© Photography by Ruth Ossai.

La sua collezione si chiamaAll Our Children. Cosa si cela dietro questo nome?

All our childen vuol dire che abbiamo tutti una responsabilità per la prossima generazione. Significa guardare al mondo che lasceremo ai nostri figli; pensare a questo dal punto di vista della sostenibilità, ma anche dal punto di vista umano.

“Stiamo di nuovo collaborando con The Magpie Project; il lavoro che la fondatrice Jane Williams sta facendo è molto importante. Ci sono più di 100mila bambini nel Regno Unito i cui genitori potrebbero lavorare, che hanno il diritto di residenza qui ma non hanno accesso ai fondi pubblici”.

Come tramette questo messaggio attraverso le sue creazioni?

“Per la scorsa collezione ci siamo ispirati agli archivi del V&A Museum of Childhood, ma durante tutto il lockdown non abbiamo potuto accedere alle risorse come avremmo normalmente fatto, quindi ci siamo rivolti alla nostra rete per le ricerche e per trovare ispirazione. Chiedevamo alla gente di mandarci i messaggi che avrebbero voluto mandare alla futura generazione o di dirci i loro vestiti preferiti che avevano da bambini.

“Durante il lockdown, Melissa Kitty Jarram, l’artista con cui lavoriamo, ha creato dei workshop di illustrazioni digitali con le madri e i bambini sostenuti da Magpie. Hanno permeato le illustrazioni di Melissa per la collezione, insieme alle immagini che abbiamo ricevuto. Abbiamo fatto anche abbigliamento per bambini in questa collezione, e presentato borse fatte con gli scarti dei libri per bambini e panierini vintage”.

Perché ha deciso di presentare la collezione con un film, questa stagione?

“Volevamo fare una mostra alla Somerset House, portando anche la comunità di Magpie, ma non mi sentivo a mio agio a causa delle attuali restrizioni del governo introdotte in conseguenza all’aumento di casi Covid-19 nel Regno Unito. Abbiamo realizzato un film con la fotografa Ruth Ossai e l’artista “spoken word” Eno Mfon, che abbiamo ripreso sul posto alla Magpie. Il casting gira tutto intorno al tema dei legami famigliari e alle future generazioni.”

© Photography by Ruth Ossai.

Quali sono alcune delle pratiche sostenibili che ha adottato questa stagione?

“Quanto al sociale, lavoriamo ancora con la comunità di San Patrignano [un centro di riabilitazione in Italia] e con Making For Change [un programma del London College of Fashion che sostiene le detenute] per produrre i nostri capi.

“Quanto ai materiali, è tutto biologico o riciclato. Abbiamo fatto il riciclo creativo di maglieria, abbiamo riciclato il denim e usato vecchi pizzi, lenzuola e coperte per i vestiti. Abbiamo anche lavorato per la prima volta con una seta biologica cruelty-free, che non danneggia i bachi da seta. Siamo riusciti a utilizzare giacenze di lana provenienti da stabilimenti italiani e abbiamo usato scarti di Adidas [sistema di resi] con Stuffstr.”

Perché è importante che grossi brand come Adidas lavorino con designer come lei e prendano sul serio il tema della sostenibilità?

“Io ovviamente sono molto più piccola [di Adidas], quindi ho un impatto molto minore. Trovo che se lavori con una grande multinazionale, riesci ad avere un maggiore impatto; hai un raggio d’azione maggiore e più risorse. Credo sia davvero importante.”

© Photography by Ruth Ossai.

Che impatto ha avuto la pandemia sul suo lavoro?

“La nostra produzione ha subito un ritardo. Non abbiamo avuto cancellazioni, ma il Covid ha colpito prima i mercati asiatici, quindi a gennaio nessuno dei nostri grossisti in Giappone ha fatto ordini. È stato meglio così [da un certo punto di vista] perché non abbiamo fatto nulla che poi ci è rimasto lì.

“Sarà bello tornare in uno studio; ho trovato alquanto difficile separare il lavoro dal quotidiano quando vivi nello spazio in cui lavori. Ovviamente, poiché lavoriamo con materiali riciclati, ho dovuto tenere fisicamente in casa anche quelli.”

Dopo aver lanciato l’Emergency Designer Network, spera che in seguito alla pandemia altri stilisti riconosceranno l’importanza di avere un forte impatto sociale?

“La gente sta aiutando, è stato un momento in cui le persone si sono ritrovate. Tanti giovani stilisti stanno pensando alla loro impronta sulle persone e sul pianeta. Ma abbiamo visto grandi retailer che non pagavano le fatture – questo ha mostrato una mancanza di responsabilità. Spero solo che [le aziende] cominciano a introdurre nuovi sistemi e antepongano le persone e il pianeta al profitto”. 

© Photography by Ruth Ossai.

Crede che una maggiore collaborazione potrebbe recare beneficio all’industria della moda, specie quando si tratta di sostenibilità?

“La collaborazione è davvero importante: ti fa avere punti di vista diversi e [lavorare con] persone con differenti background o in situazioni diverse. Abbiamo tante di quelle persone straordinarie intorno a noi – la nostra rete è davvero forte e di supporto.

“È importante condividere le informazioni – con i miei amici designer condividiamo molto sui fornitori, per esempio. Abbiamo tutti bisogno di informazioni per progredire come industria.”

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