Col senno di poi. Intervista a Isamaya Ffrench

Qual è la prima cosa che direbbe alla Isamaya sedicenne?
Credo che mi limiterei ad ascoltarla. Ci sono un sacco di persone sempre pronte a dispensare

consigli. Molto più rare, invece, quelle in grado di ascoltare davvero.

Che consiglio di bellezza le darebbe?
Nessuno, non le servirebbe. Sarebbe troppo occupata con la thai boxe e con la sua subscription a Total Guitar. Se avesse bisogno di make-up tips invece, avrebbe tra le mani Making Faces di Kevyn Aucoin, lì c’è tutto.

Cose assolutamente da fare o da evitare a questa età?
Usate l’epilazione laser! Dio solo sa come mai mi sia inflitta l’agonia di 20 anni di ceretta. Non copritevi di olio d’oliva per poi friggervi sotto al sole della Sardegna. Poi: rasatevi i capelli! Rimpiango sempre di non averlo fatto a sedici anni! E non crucciatevi troppo riguardo la forma del viso o del vostro corpo... non avete idea di quanto possa cambiare nel corso dei prossimi vent’anni, non ne vale la pena.

E riguardo la cura di sé e l’autostima, cosa le direbbe?
Avere cura di sé significava fare le cose che amavo di più: arrampicare, ballare, ascoltare musica, qualsiasi attività si potesse fare fuori di casa! La cura invece della salute mentale è arrivata dopo, quando ho scoperto Carl Jung e la psicoterapia. La mia autostima con gli anni è aumentata, ma credo sia un processo naturale che avviene crescendo, con l’esperienza.

E se dovesse scattare una foto alla se stessa di quegli anni, che capelli aveva? Cosa le piaceva indossare? Di cosa parlava?
I capelli erano ciò che mi caratterizzava di più a quell’epoca. Non li ho tagliati fino ai 26 anni, erano lunghi fin sotto al sedere e biondi, d’estate li schiarivo con il succo di limone. I miei pantaloni erano baggy, generalmente Rhode jeans con sotto un paio di scarpe da skate Osiris e una maglietta dei RHCP o dei Soundgarden di Cult Clothing dentro alla quale scomparivo perché ero molto magra. Andavo a lezione di danza classica e moderna 4 volte alla settimana ed ero una tuffatrice professionista. A scuola facevo parte di una punk band, gli InEcho, ci esibivamo la sera in un pub, The Man On The Moon, in mezzo a gente che urlava e pogava. Poi suonavo anche chitarra classica, cosa che non potrei più fare con le mie lunghe unghie di acrilico.

Chi erano i suoi idoli?
Tutte le modelle di quel libro di Kevyn Aucoin, Making Faces: Kate, Naomi, Linda. E anche Gemma Ward e Coco Rocha.

Qual era il suo trucco preferito allora? E adesso?
Amavo molto il mascara per i capelli! Lo compravo giallo o arancio fluo di Miss Sixty! Mi piaceva tingermi, il più delle volte con l’henné. Ora che il make-up è parte del mio lavoro onestamente non saprei dire... ero molto più sperimentale allora.

Com’è cambiata la percezione della bellezza attraverso gli anni? 
Cambia in continuazione. Sono sempre stata affascinata dall’essenza più autentica e genuina delle persone. L’iconografia classica delle modelle degli anni 90 rimane comunque un punto di riferimento. Ora la bellezza è “democratizzata”. Non ci sono più regole, la percezione di ciò che è o non è bello è diventata personale, e in qualche modo diventa più strano definirne limiti e confini.

In apertura: Isamaya Ffrench, make-up artist e collaborator Byredo, è nata a Cambridge nel 1990. Ha studiato alla Central Saint Martins di Londra e cominciato la sua carriera truccando i bambini alle feste. Ha collaborato con riviste, case di moda e alcuni dei marchi beauty più famosi al mondo.

Da Vogue Italia, n. 850, luglio 2021

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