Antologia di Casa Vogue. La montagna sacra di Padre Maxim

Non è facile parlare di eremiti, di coloro che per scelta decidono di estraniarsi dal mondo o, quantomeno, di avere con esso dei contatti alquanto sporadici,

unicamente necessari e di conseguenza per meglio raggiungere lo scopo si domiciliano in luoghi definibili impervi, con un eufemismo. Non è un tema facile; diciamo che lo riproponiamo per scaramanzia, come portafortuna, affinché tutto il gran rinchiudersi che abbiamo vissuto o subito, ma il risultato non cambia, non abbia più a ripetersi. Come andranno le cose, ovviamente, nessun lo sa. Tuttavia, le esperienze spesso mistiche, ma non solo, di questi personaggi sono importanti e non solo perché hanno radici storiche lontanissime e sono comuni a differenti credi e modi di sentire nei paesi più diversi, ma anche perché possono essere motivo di  riflessione, come l'articolo rimarca, sul nostro rapporto con la società contemporanea, le sue problematiche, le storture. E, perché no, anche su quali possono  essere i rapporti degli uomini e delle loro costruzioni con la natura, l'ambiente. L'articolo è uscito suCasa Vogueottobre 2012. Sembra ieri. In un certo senso lo è. (Paolo Lavezzari)           

© Carlo Bevilacqua

                       

Il vertiginoso sperone – quella punta rocciosa nella regione georgiana di Imereti, i cui quaranta metri in verticale padre Maxim ascende aggrappandosi ai pioli di un’improbabile scaletta di ferro arrugginito, ben poco adatta a chi soffre di vertigini e tiene cara la pelle – era noto in tempi pagani come Colonna di Katskhi. Sorge a una decina di chilometri dalla città mineraria di Chiatura – dove il religioso nacque una sessantina d’anni orsono – e stava a rappresentare una divinità locale della fertilità. Fu il diffondersi del cristianesimo, nel IV secolo, a conferirle il significato di ritiro spirituale a protezione contro le insidie del mondo. Scarse le notizie sulle origini della piccola cappella databile tra il VI e l’VIII secolo. Vivere lassù è stato per Maxim un sogno coltivato fin da bambino. Nell’alternarsi di toni gravi e d’improvviso acuti che ne marcano la voce, il religioso rievoca un suo primo lungo soggiorno sulla Colonna, fraternamente interrotto dal veto del patriarca di Tbilisi «perché ero troppo giovane», veto che in Maxim ha suscitato la battuta: «Così, ora me lo proibiranno perché sono troppo vecchio». 

Padre Maxim

© Carlo Bevilacqua

Da circa cinque anni, l’anacoreta è intento al restauro della chiesetta, con l’aiuto anche economico di amici e fedeli. Superato l’ultimo ostacolo, l’obbedienza al patriarca che gli aveva imposto la costruzione di un bagno per concedergli il permesso definitivo di domicilio, ora Maxim vi può risiedere. Ma il monaco stilita georgiano è solo uno degli straordinari “eremiti del Terzo Millennio” che da anni il fotografo Carlo Bevilacqua ritrae in giro per il mondo: il progetto si intitola “Into the Silence” e, dopo diverse vicissitudini, diventerà infine un libro. Si può parlare di “nuovi eremiti” non già perché si tratti di un fenomeno tanto diffuso da sovrastare il tam-tam dei media, né perché tali eremiti costituiscano un gruppo omogeneo che in qualche manifesto si sia dato quella denominazione. 

© Carlo Bevilacqua

Pur se una certa eco costoro l’hanno suscitata, la definizione appare acconcia ed è venuta in uso – del resto è pure il titolo del libro dell’antropologo Isacco Turina – anche perché, dopo il declino durato secoli di una tal chiamata spirituale, dal 1983 il Canone 603 del codice di Diritto canonico ha concesso a questi esseri cocciutamente solitari un attestato di ufficiale appartenenza alla comunità religiosa e perciò stimolato questa scelta spirituale nei dotati di vocazione; e, in qualche caso, anche fornito un minimo appoggio tangibile, bisogna pur dirlo. Forse, come fu anche per i primi anacoreti del deserto, quelli odierni rappresentano a modo loro una specie di riflessione sui tempi, o meglio una risposta nuova, ancorché del tutto personale, all’opacità dei molti specchi che i suddetti tempi hanno l’aria di voler disseminare lungo il percorso degli esseri umani. Di fatto, di eremiti ce ne sono di ogni genere e non tutti, a rigore, possono dirsi religiosi come Maxim, secondo una qualche regola comandata o prescritta, o scritta. Come nel caso del primo incontrato da Bevilacqua. Il fotografo ha dato inizio alla sua ricerca quasi per caso, incoraggiato dalla comunicazione di un amico durante una vacanza a Filicudi, dov’era in attesa di dar luogo a un progetto sulla bellezza dell’arcipelago eolico: «Fa’ una visita a Gisbert Lippelt», gli suggerì l’amico. Lippelt è un tedesco figlio di architetto ed ex capitano di marina che, nel calcio delle rocce dell’isola, si è scavato una grotta, bianca quasi come la neve, dove vive da trent’anni, meritandosi fra l’altro, nelle parole del fotografo, il titolo di “interprete ante litteram di uno stile di vita sostenibile”. E precursore lo è davvero: «Lippelt cucina su fornelli a energia solare, usa l’acqua piovana e non ha nemmeno la luce elettrica». 

La cappella restaurata

© Carlo Bevilacqua

Né è un religioso, non nel senso di padre Maxim, per lo meno. Altro non precisamente religioso è Mario Dumini, il quale, anzi, ringrazia Dio «per aver creato gli atei» e vive lui pure in una grotta sulle prime pendici dell’Appennino, a una trentina di chilometri da Roma, che frequenta abitualmente per affiggere i suoi manifesti di protesta, per racimolare qualche soldo dando lezioni d’inglese e per svolgere il compito di assistente sociale nelle carceri. E tanto per spettegolare, la chicca è che Mario Dumini è figlio di quell’Amerigo che, oggi defunto, tanti anni fa capeggiò la gang riconosciuta colpevole dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Ciò che ha colpito Bevilacqua a proposito di Maxim e di tutti i personaggi incontrati è, come il fotografo tiene a sottolineare, «il fatto che si tratta sempre e in ogni caso di una precisa, ben determinata e coerente scelta di vita». E, giusto per rispondere agli scettici, che potrebbero enumerare i vantaggi di un’esistenza libera dalle tasse e rallegrata dalla bellezza degli scenari in cui gli eremiti fissano il proprio domicilio, quella da loro intrapresa è, ancora secondo le parole di Bevilacqua, «una scelta tutt’altro che semplice». C’è sicuramente da credergli. Per informazioni sul progetto clicca qui “Into the Silence”.

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