L’11 Settembre di Maurizio Cattelan al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

Il 18 aprile del 2002 il pilota Luigi Fasulo si schiantava con il suo piccolo aereo contro il grattacielo Pirelli nel centro di Milano in un

mondo con i nervi a fior di pelle per l’incubo del più clamoroso attentato al World Trade Center che soltanto otto mesi prima cambiò radicalmente le vite di tutti noi. Se non fosse per i morti e i feriti, quel tragico incidente nel centro di Milano sembrò una sorta di sinistra parodia, di emulazione amatoriale di quello che il filosofo francese Jean Baudrillard definì «l’evento assoluto», la «madre di tutti gli eventi» e ancora: «l’evento puro che racchiude in sé tutti gli eventi che non hanno mai avuto luogo».

Vent’anni dopo questi fatti, Maurizio Cattelan mette in scena un suo personale 11 settembre nel cuore di Pirelli Hangar Bicocca per l’attesissima personale Breath Ghosts Blind, aperta al pubblico dal 15 luglio.

Nato a Padova nel 1960, Cattelan è giustamente riconosciuto come il più importante artista italiano vivente, le sue opere hanno sempre lasciato il segno, lavorando su un piano simbolico immediato e remoto e ponendosi in dialogo frontale con lo spettatore, sicuramente divisive ma che raramente lasciano indifferenti chi le osserva.

L’artista che ha descritto con la sua carriera la cronaca di una sparizione, di una fuga, ha poi intrapreso una serie di riflessioni e parodie attorno alle grandi utopie del secolo breve, ereditando tutto da Duchamp ma disinnescando il portato ideologico dell’arte delle avanguardie, trovando fonte d’ispirazione dalla cultura popolare, dalla storia, dalla religione e dal linguaggio della pubblicità per traghettarci verso quella che l’artista stesso definì un’era di “dolce utopia” e così facendo ha scritto un capitolo fondamentale dell’arte dell’arte contemporanea dagli anni Novanta in poi.

Breath Ghosts Blind è un’unica opera in ‘tre tempi’,  e non rappresenta certo un’esperienza semplice per il visitatore. Il gigantesco ventre buio di Hangar apparentemente vuoto è in realtà una silenziosa necropoli. 

1. BREATH 

Ad accogliere chi vi accede, la prima presenza di questo percorso è Breath (2021); una doppia scultura in marmo bianco di Carrara nelle fattezze di un uomo rannicchiato a terra accanto a un cagnolino, nella cui figura si ravvedono i tratti somatici dell’artista stesso che fin dalla sue prime opere è tornato continuamente sul tema dell’autoritratto. 

Maurizio Cattelan, Breath, 2021. Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021. Marmo di Carrara. Figura umana: 40 x 78 x 131 cm. Cane: 30 x 65 x 40 cm

© Agostino Osio. Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano

Come un homeless addormentato in uno spazio pubblico di una qualsiasi grande città del mondo, Cattelan (che prima di diventare artista lavorò anche in un obitorio) evoca un’immagine di una solitudine estrema, se si può, amplificata dalla presenza dell’animale, sospesa tra un sonno eterno o di un embrione in attesa di essere partorito. In ogni caso già questa prima opera, scolpita nel marmo ci parla di un tempo di un’aura monumentale che l’artista ha voluto conferire al suo ennesimo doppio.

2. GHOSTS

Proseguendo lungo le vaste navate dello spazio i visitatori saranno accompagnati dalla silenziosa presenza di migliaia di piccioni appollaiati lungo tutti gli elementi orizzontali che caratterizzano le altissime mura del’ex stabilimento industriale. È Ghosts (2021) un’opera estremamente importante nella biografia dell’artista che trova qui la sua terza formulazione, Cattelan presentò infatti alla Biennale di Venezia del 1997 Tourists, un’installazione composta da un centinaio di piccioni in tassidermia che collocati dentro gli spazi del Padiglione Italia, con tanto di escrementi finti sul pavimento per i quali vari artisti protestarono. 

Maurizio Cattelan Ghosts, 2021, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021. Piccioni in tassidermia

© Agostino Osio. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano

Quella che nel 1997 sembrò una irriverente occupazione anarchica da parte dei volatili più detestati da ogni conservatore di monumenti, iniziò a diventare un’inquietante presenza quattordici anni dopo quando l’opera, intitolata Others (2011) vide i piccioni crescere fino a duemila esemplari invadendo gli spazi interni ed esterni del Padiglione centrale della Biennale. Altri dieci anni e oggi i piccioni di Ghosts sono varie migliaia e a ben osservare, alcuni di loro attendono il pubblico già fuori dall’edificio. Se già in Others la sensazione era sottilmente minacciosa, Ghostsci riporta alla scena finale del filmGli Uccelli (1963) dove la semplice moltiplicazione di un soggetto altrimenti innocuo diventa una calamità biblica. Forse i piccioni di Cattelan non sono (in)animati dallo stesso impeto distruttivo di Hitchcock, pur tuttavia la massa di animali sospesi nella macabra pratica della tassidermia che come un fiume carsico ritorna a intermittenza nelle mostre dell’artista, ogni volta aumentando di numero, sembra la grama avvisaglia di un’imminente apocalisse.

3. BLIND

Proseguendo si giunge nello spazio ‘Cubo’ di Hangar dove dapprima lo spettatore percepisce visivamente una superfice nera, opaca, rettangolare e che man mano ci si avvicina si apprezza nella sua fisionomia monolitica di un prisma rettangolare che si staglia fino a raggiungere 17 metri d’altezza. Ed è proprio nella parte apicale di questa torre che l’artista ha perfettamente intersecato la forma di un aereo evocando così nello sguardo di chiunque l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Blind (2021) è il titolo pensato da Cattelan per questo terzo capitolo costudito nell’Hangar Bicocca e che ha la forza di riportare immediatamente lo spettatore indietro nel tempo a quell’ultimo grande evento che rappresentò anche una sorta di eclisse dell’iconosfera, dei media e della nostra capacità di immaginare l’inimmaginabile: 

Maurizio Cattelan Blind, 2021, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021. Resina, legno, acciaio, alluminio, polistirene, pittura 1695 x 1300 x 1195 cm. Prodotta da Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano\

© Agostino Osio. Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano

«I titoli delle opere sono fondamentali nella carriera di Maurizio Cattelan, sono una parte che contribuisce a quell’equilibrio instabile, a quella voluta ambiguità» spiega Vicente Todolí, Direttore Artistico di HangarBicocca e co-curatore della mostra insieme a Roberta Tenconi.

Potente e siderale, è fin troppo scontato riconoscervi il monolite di 2001 Odissea nello Spazio (1968) in questo macro-oggetto che è Blind, ma tant’è; il dato visivo è lì innegabile davanti a tutti nella forma di una stele nera, in quella porta dimensionale che tanto somiglia a ciò che l’arte concettuale e minimal americana stava sperimentando nelle gallerie in quegli stessi anni Sessanta e che Cattelan qui simbolicamente ‘trafigge’ con la forma affusolata di un Boeing, quasi una crocefissione di un’epoca, tanto sintetica e efficace perché affonda così in profondità nei codici visivi dell’occidente.

Tanti artisti e registi hanno provato dal 2001 in poi a confrontarsi con l’immaginario dell’11 settembre e con le sue innumerevoli implicazioni, con quella che a caldo Karlheinz Stockhausen definì, generando un putiferio, «la più grande opera d’arte mai esistita». Cattelan che era proprio a New York in quelle ore fatali deve aver a lungo meditato e elaborato a lungo il sublime di quella scena, il potere di quell’immagine possibile da eguagliare e ha deciso oggi, in un periodo in cui il dibattito artistico e storico si interroga sulla funzione e la verticalità dei monumenti, l’artista dopo L.O.V.E. (2010) consegna un’opera ponderosa che rimane ben salda nella monumentalità novecentesca, un secolo fondamentale per capire tutta l’arte di Cattelan e di cui, in cui in un certo senso, la sua arte è rimasta prigioniera.

Con Breath Ghosts Blind Cattelan ha trasformato Hangar Bicocca in un dispositivo cronometrico, in una scatola nera di questo ventennio iniziato con un attentato e (forse) concluso con una pandemia mondiale. Se, parafrasando Marx la storia si ripete sempre due volte, la prima volta in tragedia (l’11 settembre) la seconda volta in farsa (lo schianto al Pirellone), Cattelan ritorna nuovamente alla tragedia, questa volta scevra da ogni afflato ironico e dissacratorio ma restituita nella sua levigata coerenza formale capace di far implodere lo spazio e il tempo in quella che, ad oggi, è la riflessione più cupa nella carriera dell’artista.

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