Helmut Newton visto da Carla Sozzani

La Galleria Carla Sozzani è stata uno dei primi luoghi in Italia dediti alla fotografia contemporanea, nonché uno dei grandi laboratori per l’elaborazione della cultura

fotografica nel mondo. E molte sono le mostre di Helmut Newton che ha ospitato.

Quando e come è iniziata la vostra collaborazione?
Ho conosciuto Helmut quando lavoravo per Vogue Italia, negli anni 80. Spesso lo incontravo a Parigi, era amico di Azzedine Alaïa e cenavamo insieme in cucina, c’era sempre anche sua moglie, June. Cominciai a collaborare con lui più tardi quando, nell’estate 1992, abbiamo realizzato insieme la campagna del profumo di Alberta Ferretti. In quel momento Newton non lavorava quasi più: il mondo della moda è fatto di infedeltà. Rimaneva a mio parere il più bravo tra tutti i fotografi contemporanei e mi son chiesta: perché non chiamare lui? Sono andata a trovarlo e così è iniziata la nostra collaborazione.

Un rapporto durato a lungo.
Sì, fino alla sua morte. Insieme, in dieci anni, quattro mostre; l’ultima, Yellow Press, nel 2003, proprio qualche mese prima della sua scomparsa. Tra i fotografi che ho esposto, Newton è con Horst P. Horst quello che ha avuto più mostre alla Galleria.

Carla Sozzani ed Helmut Newton ritratti a Milano nello studio della gallerista.

© LORENZO CAMOCARDI / COURTESY FONDAZIONE SOZZANI AND HELMUT NEWTON FOUNDATION.

Che ricordo ha di queste mostre?
La prima, Ritratti di donna, nel 1993, fu un’esperienza straordinaria. All’inaugurazione, in un gelido giorno di gennaio, c’era una coda che arrivava fino alla fine della strada. Non avevo mai visto una cosa simile e non è mai più successo. Ci siamo persino spaventati. La sua opera aveva qualcosa di speciale: riusciva a conciliare in un’unica immagine il mondo della moda, l’immaginario pop e l’estetica più tradizionale e neoclassica. È proprio per questo che le sue fotografie comunicano a così tante persone diverse. La mostra successiva, Impressions-Polaroids, nel 1996, Newton la pensò e produsse appositamente per me e la Galleria, ritenendola un’opera innovativa anche per lui. Creò delle “impressioni” assemblando diverse opere provenienti dal suo archivio, fotografie di paesaggio con fotografie di nudo. Ricordo i viaggi a Monte Carlo per lavorare insieme. Era lì che i Newton vivevano da tempo e dove erano considerati delle star. Avevano una tenda a Monte Carlo Beach dove accorrevano in molti per riverirli o per farsi una fotografia con loro. È importante ricordare che il successo per Helmut è arrivato molto tardi. Spesso si associa Newton al glamour ma si dimentica quanto la sua vita fosse stata difficile. Quando giunse a Parigi nel 1961 aveva già più di quarant’anni e il successo non arrivò immediatamente. La memoria del periodo più duro era sempre molto viva nelle conversazioni tra Helmut e June. Ricordo ancora i nostri lunghissimi pranzi a Monte Carlo e a Milano – dove alloggiavano sempre al Senato Hotel –, durante i quali mi raccontavano il loro passato, di quando abitavano in un appartamento senza riscaldamento in rue Aubriot, a Parigi, e avevano pochissimi soldi per vivere. L’agio e il denaro sarebbero arrivati solo in seguito. Mi ripetevano spesso che la loro passione per il cibo è nata in risposta a quegli anni.

(Continua)

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