Helmut Newton. Lo specchio del macho

Per tutta la vita Helmut Newton ha fotografato praticamente solo donne. E per tutta la vita ha dovuto far fronte ad accuse di misoginia. Violente

proteste sono andate in scena contro di lui in molti Paesi. Durante una conferenza, alcune studentesse americane volevano tirargli della carne cruda. Il motivo? Aver ridotto, secondo loro, le donne sulla carta patinata a pura carne. Il seguito lo possiamo immaginare. Newton, vestito di bianco, scarpe comprese, non si lancia in grandi discorsi, non si giustifica – questo no –, oppone solo un sorriso disarmante e racconta storie.

La sua storia. Di ebreo berlinese costretto nel 1938, a 18 anni, a fuggire dal nazismo, lasciandosi alle spalle alcuni fantasmi e conservando a vita un disgusto per tutto quello che è corretto. «Il termine corretto evoca per me la polizia del pensiero e i regimi fascisti», ripeteva sempre. E ancora: «Il buon gusto è la normalizzazione dello sguardo».

Negli Stati Uniti nessun museo ha esposto Newton mentre era ancora in vita e nemmeno dopo la sua morte, nel 2004. E ora che, sotto l’impulso del movimento #MeToo, il dibattito sul femminismo si è radicalizzato, qualunque museo, ovunque sia, deve avere molto coraggio per assumersi il rischio di dedicargli spazio. Poco importa che non sia stato oggetto di denunce quando era vivo. Poco importa che abbia lavorato con Kate Moss, Karen Mulder, Monica Bellucci, Cindy Crawford, Claudia Schiffer, Naomi Campbell o Iman. Poco importa il sentimento generale, come ricorda Violeta Sanchez, la sua musa: «Ogni modella sognava di posare per Helmut. E io ho avuto il privilegio di lavorare con lui vent’anni». Poco importa, perché quando era vivo, non era l’uomo a essere sotto tiro, ma la sua opera. Il che di per sé è pertinente. Ma la motivazione no: egli ridurrebbe la donna a un oggetto sessuale, anche di fantasticherie, tra cui quella dell’avvilimento, del degrado. Il discorso invece è decisamente più complesso, ma l’epoca non concede sfumature.

La modella Arielle Burgelin di spalle in una fotografia di Helmut Newton per Amica (1982, Milano).

Tentiamo un’altra lettura. Con Newton la donna raramente è una vittima. Anche se nuda, è lei che decide, non perde mai la propria dignità. Sta dritta, sorride raramente, quasi mai. Percepiamo anche che porta avanti una storia. Non è più una modella. O meglio: Newton fa indossare alle donne che fotografa gli stereotipi degli uomini, restituendogli lo specchio del loro machismo. In questo è un rivoluzionario.

Chiediamoci quindi: come mai per decenni le femministe sono rimaste mute di fronte alla valanga di modelle intente a far moine sulle riviste patinate e hanno invece vilipeso Newton che, a più riprese, non sempre, ha trasformato la donna in una fortezza autonoma e responsabile? Risposta: perché lui non ha provato a calmare le acque, anzi, giocando con la provocazione, in varie interviste si è divertito ad apparire come una piccola peste. A differenza di molti suoi colleghi non ha mai cavalcato il luogo comune “voglio magnificare le donne”. Newton aveva uno spiccato gusto per gli ambienti sadomaso – il suo modello era Catherine Deneuve in Bella di giorno di Luis Buñuel. Nel 1979 disse a Nicole Wisniak, sulle pagine della rivista francese Egoïste: «C’è una categoria di donne che mi irrita profondamente, è la razza delle donne dette “liberate”, le pseudo-militanti del Women’s lib». Tutto questo ne fa un bersaglio ideale.

(Continua)

In apertura:Mario Valentino (Monte Carlo, 1998), dalla mostra Helmut Newton One Hundred (26/10- 8/11, Fondazione Helmut Newton, Berlino).

Foto © The Helmut Newton Estate / Maconochie Photography e © Helmut Newton Estate / Courtesy Helmut Newton Foundation.

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