Vince Aletti su Helmut Newton

È impossibile non provare senti­menti contrastanti nei confronti di Helmut Newton. E penso che lui si aspettasse esattamente questo. Forse non intendeva sconvolgere nessuno, ma

quando succedeva non sembrava certo dispiacergli. «Alcune persone odiano quello che faccio», ha detto una volta in un’intervista; in effetti, la polemica gli dava coraggio. Gli piaceva essere il più arguto e accre­ditato provocatore nella fotografia di moda. I suoi lavori migliori restano ancora sovversivi, ancora scioccanti, e, per molti, ancora disgustosi e in­giustificabili. Lo capisco. Quando ho visto White Women (Congreve Publi­shing) per la prima volta, nel 1976, il movimento femminista considerava già Newton come una specie di paria che umiliava le donne e le trattava come oggetti. Difficile controbattere. Certe immagini potevano essere vol­gari, anche crudeli; le scene di nudo, a prescindere dall’eleganza della messa in scena, sembravano gratui­te, punitive. E per quanto Newton scaldasse gli animi, le sue foto erano fredde – non solo studiate fino all’ul­timo dettaglio, ma prive di emozio­ne, senza segni di vita.

O almeno così apparivano all’e­poca. Ripensandoci, mi chiedo in che modo avrei reagito se avessi guarda­to il lavoro di Newton così come era apparso, di mese in mese, sulle pagi­ne del Vogue Paris, invece che tutto in una volta in un libro, con giudizi accusatori annessi. Quando, tempo dopo, ho sfogliato i numeri della ri­vista, ho anche potuto apprezzare le fotografie nel loro contesto e capire meglio perché fossero importanti. Newton e Guy Bourdin, che spesso si spartivano le pagine più importan­ti del Vogue francese, erano veri e propri agenti di cambiamento. Sono arrivati in un momento in cui i grandi maestri della fotografia di moda – Horst, Beaton, Parkinson, Avedon, Penn – erano diventati l’establish­ment, una vecchia guardia che lungi dall’essere moribonda aveva però davvero bisogno di una scossa.

Helmut Newton, “Tv Murder, Hotel on the Croisette” (Cannes, 1975).

© THE HELMUT NEWTON ESTATE / MACONOCHIE PHOTOGRAPHY

Newton non era particolarmente radicale, ma spesso lo era il suo lavo­ro, e lui e Bourdin non avevano paura di seguire le proprie fantasie erotiche e i propri feticismi ovunque potesse­ro portarli. Insieme hanno cambiato il corso della fotografia di moda, liberandola dalle vecchie convenzio­ni, prendendola in giro senza pietà, stuzzicandola e mandandola fuori di testa. La perversione particolare di Newton era quella di allestire le sue immagini negli ambienti più lussuosi: suite di Grand Hotel, magioni di famiglie importanti, yacht privati, re­sorts sulla costa, giardini dalle siepi scolpite. Giocando con la perdurante fascinazione della moda per l’estre­ma ricchezza – e allo stesso tempo sovvertendola –, Newton sapeva dare al suo flirt con la pornografia una pa­tina decisamente lussuosa.

Il suo lavoro può essere scanda­loso, ma non è mai osceno. Brassaï, sua riconosciuta fonte d’ispirazione, influenza alcune delle sue ambienta­zioni, ma in realtà qui c’è ben poco della dolente, oscura intimità di Brassaï. La carica erotica di Newton è più esplosiva, sebbene non manchino sottigliezze e seduzioni na­scoste. Il suo senso dell’umorismo, per quanto tagliente e perverso, è la chiave del suo fascino. Newton è più che desideroso di mettere a disagio il suo pubblico, ma vuole sempre farci divertire. Gli piace dare spet­tacolo, il più delle volte creando un mondo immaginario e privato di cui rivelare tutti gli intrighi e i segreti. I suoi melodrammi sono quasi sempre commedie composte di equilibrio e di eccesso, decisamente più diverten­ti che eccitanti. In realtà non penso avesse davvero intenzione di eccita­re nessuno; era troppo acuto, troppo intelligente per questo. Ma non vo­leva neanche che ci limitassimo a girare pagina. Newton si definiva un voyeur. Ha assecondato questa os­sessione con ogni mezzo necessario, e ci ha invitato a condividerla con lui. Non vedo più nessuna ragione per non farlo. Può essere difficile da amare, ma non lo si può ignorare. Per qualcuno la sua figura sarà sempre problematica, ma lui non avrebbe voluto niente di diverso.

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Vince Aletti, columnist di Vogue Italia, è scrittore, curatore e critico fotografico.

Da Vogue Italia, n. 841, ottobre 2020

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