Casa Vogue. Ritratto di Federico Forquet

«Ho visto quattro fogli volanti», chiosa Federico Forquet, in vacanza a Valle Pinciole, la sua proprietà immersa nell’imperiale verde toscano di Cetona, riferendosi alle bozze

di The World of Federico Forquet: Italian Fashion, Interiors, Gardens di Hamish Bowles (Rizzoli New York), appena pubblicato. Come se, dopo quel primo incontro ad Aïn Kassimou, la villa di Marella Agnelli a Marrakech, i successivi 14 anni che ci sono voluti per realizzare il volume e le tante visite di Bowles allo sterminato archivio di Forquet non fossero nulla. Ma questa organica nonchalance, la “sprezzatura” ricordata nel libro dallo scrittore, è uno dei segni della formazione partenopea di Forquet, un’alchimia che, unita al suo gusto innato, lo ha portato a “firmare” i mondi della moda e della decorazione, con pari mae­stria. «Inizialmente», spiega Bowles, «a ipnotizzarmi è stata la sua carriera tutto sommato breve – 10 anni – ma memorabile nella couture anni Sessanta, il fatto che fosse venerato da clienti quali Allegra e Marella Agnelli, Nan Kempner, Sophia Loren e Marisa Berenson, così come dalla stampa e dagli addetti ai lavori. Per me è stata anche una nuova occasione di approfondire le mie conoscenze su Cristóbal Balenciaga, di cui avevo già curato due mostre monografiche, al de Young Museum di San Francisco e al Queen Sofía Spanish Institute a New York. Solo in un secondo tempo ho scoperto gli interni di Forquet e con essi il fiabesco giardino di Cetona». 

Le pareti del salotto d’inverno a Roma di Forquet sono coperte con tele raffiguranti scavi archeologici; il progetto è di Renzo Mongiardino. Un’eruzione del Vesuvio è il tema del grande dipinto settecentesco. Le Tre Grazie sorreggono un orologio Luigi XVI.

È questo un eden che Forquet ha creato negli anni tutt’intorno alla villa fino a confonderlo con la generosa natura. «Russell Page mi diceva sempre di non piantare cose che non vedevo crescere intorno a me, sennò sarei rimasto prima o poi deluso. Mi è stato difficile trattenermi, ero entusiasta delle eccezionali fioriture di Capri che avrebbero invece patito gli inverni di Cetona. E poi avevo anche un debole per il catalogo del vivaio inglese di Sir Harold Hillier, alto quanto la Divina Commedia». «Ha portato l’estetica rigorosa della sua moda nelle architetture del paesaggio», spiega Bowles, sottolineando i paralleli precisi tra la moda e gli interni/esterni di Forquet. «Tutto si basa su taglio, struttura e armonia. Non ha mai creato qualcosa perché venisse semplicemente sfoggiato; al contrario, perché potesse essere intensamente vissuto e contemplato. Forquet ha avuto la serendipità di incontrare dei mentori eccezionali. E la capacità di crearsi un tessuto di frequentazioni straordinarie e munifiche». 

Appeso sopra il caminetto un bassorilievo barocco di Algardi raffigurante Sansone e i Filistei. Sul tavolino in primo piano una raccolta di micromosaici di Antonio Aguatti e Giacomo Raffaelli.

(continua)

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