La passione per il nudo femminile non costituisce niente di strano in un fotografo eterosessuale sedicente grande amante delle donne. Ma il carattere ripetitivo, meticoloso,
Nel testo d’apertura del catalogoThe Best of Helmut Newton(1993), lei sostiene che la sua non sarebbe vera fotografia di moda, ma piuttosto la risposta artistica a ossessioni personali. Perché?
Gli abiti, in Newton, non interessano in quanto tali, ma come cornice della nudità femminile: servono a esaltarla, lasciando intravedere maliziosamente seni, peli pubici, cosce e sedere delle modelle. Svestono più di quanto non vestano. Non sono il fine ultimo, come ci si aspetterebbe da un fotografo di moda, ma un mezzo. A colpire è inoltre l’ordine maniacale che domina le sue fotografie. Dalla composizione generale alla più insignificante piega di un guanto, niente in Newton è affidato al caso. Tutto deve sottostare a un ordine prestabilito. La sua fotografia ha un che di liturgico, oltre che di ossessivo: prima ancora che fotografia di moda, è un “rituale”.
La scienza ha dimostrato che i rituali hanno un effetto calmante, inducendo il rilascio degli ormoni del benessere. Quali paure Newton cercherebbe di esorcizzare?
Una pista da seguire è l’onnipresenza nelle sue foto di tacchi vertiginosi, pellicce, una vera ossessione. La biancheria di seta, le calze trasparenti: tutti accessori dal carattere fetish, simboli dell’atto sessuale. Possono servire a evocarlo, così da svolgere un’azione eccitante prima e durante l’atto, o fungere da surrogato, rimpiazzandolo. Quando l’atto sessuale si sublima in un oggetto, diventa eterno, affrancandosi dalla corruzione della carne. L’accostamento di accessori fetish ai corpi semiscoperti di donne mature, equivale a mettere in scena il contrasto tra l’incorruttibilità dei primi e la corruttibilità dei secondi. Prima che foto di moda, sono dei memento mori.
© THE HELMUT NEWTON ESTATE / MACONOCHIE PHOTOGRAPHY.
Con la sua ritualistica praticaNewtonavrebbe dunque individuato un espediente per esorcizzare la paura di invecchiare e, per esteso, della morte?
È solo un’ipotesi, che trova però conferma in una dichiarazione di Philippe Serieys, suo storico assistente. «Helmut detestava sentir parlare della morte. Era ipocondriaco: evitava di toccare le ringhiere per paura di contagiarsi! Nella sua vita ha pensato tanto ai germi quanto alle sue foto». Vi è poi il costante riproporsi del motivo della donna che si specchia, simbolo di vanitas e fugacità della vita nella storia dell’arte.
Come spiega che le protagoniste di questi suoi “rituali” siano sempre donne dal carattere dominante?
Il bisogno di rappresentare la potenza sessuale della donna è troppo ossessivo e seriale per essere solo – come è stato scritto – un commentario artistico all’emancipazione delle donne a partire dagli anni 60. Ci leggo il tentativo di esorcizzare una seconda paura: quella dell’altro sesso.
Newton, inconsciamente, temeva le donne?
È solo un sospetto, da prendere con le pinze. Ma avvalorato dalla presenza ricorrente di sex doll e manichini, i feticci sessuali più amati dagli uomini che temono le donne. È lui stesso a darci un indizio, quando dichiara: «Le mie donne sono sempre vincitrici». Rigirata, questa frase può essere letta: dall’incontro con la donna, sono destinato a uscirne sconfitto. Le sue modelle sono lontanissime dalle ingenue ragazzine dei servizi di moda. Incutono timore, perché smaliziate, peccaminose, forse criminali. Sono pericolose e potenti valchirie, la cui nudità può celare abissi morali. Bellissime e spaventevoli, nella loro spavalda alterità.