Semplicità e qualità: con queste due parole i creativi di Jil Sander, Lucie e Luke Meier, riassumono la loro primavera estate 2021. “Le donne sono
Se Luke ammette che questa filosofia “non è certo rivoluzionaria” e che è da tempo che i due creativi hanno a cuore dettagli come questi, questa stagione hanno voluto “ribadirli.” E in un mondo che attraversa una fase di incertezza che sembra non avere fine, questa coerenza è più apprezzata che mai.
La collezione “contemplativa” dei Meier per la primavera estate 2021 - fra i capi di spicco, un soprabito dal taglio fluido in pelle color latticello, un vestito in seta giallo girasole effetto increspato e borse morbide portate sotto il braccio - la dice lunga sull’approccio dei due creativi alla moda. Luke, che è canadese, e Lucie, svizzera, e la casa d’adozione milanese della fondatrice del brand Jil Sander (di Amburgo) saranno anche andati in lockdown a metà stagione, ma dal punto di vista della produzione, i Meier non hanno avuto nessun motivo di andare nel panico: lavorando in anticipo, avevamo già completato il primo giro di fitting e scelto gran parte dei materiali.
Qui i due creativi raccontano la nuova collezione, ci dicono cosa pensano del futuro delle sfilate e di come la fashion industry può ridurre il suo impatto sull’ambiente.
Disegnare una collezione in due deve essere molto diverso da quando tu, Luke, eri design director di Supreme, e tu, Lucie, lavoravi da Dior. Avete definito un metodo di lavoro?
Lucie: “Abbiamo un team che lavora alle pre-collezioni, un team che lavora alla sfilata e poi c’è il team per l’uomo. Queste collezioni vengono fatte una dopo l’altra, è un lavoro continuo. Per ogni nuova collezione prima parliamo fra di noi, e poi mettiamo insieme un brief per il team”.
Luke: “Le nostre conversazioni, che si tratti di cinema, fotografia, arte o musica, formano il progetto base della collezione, non improvvisiamo le cose due settimane prima della sfilata. Il nostro rapporto si basa su questo tipo di dialogo da più di 15 anni, da quando ci siamo conosciuti a scuola (al Polimoda di Firenze, NdR)
“Si tratta di capire cosa funziona meglio: quello che abbiamo fatto in questi tre anni insieme, e se vogliamo esplorare qualcosa di nuovo e diverso. Quel dialogo poi viene sviluppato con il team. Non ci piace l’idea di gerarchia, non è un modo moderno di lavorare”.
Che cosa volevate ottenere con i tessuti, i tagli e le silhouette questa stagione?
Lucie: “Per quanto riguarda i colori ci sono tinte tenui, ma ci piacevano anche i colori più vivaci come il giallo del vestito in seta e viscosa. Quel vestito è importante perché ha una sua disinvoltura ed eleganza. Abbinato a scarpe basse, il look mescola queste due attitude, maschile e femminile”.
Luke: “Siamo sempre alla ricerca di tecniche artigianali, del fatto a mano. Ad esempio, abbiamo creato un cappotto a partire da una tecnica di pelle intrecciata a incastro che abbiamo scoperto in un piccolo laboratorio in Toscana, e l’effetto grafico è incredibile — ci piaceva molto l’idea di creare un capo a partire da quel tipo di know-how. Anche le sculture metalliche accartocciate di John Chamberlain e il suo uso del colore hanno ispirato la lavorazione dei tessuti, il tocco dell’uomo è sempre visibile”.
Che tipo di atmosfera volevate evocare con il film?
Lucie: “Abbiamo filmato in uno studio di registrazione a Milano. Il pavimento era dipinto di nero, ma era molto consumato e pieno di segni di nastro adesivo. Anche se è uno spazio molto semplice è molto vivo, e ha un mood industriale”.
Luke: “Un punto di riferimento è stato l’approccio essenziale di Pina Bausch (la ballerina e coreografa, NdR) alla scenografia, ma volevamo che fosse ancora più spoglia, ancora più ridotta. Lavorare in un contesto del genere fa risaltare gli abiti, i movimenti, le emozioni. Una sfilata dal vivo è un po’ come una performance, perché crei un ambiente — le luci, il suono e così via— e noi volevamo comunque comunicare questo aspetto”.
Che differenza c’è fra creare un film e fare una sfilata dal vivo?
Luke: “La domanda è in realtà, ‘Cosa può sostituire una sfilata’? È una cosa a cui stanno pensando in tanti. In un certo senso, niente può sostituirla. Ma un film, una foto, i social media, un sito, la vetrina di un negozio, sono tutti strumenti con cui comunicare un’emozione e un punto di vista. Per fare un film ci vuole più tempo che per fare una sfilata, che dura un quarto d’ora e hai finito. C’è la fase di montaggio, che è elettrizzante, perché scegli i vari modi in cui presenti e metti in evidenza le cose. È bello trovare un equilibrio, e confondere i confini fra fisico e digitale”.
In che modo vi state impegnando da Jil Sander per ridurre l’impatto della moda sull’ambiente?
Lucie: “Dal punto di vista del consumatore, se compri meno e compri meglio è responsabilità dei luxury brand fare in modo che i loro prodotti siano di alta qualità, perché durino a lungo. La nostra missione, da sempre, è quella di trovare i materiali migliori con l’impatto minore, e offrire prodotti che abbiano una lunga vita. E questo non ha nulla a che fare con il marketing, o di convincere il pubblico che si tratta di qualcosa che ci avvantaggia rispetto alla concorrenza: è semplicemente come dovrebbe essere”.
Luke: “La bellezza ha bisogno di emozioni, e non solo di un approccio pragmatico alla qualità. Stiamo sollecitando i nostri fornitori a produrre i tessuti che utilizziamo ogni stagione — come il popeline di cotone o la gabardine di lana — in modo più sostenibile. I fornitori di pellami con cui lavoriamo stanno sviluppando un processo circolare per l’utilizzo dell’acqua che includa anche la conciatura e la tintura. La sostenibilità dovrebbe diventare una pratica standard”.