Ogni anno negli ultimi dieci anni le figure chiave del mondo della moda si sono riunite al Copenhagen Fashion Summit per parlare di come la
“Abbiamo la possibilità di usare questo momento per fare un vero reset”, dice a Vogue Eva Kruse, CEO della Global Fashion Agenda e ideatrice del Copenhagen Fashion Summit. “Ed è ancora più importante parlare di come la sostenibilità possa avere un ruolo fondamentale nella ricostruzione della fashion industry dopo la crisi del Covid-19”.
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Il passaggio al digitale
L’evento digitale, che si terrà sulla piattaforma CFS+, comprenderà una serie di dibattiti fra nomi del calibro di Helena Helmersson, CEO di H&M, e Johan Rockström, professore di scienze ambientali, ma anche fra Omoyemi Akerele, fondatrice della Lagos Fashion Week, e Samata Pattinson, CEO del Red Carpet Green Dress. Marco Bizzarri, CEO di Gucci, prenderà parte a un’intervista live, mentre fra gli altri oratori ci saranno il Presidente di Chanel Bruno Pavlovsky, il fondatore di Ganni Nicolaj Reffstrup, e Amina Razvi, direttrice esecutiva della Sustainable Apparel Coalition. Tutti i dibattiti saranno disponibili sul sito anche dopo la fine dell’evento virtuale, e sarà attivo anche un servizio digitale di matchmaking per far incontrare brand e innovatori.
Il nuovo formato riflette il modo in cui le conferenze di settore si sono dovute adattare alle nuove circostanze a causa della pandemia, come il Circular Fashion Summit che si è tenuto a inizio mese grazie alla realtà virtuale. “I disagi causati dal Covid ci hanno fatto pensare a nuovi modi di organizzare questi dibattiti e creare qualcosa che possa durare più a lungo di una sola giornata”, dice Kruse. “Possiamo arrivare a un pubblico molto più vasto in questo modo. Sono davvero felice che la piattaforma CFS+ sia aperta a tutti, non bisogna pagare un biglietto costoso, non si deve neppure prendere l’aereo”.
Un obbiettivo essenziale era includere più voci, in particolare alla luce del fatto che il mondo intero quest’anno sta facendo i conti con l’ingiustizia razziale. L’evento di quest’anno, però, è stato criticato per non aver coinvolto i lavoratori delle aziende di abbigliamento — considerando il tremendo impatto che hanno subito a causa della cancellazione degli ordini durante la pandemia — anche se Mostafiz Uddin, il fondatre dell’azienda Denim Expert Ltd in Bangladesh e paladino dei diritti dei lavoratori, sarà presente all’evento.
“In passato non siamo stati molto bravi a mettere al primo posto la diversità”, ammette la CEO del Copenhagen Fashion Summit. “Eravamo più concentrati a dar voce alle persone di potere e sfortunatamente è ancora così, perché nelle posizioni di ladership non c’è ancora abbastanza diversità”.
Il valore della moda
È giusto affermare che gli ultimi mesi hanno dato a gran parte di noi la possibilità di rallentare e riflettere su quello che è davvero importante: i primi segnali ci sono già, perché i consumatori stanno diventando sempre più eco-consapevoli. Il titolo dell’edizione virtuale del summit di quest’anno ci sembra, quindi, particolarmente appropriato: è ‘redesigning value’, ridefinire i valori, sottolineando che dobbiamo tutti dare più valore ai nostri abiti. “Quando riusciremo a capire che una cosa ha un prezzo perché ha un costo non solo per il lavoratore, e per i materiali, ma anche per le foreste, l’acqua e i pesticidi usati, e le emissioni di CO2”?, si domanda Kruse.
Ed è un tema che è stato anche affrontato in una lettera aperta alla fashion industry, promossa da Dries Van Noten, in cui si chiede che le collezioni vengano consegnate in coincidenza con la stagione giusta, e che gli sconti partano solo alla fine di una stagione (e non in mezzo, come accade ora). Kruse è d’accordo: “I grossi sconti hanno fatto scendere il valore dei prodotti, e hanno abituato noi consumatori a comprare a un prezzo ridotto. E quando tutto è scontato, spesso accade di comprare troppo”.
Il tema del valore è essenziale anche nell’approccio dell’ex giornalista al suo armadio personale. “Devo dare più valore alle cose che acquisto: devo averne più bisogno”, spiega. “Si tratta di comprare meno, riutilizzare e riciclare. Quando compro qualcosa di nuovo, devo anche dar via qualcosa che ho già: la rivendo, la regalo, la riciclo”.
Bisogna agire subito
Se è vero che nella fashion industry negli ultimi tempi si parla molto di sostenibilità, i progressi sono ancora lenti. “In tutti i nostri sondaggi osserviamo che il 50 % circa del settore sta facendo qualcosa in chiave sostenibile, ma un altro 50% va a rilento”, dice Kruse. “Resta da capire se prenderanno provvedimenti in modo autonomo, o se hanno bisogno di essere obbligati da una legge, ad esempio con una tassa sull’uso dell’acqua o sulle emissioni CO2, o il divieto di incenerimento”.
La CEO della Global Fashion Agenda spera che l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulla fashion industry possa velocizzare questo processo. “La pandemia ha fatto capire che la sostenibilità deve essere una pratica indispensabile” afferma Kruse. “Abbiamo visto che le aziende con una filiera più snella e un maggiore controllo sulle proprie risorse naturali e la loro produzione sono quelle che stanno facendo meglio. La sostenibilità non è solo la cosa giusta da fare per le persone e per il pianeta, è anche la cosa più giusta da fare per creare modelli di business più resilienti per il futuro”.
Ne ha fatta di strada il Copenhagen Fashion Summit, stimolando il dibattito negli ultimi dieci anni: quando è nato, nel 2009, di sostenibilità nel settore si parlava raramente. Kruse ha fiducia nel futuro? “Sono sicuramente ottimista”, conclude. “Spero davvero che le persone non utilizzeranno questa opportunità solo per tornare a quello che avevamo prima. Bisogna restare concentrati sugli obbiettivi, capire quali sono quelli davvero importanti. Credo che così potremo fare grandi cose”.