Sia che si tratti del glamour più elettrizzante firmato Tom Ford o dell’esuberanza della passerella-spettacolo di Christopher John Rogers, di norma la Fashion Week di
Ora che il mese della moda si è concluso, ripercorriamo questa stagione assolutamente atipica proponendovi un riassunto dei momenti più importanti: dal ruolo della tecnologia alla maggior diversità in passerella ai nuovi nomi da conoscere.
1. Quando moda e tecnologia si incontrano
© Courtesy Eckhaus Latta
Un primo indizio di quella che potrebbe essere la ‘nuova normalità’ delle sfilate è arrivato grazie a Eckhaus Latta che ha presentato la propria collezione sotto il Manhattan Bridge durante l’ultima serata della Settimana della Moda di New York. È stato uno dei pochi show a mantenere un format simile a quello tradizionale anche se - nel rispetto delle misure anti-Covid – il pubblico era formato da una decina di persone e le modelle sfoggiavano mascherine con una stampa Eckhaus Latta. La sfilata è stata trasmessa in live streaming per la gioia di follower e fan e, così facendo, il brand ha stabilito una sorta di modello per il futuro.
A Londra, il primo a proporre un format alternativo, adottato in seguito anche da altre grandi case di moda, è stato Burberry che ha scelto di pre-registrare la sfilata per poi presentarla live sul proprio sito web rimanendo fedele al proprio slot in calendario. La stessa strategia è stata poi utilizzata da Prada, che ha proposto una sorta di ‘meta-presentazione’ sul ruolo centrale della tecnologia con tanto di schermi video che riportavano i nomi delle modelle, e da Rick Owens che ha abbandonato il Palais de Tokyo per la straordinaria cornice del Palazzo del Casinò vicina alla sua abitazione veneziana.
Gli stilisti si sono affidati alla tecnologia anche per ricreare l’esperienza della sfilata in maniera più ironica. Da Balmain, per esempio, schermi con un front row virtuale si alternavano ad ospiti in carne e ossa mentre allo show di Louis Vuitton, un escamotage simile ha permesso ai redattori di tutto il mondo di sintonizzarsi seguendo la sfilata dallo schermo (l’equivalente del posto a sedere) assegnato. Anche se forse, la trovata più indimenticabile è stata quella di Jeremy Scott per Moschino con il suo front row di marionette con le sembianze di volti noti del fashion business.
Detto questo, l’utilizzo della tecnologia più convincente è stato anche il più semplice: il filmato, come nel caso del video immaginifico e altamente romantico di John Galliano per Maison Margiela. Diretto dal collaboratore di una vita, Nick Knight, ha sviluppato una narrativa che la passerella non sarebbe mai stata in grado di fare.
2. I nuovi direttori creativi sulla scena
© Courtesy Prada
Sebbene sia stata una delle stagioni più sobrie in assoluto, l’attesissimo debutto di due grandi direttori creativi è stato sufficiente per soddisfare il desiderio di novità del popolo della moda. Il primo è stato a Milano con la collezione inaugurale co-creata da Miuccia Prada e Raf Simons. Una partnership che, quando venne annunciata a febbraio durante la Settimana della Moda di Milano, lasciò gli addetti ai lavori letteralmente a bocca aperta per la sorpresa. La collezione che è nata (che siamo certi accontenterà i fan di entrambi gli stilisti) mixa sapientemente le stampe e le silhouette più iconiche di Prada con quel tocco anticonformista tipico delle creazioni di Simons che portano la sua firma.
© Courtesy Givenchy
Altrettando attesa è stata la collezione di debutto di Matthew Williams per Givenchy. Noto per lo stile utilitarian di ispirazione streetwear del suo marchio 1017 Alyx 9SM, era difficile immaginare come il designer americano avrebbe coniugato questa sua estetica con l’eleganza romantica tipica dell’haute couture del fondatore della maison parigina. Presentata sotto forma di lookbook, la collezione è una rilettura più raffinata degli accenti metallici e punk tipici di Williams con forme sartoriali sia per l’uomo che per la donna, che si sono già dimostrate essere un successo inaspettato.
3. Un momento di svolta per la diversità in passerella
Durante gli scorsi sei mesi, l’industria della moda ha fatto un necessario – e tanto atteso – esame di coscienza, mettendo in discussione quell’atteggiamento di esclusione nei confronti, soprattutto, dei talenti neri o appartenenti a minoranze etniche. Se c’è un aspetto positivo di questa stagione anomala è che tutte quelle richieste di una rappresentazione più autentica sono finalmente state accolte. Almeno in termini di casting.
Sulla passerella di Versace, l’inclusione di modelle plus-size è stata vista come un passo avanti e ha segnato l’ascesa di un nuovo volto, quello di Precious Lee. Il cast della sfilata di Prada era composto interamente da modelle al loro debutto. E anche in questo caso, vi segnaliamo un nome nuovo da tenere d’occhio: Karla Koncurat. Ma i cambiamenti visti in passerella e promessi da tanti dei brand più prestigiosi del settore si riflettono anche dietro le quinte? Questa rimane una valutazione più difficile da fare.
© Photography Getty Images
Paradossalmente, uno degli show più autenticamente inclusivi in fatto di appartenenza etnica, corporatura, genere e sessualità, ha avuto luogo ben lontano dal circuito delle fashion week, grazie alla collezione di lingerie Savage x Fenty di Rihanna andata in onda su Amazon Prime il 2 ottobre. Semmai i brand di moda si stessero chiedendo come ampliare i propri orizzonti con intelligenza e il giusto riguardo, l’approccio di Rihanna al casting e all’assunzione del personale che lavora al suo fianco sono decisamente un buon punto di riferimento. Anche se – ricordiamolo - la cantante è stata criticata per aver usato una canzone all’interno dello show che includeva versi hadith, che costituiscono uno dei riferimenti della tradizione musulmana. Rihanna si è scusata dichiarando che si è trattato di “un errore in buona fede. Una svista”
4. E la sostenibilità: dov'era in questa stagione?
© Courtesy Balenciaga
Negli scorsi due anni, sono poche le tematiche che hanno dominato il dialogo all’interno del settore con la stessa intensità della sostenibilità. Alcune delle più grandi case di moda sono state costrette ad ammettere la propria responsabilità nei confronti della crisi climatica mondiale a causa di fattori come sovrapproduzione, una catena di approvvigionamento poco trasparente e processi produttivi che danneggiano l’ambiente. Questa stagione sono stati diversi gli impegni sottoscritti a favore della sostenibilità. A partire da Demna Gvasalia, che ci ha tenuto a far sapere che il 93,5% dei materiali semplici utilizzati per collezione Balenciaga erano certificati riciclati o il risultato di processi di upcycling.
La newyorkese Gabriela Hearst, vincitrice del CFDA Award 2020 per la categoria Womenswear Designer of the Year, ha debuttato alla Fashion Week parigina con una collezione creata al 60% con tessuti di scarto e ha lanciato l’iniziativa Garment Journey, che utilizza i codici QR sulle etichette dei capi per incrementare la trasparenza sulla catena di approvvigionamento.
Uno dei benefici di un format di sfilata totalmente diverso è stata la sostanziale riduzione dei viaggi di addetti stampa e buyer tra le quattro capitali della moda. Al momento è difficile prevedere se questo significherà settimane della moda ridotte e con meno ospiti quando la pandemia si sarà conclusa anche se, viste le ripercussioni finanziare del Covid-19 sull’intera industria della moda, sembra più che probabile.
Ma, indipendentemente da come evolverà la situazione in futuro, questa stagione ha dimostrato che esistono alternative praticabili alla tradizionale sfilata in presenza e al relativo impatto ambientale.
5. Un'inaspettato focus sui designer emergenti
Un altro vantaggio di questo mix di show fisici e digitali è stata la democratizzazione dell’attenzione rivolta ai brand, a prescindere dalle dimensioni o dalla fase del proprio percorso di crescita. Questa volta per attirare l’interesse di giornalisti e redattori di moda non era più necessario avere i mezzi per organizzare una sfilata vistosa e proibitivamente costosa. Anzi. Questa stagione, molti brand emergenti hanno proposto presentazioni pre-registrate o lookbook dello stesso calibro di marchi 10 volte più grandi.
A New York, questo ha significato, per esempio, un’attenzione straordinaria per Eckhaus Latta durante una settimana della moda in cui molti dei big per eccellenza, come Marc Jacobs, Ralph Lauren e The Row, hanno deciso di non sfilare. A Londra, un label emergente come Chopova Lowena, che di norma presenta tramite lookbook, si è guadagnato menzioni e approfondimenti da prima pagina sulla stampa inglese.
E, persino a Milano e a Parigi, dove la maggior parte delle case di moda storiche ha mantenuto una presentazione come da calendario, le creazioni di designer come Ottolinger, Kenneth Ize e Rokh, sono risultate essere tanto originali ed emozionanti quanto sfilate-spettacolo dal budget molto più ambizioso.