Casa Vogue. Il castello di Benelli a Zoagli

Il castello delle beffe

È dal 1914 che l’eccentrica costruzione, arroccata sulla scogliera di Zoagli, si affaccia sul mare, al centro del golfo del Tigullio.

Una presenza impossibile da ignorare, proprio lì su una delle tante curve che l’Aurelia snoda su quel tratto ancora magico della riviera ligure. Impossibile da ignorare ieri, quando la strada era un semplice sterrato, il paese un borgo di pescatori, l’orizzonte una linea solitaria e la cosiddetta villeggiatura era una moda, anzi, un lusso ancora per pochi. Impossibile da ignorare tutt’oggi per come spicca così teatrale con i suoi archi, le volte e i tagli prospettici su un panorama ormai ampiamente antropizzato e costruito, mentre l’orizzonte e il Golfo sono un viavai di imbarcazioni cui si aggiunge regolarmente qualche condominio galleggiante di passaggio. Indifferente e roccioso, il “drammatico” Castello sembra davvero beffarsi di tutto. Su Casa Vogue ne parlammo nell’aprile 2017. Tre anni fa, ma a volte sembra un secolo.
(Paolo Lavezzari)

© Fondazione Piero Portaluppi (portaluppi.org)

Il nome di Sem Benelli (1877-1949), drammaturgo toscano di enorme fama nella prima metà del Novecento, è soprattutto legato al suo lavoro più noto, “La cena delle beffe”, che dal 1909 conobbe ininterrotto successo mondiale. Meno si sa del fatto che la Liguria fu la sua seconda patria: abitò infatti a Sanremo, a ovest della regione, a San Terenzo, a est, e si stabilì in via definitiva a Zoagli, in provincia di Genova. Qui, dopo i guadagni derivati dai diritti della “Cena”, benché con le mani perennemente bucate, decise di farsi costruire una dimora principesca a picco sul mare, che ancora oggi sorge imponente ai bordi della strada statale 1 Aurelia. 

© Fondazione Piero Portaluppi (portaluppi.org)

Il progettista prescelto fu Gian Giuseppe Mancini, un architetto toscano di non comune talento, che Benelli aveva conosciuto nel 1906, alla Scala di Milano, quando si occupava di scenografie teatrali. Glielo aveva presentato il famosissimo impresario Luigi Sapelli, meglio conosciuto come Caramba. Dopo la medaglia d’oro ottenuta al Salon di Parigi nel 1904 e il settimo posto al concorso internazionale indetto all’Aia per il Palazzo della Pace (mancò il risultato perché, si scrisse, non figuravano italiani nella giuria), Mancini attendeva un’occasione per inserirsi nel gotha dell’architettura. Gli fu offerta appunto da Benelli, che durante la stesura della tragedia “Rosmunda” gli commissionò il “castello” di Zoagli, da «erigere su una scogliera». 

© Gianni Basso

La costruzione che ne risultò è una sontuosa, enorme quanto eclettica villa a pianta semicircolare, su tre livelli, che costò a Benelli un patrimonio, anche per il mobilio quattrocentesco con cui volle arredarla, completata dalla casa del giardiniere e da un vasto parco digradante fino al mare. Nonostante la risonanza del progetto sul piano nazionale, Mancini non riuscì a compiere il “salto” che gli avrebbe consentito di primeggiare. L’architetto vinse però il concorso per una cattedra all’Istituto di belle arti di Parma e vi si trasferì nel 1912: da qui, tentò di diffondere i suoi principi. Per quanto nel suo libro “Schiavitù” Benelli dedichi a Mancini pagine significative e ne esalti in qualche modo la figura, nel 1922 i due ruppero i rapporti – salvo riprenderli nel 1938 – quando il committente accusò il progettista di avergli fatto spendere troppo per realizzare il castello, arrivando a pretendere un risarcimento; Mancini rispose con una durissima lettera, addossando a lui e alla sua mania di “gigantismo” tutte le colpe. 

© Gianni Basso

«Devo proprio maledire il giorno che ho fatto la tua conoscenza?», scrisse, «Lasciando credere di averti fatto spendere dei milioni – che non avevi – nel castello che t’ho costruito – del quale non ho percepito neanche gli onorari – mi hai fatto crescere la fama di rovina clienti! Io passo per averti rovinato!!! Così mi sono vista alienata tutta la clientela! Ma ho taciuto! Ho taciuto per non incanire allora, sulla tua situazione... mentre avrei potuto passare ai giornali la storia, che è ben diversa e di fatti e di cifre e raccontare la mia odissea d’ingiurie ed insulti ricevuti in compenso d’un’opera d’arte che t’ho lasciato e per la quale domandi ora dei milioni». Forse non sbagliava; in uno dei momenti di maggiore sconforto, sulla villa di Zoagli Benelli così si espresse: «Ho avuto una grande casa, per me troppo grande e non abbastanza solitaria. È fatta d’archi e di volte e di colonne e di stanze ampie in eleganti e magnetiche prospettive; ma non dice nulla all’anima mia bramosa di conoscenze lontane nel domani del futuro e di opere umili e buone come quella di lavorare la terra e scoprire e indicare una maraviglia piccola e stupenda, specchio del tutto. Questa grande casa è mia e non è mia, anche perché la costruii per la mania di edificare e sono povero e vi sto come un custode senza beneficio». 

© Gianni Basso

Il castello, ipotecato per le continue spese di Benelli, fu messo una prima volta all’asta dal commissario del banco Carlotto, in fallimento, ma intervenne personalmente Mussolini – sebbene Benelli non fosse fascista né avesse mai voluto iscriversi al partito o al Sindacato – che ordinò di comperarlo per 110.500 lire e di restituirglielo. E puntualmente questo avvenne; tuttavia, Benelli lo perse una seconda volta in via definitiva e si trasferì nella casa del giardiniere, riservandosi il diritto di abitarvi fino alla morte, nel 1949. Oggi l’interno è trasformato, ogni piano un appartamento privato; e nel grande salone nero dell’ingresso, l’ultimo evento pubblico che si ricordi avvenne negli anni Cinquanta: un concerto di Arturo Benedetti Michelangeli.

© Gianni Basso

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