Il punto di vista di Casa Vogue. Curiosity di Davide Oppizzi

Sul tema di una mini architettura e/o scultura (magari mobile) che racchiude una sorgente luminosa si sono cimentati diversi autori, chi cercando esiti più artistici

ed estrosi, chi preferendo il rigore, ma tutti con grande attenzione al fattore tecnico.
Fra gli arcinoti, Gio Ponti con la Fato (1969), per rimanere nel catalogo Artemide, dove ora troviamo la nuova Curiosity di Davide Oppizzi. Ma se Ponti aveva ideato già un “rappresentazione”, Oppizzi presenta la scena vuota.

«Ognuno è libero di immaginare la propria presentazione sul palcoscenico della lampada», dice infatti il designer ginevrino, spiegando il concept del progetto che in effetti si presenta come una essenziale cornice, ma anche, a piacere, contenitore, teatrino, altare privato, angolo delle meraviglie. Curiosity è insomma il luogo del silenzio imparziale, dove a “parlare” attraverso le cose che scegliamo di illuminare (o togliere dal proscenio) siamo ancora una volta noi.

Disponibile in due dimensioni per meglio accogliere oggetti di differenti dimensioni, offre tre diverse intensità luminose, così da soddisfare esigenze domestiche, divenendo anche display per vetrine. La sfera di vetro bianco del diffusore si può aggiungere creando così un’atmosfera più conviviale e domestica. Grazie poi all’elevata autonomia delle batterie (fino a 26 ore di libertà dalla rete, nella modalità più bassa) il problema della ricarica (rapida, in 3 ore) diventa secondario. Cartella colori essenziale per non rubare la scena:  bianco e nero/marrone. Altezze: 36 e 45 cm.

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