Chiamatemi come vi pare. Intervista a Lachlan Watson

Se c’è un nome, e un corpo, che nel cinema di oggi incarna il superamento della sessualità maschile/femminile è quello di Lachlan Watson. Diciannove anni

vissuti prevalentemente in North Carolina – stato bianco per antonomasia, con forte componente razzista, omofoba e conservatrice – fa coming out come lesbica a 13 anni per poi dichiararsi a 14 uomo transgender (similmente al personaggio che interpreta nella serie Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina, Theo Putnam). Dopo aver rimosso il seno, a 18 anni capisce di non voler scegliere un’identità sessuale fissa e segue la sua natura: nel mondo dello spettacolo, è tra i primi attori genderqueer non binari. L’androgino perfetto, insomma. E qui questo racconto deve cambiare pronome: da “lei/lui” a “loro”, poiché le persone non binarie riconoscono nella pluralità la loro dimensione ideale. Eviteremo anche la desinenza maschile o femminile – cosa più facile in inglese che in italiano – terminando molti aggettivi o sostantivi con un *. «È giusto, perché tutto parte dalle parole che usiamo per definirci e definire gli altri», spiega Lachlan, a Milano per assistere alla sfilate P/E 21 di Etro, con la dolce pazienza di chi è abituato a farlo. «Ma non ne voglio fare una questione di principio: in fondo sono una persona pacifica, e mi sono stancat* di litigare con chi usa “lei” e “lui” come un’arma contro di me. Chiamatemi come volete».

Un bel salto da Raleigh, la città dove ancora vivete con la famiglia di origine, alla prima fila delle sfilate di Parigi e Milano.

Il contrasto è forte, lo so, ma io ho sempre avuto un netto senso della moda – pensi che quando ero bambina mia madre aveva creato un album dei miei look più assurdi su Facebook. Con la moda volevo divertirmi, sperimentare gli accostamenti più impensati, interpretare ruoli. Ho capito da poco il potere straordinario che ha nello strutturare i pensieri della gente riguardo al genere sessuale. Alle prime sfilate ci sono andat* con un’amica del mio stesso paese: a Raleigh eravamo tra le poche persone a girare per strada con degli outfit vintage molto coraggiosi, e ci davamo forza l’un l’altr* per resistere agli sguardi di disapprovazione. Anche a Parigi apparivamo insolit*, ma almeno non eravamo unic*. Per me è stata una scoperta liberatoria. E questo senso di accettazione che c’è nel mondo della moda, queste braccia aperte che accolgono le persone non conformi, è tutto nuovo e raro per me. Non lo do per scontato. Mai!

Lachlan Watson in uno scatto di Sebastian Faena. Giacca monopetto con revers a scialle in raso di seta e camicia da smoking in piquet di cotone. Styling Zadrian Smith.

© MAC1

Le foto di queste pagine si ispirano a Orlando – protagonista dell’omonimo romanzo di Virginia Woolf, nonché personaggio gender-fluid ante litteram –, portato al cinema da Tilda Swinton nel 1992. Vi spaventa il confronto?

Tilda Swinton è il mio punto di riferimento, la mia icona, e nell’ideale empireo di numi tutelari la metto ancor prima di David Bowie. Quindi per me è incredibile che possa dare la mia versione di Orlando, una storia che ho “scoperto” mentre mi preparavo all’audizione per Le terrificanti avventure di Sabrina: pensi che il personaggio che dovevo interpretare, una ragazza che diventa ragazzo, si doveva chiamare proprio Orlando – poi il suo nome è stato cambiato in Susie, con mio grande rammarico. Ma da allora è comparso così frequentemente sul mio radar da diventare quasi una parola magica: quando incontro qualcuno che conosce Orlando, sento che conosce anche me. Mi sento capit*, mi sento me stess* senza bisogno di spiegare cosa significa essere gender-fluid.

Immagino quanto sia stancante doversi sempre spiegare. E non solo ai media, ma anche nella vita quotidiana.

Lo è, perché molta gente non è interessata a capire. Vede solo se stessa e i propri privilegi – che peraltro dà per scontati. Ma sa una cosa? Questa gente non cambia veramente la mia vita. A cambiarla sono le persone che vogliono vedere la realtà fuori dalla loro usuale prospettiva.

Vi siete dichiarat* pansessuali. Credete che oggi sia un’affermazione più comune che in passato?

Credo che, da sempre, molte persone si siano sentite pansessuali. Ora, però, hanno le parole per dirlo. In genere non ci innamoriamo di un certificato di nascita, ma di una bella bocca, di certi occhi, di un’anima. E non importa se è di un uomo o di una donna.

Lachlan Watson in uno scatto di Sebastian Faena. Poncho di lana sfrangiato, dolcevita a body di lana e seta e cuissardes di pelle.

© MAC1

Molti adolescenti Lgbtq vivono il bullismo, la marginalizzazione e l’incomprensione. Voi che siete un role model per la generazione Z anche grazie al vostro impegno come attivista nella causa trans­gender, credete sia possibile diventare adulti e accettarsi senza dover subire situazioni di sofferenza?

Certo! Conosco ragazzi queer che, nonostante abbiano frequentato le “terribili” scuole pubbliche in North Carolina, non sono stati bullizzati. E questo conferma che non tutte le persone Lgbtq devono soffrire per diventare forti, meritarsi rispetto o dimostrare al mondo quello che valgono. Nel mio caso, ho sempre scelto quali battaglie valeva la pena combattere. Sono cresciut* in una famiglia che mi ha continuamente supportat* e capit*. Inoltre ho studiato da casa perché mia madre è un’insegnante. Certo, questo non significa che non abbia sofferto: le aspettative sociali su quello che avrei dovuto essere hanno fatto sì che io diventassi il peggior bullo di me stess*. Però le esperienze positive mi hanno format* molto più degli insulti ricevuti in quanto queer. E lo dico per le giovani persone trans: ricordatevi che il vostro valore non cresce in proporzione a quanto avete dovuto soffrire.

Su Instagram mostrate orgogliosamente tutte le vostre cicatrici – anche quelle derivanti dall’asportazione del seno, un’operazione sicuramente dolorosa. Se il vostro corpo nudo è diventato per molti una sorta di manifesto della nuova bellezza, che cosa ci racconta?

Le mie cicatrici non simboleggiano la sofferenza, ma una bellissima esperienza di trasformazione e cambiamento. Credo che se non avessi avuto cicatrici sulla pelle, ecco, quello sarebbe stato grave. Tutte le persone trans che hanno cambiato il loro corpo hanno cicatrici, ma sono cicatrici di gioia. Sono lacrime di gioia, come quelle che ho provato la prima volta che ho indossato una camicia a righe senza vedere il seno che la deformava. Sono la mia crescita, le cicatrici.

Cosa rappresenta il tatuaggio che avete sul petto?

Le fasi della Luna, ovvero la vita di una persona gender-fluid. Quella Luna sono io, mentre il mio genere cambia incessantemente.

Lachlan Watson in uno scatto di Sebastian Faena. Giacca da camera di velluto stampato con frange.

© MAC1

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