In altri tempi e non di certo questi, qualche riga di affettuoso ricordo per Sammy Davis Jr che se ne andava, 20 anni fa, i
(Paolo Lavezzari)
Quando comprò la sua prima casa, in una delle vie più esclusive di Beverly Hills, Sammy Davis Jr. non chiese aiuto a un architetto per arredarla. La villa di Summit Drive era passata dalle mani di Tony Curtis a quelle di Joan Collins e aveva bisogno di una rinfrescata. Ma l’intrattenitore ancora oggi considerato l’artista di colore più famoso d’America preferì fare di testa sua. Solo alla fine si rivolse alla decoratrice del suo nightclub preferito, che gli consigliò di aggiungere un divano circolare sprofondato nel pavimento e una vasca di pesci piranha al posto del camino: «Ne andava fiero perché gli ricordava l’atmosfera dei locali notturni in cui era cresciuto», ricorda Amy Greene, amica del cantante di Harlem e moglie dell’autore di questo servizio fotografico.
© Milton H. Greene
Davis cominciò a esibirsi quando aveva tre anni in spettacoli di vaudeville. Dopo la separazione dalla madre Elvira, il padre lo portava con sé in tournée, travestendolo all’occorrenza da adulto nano per via delle leggi contro il lavoro minorile. Da allora la sua vita ruotò sempre intorno a nightclub e cabaret, soprattutto a Las Vegas, dove la sua fama trovò consacrazione alla fine dei ’50, quando Sinatra lo invitò ad aggiungersi a Dean Martin, Peter Lawford e Joey Bishop per formare il mitico Rat Pack. Non è un caso, quindi, che il centro di gravità della villa di Beverly Hills fosse il bar del salotto: «C’era sempre un gran viavai di gente, e Sammy si divertiva a improvvisarsi barman, intrattenendoci da dietro il bancone», ricorda Amy, che, pur vivendo a New York, era un’ospite regolare con il marito Milton. «Per noi era come una seconda casa sull’altra costa».
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Musicista, ballerino, comico e attore, Davis viaggiava molto per lavoro, ma quando era a Los Angeles usciva di rado, preferendo ospitare feste e banchetti. Dietro gli alti muri che cintavano il giardino, c’era tutto ciò che gli serviva. La villa di mille metri quadrati aveva infatti una piscina, una sala prove e uno studio di registrazione; c’era una stanza per le pistole (le maneggiava con destrezza e le collezionava avidamente), una cucina professionale, dove Davis amava cimentarsi, e un grande schermo per proiettare film che riusciva spesso ad avere in anteprima. Possedeva una vasta collezione di pellicole, e le sue movienights erano un appuntamento fisso, cui partecipavano gli ospiti più disparati: dall’anchorman Johnny Carson all’attrice “gola profonda” Linda Lovelace, della quale Davis era grande ammiratore.
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La sua rubrica di contatti, che portava con sé anche in viaggio, conteneva migliaia di numeri di telefono: «Poteva alzare il ricevitore e chiamare Grace Kelly», dice Amy. «Aveva il numero di chiunque contasse qualcosa in America». L’artista aveva un ristretto gruppo di amici intimi, ma le sue frequentazioni erano molto varie e gli invitati tendevano ad avere un tratto in comune: erano persone brillanti con qualcosa da dire. Fin da giovanissimo, Davis era stato impegnato sui palcoscenici di mezza America senza avere il tempo di finire la scuola. Aveva imparato da solo a leggere e a scrivere, ma, da persona curiosa e intelligente, era riuscito nel frattempo a costruirsi una buona cultura da autodidatta. «Quando era a casa, amava circondarsi di persone che potessero stimolarlo intellettualmente», dice Joshua Greene, figlio di Amy, al quale Davis fece da padrino. «Era come una spugna: assorbiva tutto».
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I gusti lussuosi di Davis erano evidenti in tutta la casa, equipaggiata con gli ultimi ritrovati della tecnologia, compresi una collezione di videogiochi (Pacman era il suo preferito) e un impianto di telecamere a circuito chiuso con cui controllava ogni angolo della villa direttamente dalla camera da letto. Davis aveva buoni motivi di preoccuparsi per la propria sicurezza. Da sempre in prima linea nella battaglia per i diritti civili, fu più volte oggetto di intimidazioni per la sua visione liberale dei rapporti interrazziali. Negli anni 50, quando cominciò a circolare la notizia che avesse una relazione con Kim Novak, fu minacciato ripetutamente e finì per sposare in gran fretta una ragazza afroamericana. Il matrimonio non durò e quando, pochi anni dopo, si risposò con l’attrice svedese May Britt le minacce ripresero. Ma lui non si angustiò mai più di tanto, continuando con il suo stile di vita un po’ sopra le righe.
© Milton H. Greene
In casa, trasformò una stanza gigantesca in guardaroba per ospitare una collezione di scarpe e vestiti da fare invidia a un grande magazzino. Aveva un camerino per prepararsi alle serate, un maggiordomo che curava i suoi abiti e un parrucchiere che lo pettinava. C’era anche un armadio per gli occhiali da sole, che, dopo l’incidente in cui perse un occhio, non si toglieva mai fuori di casa: «L’occhio di vetro gli dava fastidio e, quando era senza occhiali, continuava a tormentarlo con un fazzoletto», ricorda Amy. Era sempre elegante e arrivava a cambiarsi d’abito anche tre volte al giorno. Oltre a Sinatra, del quale seguiva l’esempio come fosse un fratello maggiore, i suoi modelli di stile erano Cary Grant e Fred Astaire.
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Non in tutto, però, si dimostrava un connaisseur: «I quadri alle pareti erano orrendi, ma a volte si lasciava consigliare. Comprai per conto suo un dipinto di Warhol senza che sapesse di cosa si trattava», ricorda Amy. Sammy Davis visse in quella casa oltre vent’anni, durante i quali al suo fianco si alternarono due mogli e un numero imprecisato di amanti. Ma la villa di Summit Drive è sempre rimasta espressione del carattere da bon viveur del proprietario. «Senza il suo permesso», conclude Amy, «nessuno osava spostare neanche una sedia».