Casa Vogue. La villa di Mr Woderful a Beverly Hills

In altri tempi e non di certo questi, qualche riga di affettuoso ricordo per Sammy Davis Jr che se ne andava, 20 anni fa, i

giornali l’avrebbero dedicata sicuramente ché con il filone nostalgia stile “good ol’ days” una mezza pagina si riempie facile – magari anche più, se è l’inserto domenicale e con firma autorevole. Ma, appunto, sono altri tempi e con i guai odierni difficile trovare uno spazietto per ravvivare la memoria di un cantante, ballerino, attore straordinario come lui. Sinatra e il Rat Pack al gran completo, Las Vegas, paillettes e night club, orchestre swinganti, bicchieroni di bourbon on the rocks e sigarette fumanti: quando si pensa a Sammy Davis Jr probabilmente sono queste le immagini in b&n che vengono in mente. Ma sono solo una parte della complessa figura dell’artista di Harlem, perché si dimentica, sempre andando a quanto accade in questi tempi, l’importanza e il ruolo che ebbe nella lotta contro la discriminazione razziale. Se comunque avete tempo, su Youtube si trova tanto, specie vecchi filmati con Sinatra e Dean Martin, sui palcoscenici di Las Vegas. C’è anche una clip dell’ultimo film cui Davis partecipò, “Tap - Sulle strade di Broadway”, pellicola omaggio del 1989 al favoloso mondo del tip tap d’antan, con Gregory Hines. È una pellicola che magari non rimarrà negli annali delle più memorabili, ma Davis vi si ritagliava un ruolo tutto ritmo su tacchi e punte, scoppiettante quanto in fondo commovente. Tornando alla piccola antologia di Casa Vogue, approfittiamo dell’anniversario per riproporre un servizio che venne pubblicato nell’aprile 2012. A raccontare i tanti aneddoti riportati era Amy, la moglie del celebre fotografo americano Milton H. Greene, entrambi grandi amici del cantante, tanto che Davis fu addirittura padrino del figlio della coppia. (Per quei due o tre che ancora non lo sanno Greene è tra l’altro l’autore delle più celebri foto di Marilyn Monroe…) Ne esce un ritratto meno ufficiale e molto di cuore. Di questi tempi, scusate la ripetizione, con cinema, teatri e concerti in quarantena, ecco, non è poco: that’s entertainment, allo stato puro.  Ultima noticina. Probabilmente oggi Davis Jr non è più considerato, come diceva l’articolo, “l’artista di colore più famoso d’America”. Poco importa. Sicuramente oggi nessuno lo ha ancora eguagliato per talento e capacità.  Per noi rimane sempre Mr Wonderful dal titolo del musical incentrato su di lui che fu a lungo in cartellone a Broadway.  Lo spettacolo comincia: benvenuti a casa del signor Meraviglia.
(Paolo Lavezzari)
Davanti a casa, limousine e Rolls della flotta di Sammy Davis Jr. Sebbene pessimo guidatore, non a caso perse un occhio in un incidente stradale, arrivò ad avere un parco auto con nove automezzi.

Quando comprò la sua prima casa, in una delle vie più esclusive di Beverly Hills, Sammy Davis Jr. non chiese aiu­to a un architetto per arredarla. La villa di Summit Drive era passata dalle mani di Tony Curtis a quelle di Joan Col­lins e aveva bisogno di una rinfrescata. Ma l’intrattenitore ancora oggi considerato l’artista di colore più famoso d’A­merica preferì fare di testa sua. Solo alla fine si rivolse alla decoratrice del suo nightclub preferito, che gli consigliò di aggiungere un divano circolare sprofondato nel pavimento e una vasca di pesci piranha al posto del camino: «Ne anda­va fiero perché gli ricordava l’atmosfera dei locali notturni in cui era cresciuto», ricorda Amy Greene, amica del can­tante di Harlem e moglie dell’autore di questo servizio fo­tografico.

La stanza da bagno. Davis amava la doccia voluta da Joan Collins, ma non la usò mai. Preferiva la grande vasca.

© Milton H. Greene

Davis cominciò a esibirsi quando aveva tre anni in spettacoli di vaudeville. Dopo la separazione dalla ma­dre Elvira, il padre lo portava con sé in tournée, travesten­dolo all’occorrenza da adulto­ nano per via delle leggi con­tro il lavoro minorile. Da allora la sua vita ruotò sempre in­torno a nightclub e cabaret, soprattutto a Las Vegas, dove la sua fama trovò consacrazione alla fine dei ’50, quando Sinatra lo invitò ad aggiungersi a Dean Martin, Peter Law­ford e Joey Bishop per formare il mitico Rat Pack. Non è un caso, quindi, che il centro di gravità della villa di Beverly Hills fosse il bar del salotto: «C’era sempre un gran viavai di gente, e Sammy si divertiva a improvvisarsi barman, in­trattenendoci da dietro il bancone», ricorda Amy, che, pur vivendo a New York, era un’ospite regolare con il marito Milton. «Per noi era come una seconda casa sull’altra co­sta».

Altovise Gore, la terza moglie dell’artista, sotto un ritratto di Davis bambino.

© Milton H. Greene

Musicista, ballerino, comico e attore, Davis viaggiava molto per lavoro, ma quando era a Los Angeles usciva di rado, preferendo ospitare feste e banchetti. Dietro gli alti muri che cintavano il giardino, c’era tutto ciò che gli servi­va. La villa di mille metri quadrati aveva infatti una piscina, una sala prove e uno studio di registrazione; c’era una stan­za per le pistole (le maneggiava con destrezza e le collezio­nava avidamente), una cucina professionale, dove Davis amava cimentarsi, e un grande schermo per proiettare film che riusciva spesso ad avere in anteprima. Possedeva una vasta collezione di pellicole, e le sue movie­nights erano un appuntamento fisso, cui partecipavano gli ospiti più dispa­rati: dall’anchorman Johnny Carson all’attrice “gola pro­fonda” Linda Lovelace, della quale Davis era grande am­miratore.

© Milton H. Greene

La sua rubrica di contatti, che portava con sé an­che in viaggio, conteneva migliaia di numeri di telefono: «Poteva alzare il ricevitore e chiamare Grace Kelly», dice Amy. «Aveva il numero di chiunque contasse qualcosa in America». L’artista aveva un ristretto gruppo di amici inti­mi, ma le sue frequentazioni erano molto varie e gli invitati tendevano ad avere un tratto in comune: erano persone brillanti con qualcosa da dire. Fin da giovanissimo, Davis era stato impegnato sui palcoscenici di mezza America senza avere il tempo di finire la scuola. Aveva imparato da solo a leggere e a scrivere, ma, da persona curiosa e intelligen­te, era riuscito nel frattempo a costruirsi una buona cultura da autodidatta. «Quando era a casa, amava circondarsi di persone che potessero stimolarlo intellettualmente», dice Joshua Greene, figlio di Amy, al quale Davis fece da padri­no. «Era come una spugna: assorbiva tutto».

Davis nello studio di registrazione con la collezione di dischi in ordine alfabetico e le apparecchiature per incidere. Benché patito di tecnologia, Davis non ne capiva molto. Per questo c’era sempre un tecnico addetta a far funzionare i dispositivi di casa, compreso il proiettore per le celebrate movie-nights.

© Milton H. Greene

I gusti lussuosi di Davis erano evidenti in tutta la casa, equipaggiata con gli ultimi ritrovati della tecnologia, compresi una collezione di videogiochi (Pac­man era il suo preferito) e un impianto di telecamere a circuito chiuso con cui controllava ogni ango­lo della villa direttamente dalla camera da letto. Davis ave­va buoni motivi di preoccuparsi per la propria sicurezza. Da sempre in prima linea nella battaglia per i diritti civili, fu più volte oggetto di intimidazioni per la sua visione liberale dei rapporti interrazziali. Negli anni 50, quando cominciò a circolare la notizia che avesse una relazione con Kim No­vak, fu minacciato ripetutamente e finì per sposare in gran fretta una ragazza afroamericana. Il matrimonio non durò e quando, pochi anni dopo, si risposò con l’attrice svedese May Britt le minacce ripresero. Ma lui non si angustiò mai più di tanto, continuando con il suo stile di vita un po’ sopra le righe.

La coppia nell’angolo bar tappezzato dalle foto degli amici e delle celebrities spesso ospiti dell’artista. Il bar era il centro di  gravità della casa, qui Davis amava preparare cocktail per i suoi ospiti

© Milton H. Greene

In casa, trasformò una stanza gigantesca in guarda­roba per ospitare una collezione di scarpe e vestiti da fare invidia a un grande magazzino. Aveva un camerino per prepararsi alle serate, un maggiordomo che curava i suoi abiti e un parrucchiere che lo pettinava. C’era anche un ar­madio per gli occhiali da sole, che, dopo l’incidente in cui perse un occhio, non si toglieva mai fuori di casa: «L’occhio di vetro gli dava fastidio e, quando era senza occhiali, conti­nuava a tormentarlo con un fazzoletto», ricorda Amy. Era sempre elegante e arrivava a cambiarsi d’abito anche tre volte al giorno. Oltre a Sinatra, del quale seguiva l’esempio come fosse un fratello maggiore, i suoi modelli di stile era­no Cary Grant e Fred Astaire.

La camera da letto; sopra gli archi, gli schermi dell’impianto a circuito chiuso.

© Milton H. Greene

Non in tutto, però, si dimo­strava un connaisseur: «I quadri alle pareti erano orrendi, ma a volte si lasciava consigliare. Comprai per conto suo un dipinto di Warhol senza che sapesse di cosa si trattava», ri­corda Amy. Sammy Davis visse in quella casa oltre ven­t’anni, durante i quali al suo fianco si alternarono due mogli e un numero imprecisato di amanti. Ma la villa di Summit Drive è sempre rimasta espressione del carattere da bon viveur del proprietario. «Senza il suo permesso», conclu­de Amy, «nessuno osava spostare neanche una sedia».

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