Scultoree e avant-garde, con forme straordinarie e altezze che sfidano la forza di gravità: quelle dell’hairstylist Jawara Wauchope non sono semplici acconciature (di capelli afro
Dopo la laurea presso il Fashion Institute of Technology e l’Aveda Institute di New York nel 2009, Jawara ha portato il suo retaggio culturale nella moda contemporanea lavorando come assistente per Sam McKnighteGuido Palau prima di mettersi in proprio nel 2013. Da allora, ha creato acconciature che sfidano la forza di gravità per Vivienne Westwood, Off-White e Solange e, di recente, si è occupato dell’hairstyling di Naomi Campbell per la copertina di Vogue US di novembre.
A inizio dell’anno, Jawara ha collaborato con la fotografa Nadine Ijewere alla mostra Tallawah, una dichiarazione d’amore alle generazioni di donne giamaicane in tutto il mondo che utilizzano i loro capelli come mezzo per esprimere la propria individualità e cultura. Ora l’hairstylist inaugura la sua seconda mostra COARSE: The Edges of Black Ingenuity, una presentazione digitale che indaga la poesia e le dinamiche della Blackness attraverso i capelli afro.
© Nadine Ijewere
In scena dal 22 ottobre a dicembre 2020, la mostra presenta immagini firmate dai collaboratori più stretti di Jawara, tra cui i fotografi Ijewere, Tyler Mitchell e Kyle Weeks ma anche foto inedite di Oliver Hadlee Pearch. Di seguito, Jawara parla a Vogue della sua carriera, della nuova mostra e della bellezza dei capelli Afro.
Congratulazioni per la tua prima copertina perVogueUS. Come ci si sente e cosa ha significato per te lavorare con Naomi Campbell per il servizio di copertina?
“Ti ringrazio molto. È una sensazione meravigliosa. E lo è ancora di più averlo fatto con Naomi. È una sorta di cerchio che si chiude e sono davvero felice. Ha significato tanto perché, da bambino, guardavo le foto di Naomi e mi facevano sentire che la moda era un mondo a cui apparteneva anche gente come me. Naomi mi ha mostrato che non c’è nulla di impossibile. Era dotata di una grande presenza, era chic e orgogliosamente Black. E la cosa mi piaceva molto. Quindi questa copertina per me è carica di forza e significato”.
Hai dichiarato che i capelli Afro hanno una dimensione spirituale e storica. Puoi parlarci del significato dei capelli nella cultura Black?
“È una tematica multi-sfaccettata. Per esempio, sia mia madre che mio padre sono rastafariani e hanno fatto voto di non tagliarsi mai i capelli. Un elemento molto importante della loro cultura prevede di lasciar crescere i capelli in maniera naturale, senza alcuna alterazione, il che li trasforma in dreadlocks. È una scelta spirituale a cui hanno deciso di aderire.
“I capelli di un individuo ne rivelano lo status economico e sociale. Indicano cosa fa e qual è il suo lavoro. Ma rappresentano anche una sorta di ‘biglietto da visita’: nella comunità Black diventano espressione personale. Ci sono talmente tanti livelli di lettura che è davvero difficile descrivere il fenomeno a parole ed è per questo che credo che il modo migliore per farlo sia tramite le immagini.
“Nella comunità Black, il tipo di hairstyle che l’individuo sceglie di portare dimostra tanta conoscenza e la gente, al di fuori, si chiede sempre come mai le pettinature siano così elaborate. Come mai assomigliano ad opere d’arte? Perché sono una forma di espressione personale. Quell’espressione che ci è stata negata in altre sfere e che viene incanalata nel modo di acconciare i capelli”.
© Kyle Weeks
A quali altri persone ti sei ispirato crescendo e all’inizio della tua carriera?
“Mia madre è stata senza dubbio uno dei miei primissimi modelli di riferimento. Si chiama Sister Carol ed è una leggenda della musica reggae in Giamaica. Anche le mie zie lavorano nello spettacolo e sono state le mie prime icone di moda. Tra le altre fonti di ispirazioni includerei anche la cultura Dancehallgiamaicana dei primi anni 90, dove sono cresciuto quand’ero bambino. Ma anche i video musicali e le modelle, dall’R&B al rock passando per i video pop, Tyra Banks e Cindy Crawford. Tutti riferimenti che hanno influenzato il mio senso dello stile e che hanno fatto nascere in me la passione per la moda”.
Tua zia aveva un salone da parrucchiera in Giamaica. In che modo crescere in quell’ambiente ti ha fatto scoprire il mondo dell’hair styling?
“Un salone da parrucchiera è una sorta di comunità dentro la comunità. Un piccolo micro cosmo dove accade di tutto. Non ci si va solo per farsi fare i capelli, specialmente in Giamaica. È un punto di incontro e ritrovo. Una comunità nel vero senso della parola. C’è chi vende, si chiacchiera, si condividono idee e informazioni. Il salone di mia zia mi ha mostrato cosa significhi comunità. Mi ha formato come individuo, specialmente negli anni della Dancehall quando la gente sfoggiava un senso dello stile un po’ più avant-garde e audace”.
Hai appena inaugurato la tua nuova mostra COARSE. Come è nata?
“Ho sempre lavorato tanto sui capelli afro in quanto ritengo si sappia troppo poco. Uno dei miei compiti è istruire e mostrare la bellezza e la versatilità dei nostri capelli. In un certo periodo della storia Black, siamo stati discriminati per i nostri capelli afro e ora voglio celebrarli più che mai. Celebrarne la bellezza e il loro significato per la cultura e l’identità Black.
“Ho sempre utilizzato l’arte come strumento per trasmettere un mio messaggio e organizzare una mostra è stata una decisione molto naturale. La cultura Black èarte quindi volevo presentarla come tale. Arte che fa riflettere e suscita emozioni. Mi auguro che la gente che si immedesima nelle immagini possa sentirsi orgogliosa guardandole. E, a coloro che non possono immedesimarsi, chiedo di capire cosa significhi essere i soggetti di quelle immagini e di provare a comprendere come mai quelle acconciature sono una forma di auto-espressione e il loro significato. Chiedo loro di informarsi sul perché delle cose e su come mai la realtà di oggi è quella che è”.
© Tyler Mitchell
Come approcci la creazione di un nuovo hairstyle? Raccontaci il processo creativo.
“Amo provare ad interpretare la persona che ho davanti a me, per capire come si sente e perché desidera apparire in una certa maniera. Ma, per me, il processo è innanzitutto un fatto mentale e parte dalla domanda ‘Perché?' Poi lascio che sia il mio istinto a guidarmi rispetto a ciò che mi chiede la persona e ciò che penso funzioni meglio. Nel caso di un progetto di moda, l’interrogativo che mi pongo è sul messaggio da trasmettere e su come voglio che si senta chi guarda le immagini”.
Che consiglio daresti ai giovani creativi che desiderano lavorare in questo settore, specialmente coloro che non si sentono molto rappresentati?
“Direi loro che c’è sempre uno spazio per noi e che siamo qui per avere successo. Costanza e istruzione sono fondamentali. Consiglio di trovare la propria identità prima di intraprendere qualsiasi carriera per fare in modo di avere una visione individuale. Quella visione è estremamente importante, anche quando non ti sembra di vederla nelle riviste. È questo quello che penso di essere riuscito a fare: sviluppare un mio punto di vista individuale”.