L’impatto che l’industria cosmetica ha sull’ambiente è sempre più consistente. Oltre ai 120 miliardi di pack prodotti ogni anno e ai circa 73 milioni di
I cosmetici, secondo gli esperti dei laboratori della Univar Solutions (azienda produttrice di ingredienti e principi attivi) sono costituiti da una percentuale di acqua che varia dal 60% e al 95%. Dunque, mentre i rapporti delle Nazioni Unite sottolineano come sul nostro pianeta un abitante su nove non abbia accesso all’acqua pulita e prevedono che entro il 2050 le conseguenze della carenza idrica riguarderanno circa 5 miliardi di persone, non sorprende che la “cosmesi senza acqua”, nata in Corea e recepita da moltissimi indie brand occidentali, stia diventando un nuovo trend di mercato.
I big player della cosmetica ne hanno intuito le potenzialità ma ne parlano ancora come una strategia operativa da declinare al futuro. Lavorando su grandi numeri e includendo al loro interno brand con anime molto diverse, concentrano piuttosto le energie su progetti trasversali mirati a ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente di tutta la catena produttiva: dall’approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione finale. Lo fa L’Oréal con il progetto Sharing Beauty, Shiseido con le 3R (Ridurre, Riutilizzare, Riciclare) e Lvmh con Life.
«Tutta l’industria della bellezza si confronta con la sostenibilità», spiega Susanne Langmuir, fondatrice di aN-hydra di Toronto, brand di prodotti waterless per la cura della pelle. AN-hydra parte da una semplice premessa: ridurre al massimo le quantità di prodotto e di pack creando una linea minimale (solo 3 cosmetici) e in polvere: un detergente viso che agisce sul microbioma e a contatto con l’acqua si trasforma in schiuma, un idratante con acido ialuronico e un siero alla vitamina C.
(Continua)
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In apertura: “Thirsty, Then Boosted” è un progetto di Cornelius de Bill Baboul che l’artista descrive così: «Like Charles Baudelaire’s “Les Fleurs du mal”, but in the age of the energy drink».