Lontani dal glamour. Intervista a Olimpia Zagnoli

Il primo capitolo della vita, anche artistica, di Olimpia Zagnoli ha luogo a Reggio Emilia dove questa bimba fortunata frequenta un asilo speciale, il cui

metodo è oggi conosciuto nel mondo come Reggio Emilia approach; qui i piccoli crescono stimolati in tutti i cinque sensi, fanno la passata di pomodoro con i piedi e praticano le arti con l’aiuto di un “atelierista”. Anche i suoi genitori sono artisti, e lei s’immagina le case degli altri bambini egualmente farcite di libri, inviti alle mostre e poltrone imbottite di palline in polistirolo. La prima consapevole percezione di bellezza è proprio dentro casa, davanti a un dipinto semi-astratto che guarda con deferente curiosità. Somiglia, come proporzioni, a una figura umana. Poiché l’infanzia di OZ è così piena di colore, il ricordo è rimasto vivido nonostante abiti da quando ha sei anni a Milano, che al suo arrivo le era apparsa grigia e inzuppata di nebbia e di smog. Per questo, forse, uno dei suoi temi ricorrenti è la nostalgia di casa e a quella casa – «più immaginata che reale», racconta – oggi torna con Caleidoscopica, alla Fondazione Palazzo Magnani (in programma per novembre, attualmente rimandata). La mostra, che ne ripercorre la carriera, si sviluppa per associazioni, «come un domino in cui ogni immagine ne richiama un’altra», attraverso sette stanze e il chiostro cinquecentesco.

Un disegno ispirato alla collezione Dior A/I 2020-21. La 36enne illustratrice originaria di Reggio Emilia vive e lavora a Milano.

Nel periodo in cui OZ è ancora piccola, all’inaugurazione di un’esposizione di graffiti artist americani alla Triennale con mamma e papà, conosce Keith Haring: «Amava i bambini e per loro portava le spillette dell’omino raggiante che volle regalarmi nonostante mi ritraessi per la timidezza». Simbolicamente quell’incontro di cui non ricorda praticamente quasi nulla, ma di cui rimane la spilla a testimonianza, ha molto significato per lei.

È chiaro che OZ predilige il genere umano come soggetto nelle sue rappresentazioni. Si tratta di tipe, o qualche volta tipi, che le somigliano sempre un po’, e non per una precisa intenzione, «ma perché io sono il filtro con cui faccio esperienza del mondo». E quindi si vestono come lei, magari cucinano come lei, a volte però le ricordano qualcuno che ha visto per strada, a ogni modo sono «fuori dal comune», in un certo senso. «Non perché abbiano una proboscide o altro, ma perché non rientrano nel canone corrente e fanno dell’essere buffi e autoironici la loro bellezza». Magari sono «spettinati» o vestono in una «maniera chiassosa», con cui mostrano la loro personalità: «È un peccato che le persone rinuncino al potere comunicativo degli abiti per conformarsi all’idea corrente di eleganza o per non farsi notare». Un gesto esagerato, un oggetto scivolato fuori dalla borsa, un particolare fuori posto, per OZ hanno un potere affascinante.

(Continua)

In apertura: la copertina per la sezione “At Home” di “The New York Times” realizzata nel 2020 da Olimpia Zagnoli, il cui lavoro è in mostra a “Caleidoscopica”, alla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia (in programma per novembre, attualmente rimandata).

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