Non era solo il “primo ministro della moda italiana”, come l’aveva definito ancora negli anni Cinquanta WWD. Beppe Modenese è scomparso serenamente la sera del
La conosceva in ogni minima piega, in ogni dettaglio, in ogni volto, perché l’aveva fondata, ideata, guidata lui. Albese di buona famiglia e piacevole aspetto, aveva affiancato dapprima il marchese Giovan Battista “Bista” Giorgini nella prima sfilata alla Sala Bianca del 1952 (dove insistette perché venisse accolto l’adolescente Roberto Capucci), ma già nei primi anni Settanta aveva favorito la nascita del Modit e dei primi saloni del prêt-à-porter italiano a Milano che, non per nulla, gli aveva conferito l’Ambrogino d’Oro nel 1994. Era l’ultimo a poter evocare quei primi, gloriosissimi accenni di un sistema che oggi, come dicono tutti ma nessuno forse si rende conto davvero di quanto, rappresenta la seconda voce nella bilancia dei pagamenti.
Beppe Modenese con Lee Radziwill nel 1982
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Con la sua voce sempre pacata e gli occhi che sprizzavano scintille di malizia, quel combinato di humor, severità ed eleganza che per molti secoli è stato il tratto del gentiluomo, il presidente onorario della Camera della Moda Italiana poteva raccontare di mondi, luoghi e persone che ormai si leggono, spesso malamente, sui libri di storia: conosceva ogni segreto e ogni “svirgolo” dei soggiorni fiorentini di Carmel Snow, la leggendaria direttrice di Harper’s Bazaar che aveva lanciato Alexey Brodovitch, Diana Vreeland e la definizione di New Look; aveva partecipato alle feste capresi di Irene Galitzine e assistito alle sue manifestazioni di amicizia per Jackie Kennedy; aveva vissuto nell’atelier di Coco Chanel, per la quale aveva organizzato anche una storica sfilata a Mosca; per decenni, era stato il portavoce e lo stratega nazionale di Estée Lauder, e non (solo) del marchio, ma della gran dama di stratosferica ambizione.
Se voleste andare a cercare nel sito Rai Teche chi fu l’autore dei primi servizi sulla moda, nel 1957, troverete il suo nome, accanto a certe splendide inquadrature di Palazzo Pitti e delle ultime, in realtà uniche, interviste video a Simonetta Colonna di Cesarò, alle Sorelle Fontana, a Jole Veneziani. Fu il primo a credere in Domenico Dolce e Stefano Gabbana, convincendo schiere di giornaliste a fare lo stesso: se gli eri simpatico, o riteneva che meritassi fiducia, non ti avrebbe mai fatto mancare il suo supporto, la sua presenza discreta e affettuosa. Arrivava nei suoi completi doppiopetto di gran taglio e nelle civettuole, immancabili calze lunghe rosse, diceva sempre le cose appropriate, ma se era il caso non faceva sconti. Un po’ di sé l’aveva raccontato a Roberta Filippini nel libro “BM. Ministry of elegance”, edito da Skira nel 2013, che rappresenta il suo testamento visivo e narrativo. Qualcosa lo raccontava sul filo delle libere associazioni, magari durante quelle serate mondane, le “prime” della Scala dove arrivava con Piero e l’amica Evelina Shapira, le aperture della Biennale arte e architettura di Venezia dove possedeva una casa deliziosa. Avremmo tutti voluto sapere sempre di più, ma siamo già grati di quanto ha voluto concederci. Grazie di tutto, Beppe Modenese.