Intervista a Lily Collins: nel cast di Mank dopo Emily in Paris

Quando “incontro” su Zoom  Lily Collins  , 31 anni, in diretta dalla sua casa di Los Angeles, ha il volto raggiante e un’espressione allegra, i

capelli perfettamente ondulati e una felpa color biscotto con su scritto Biden-Harris. “Ci dormo con questa felpa”, mi confessa poi, con un sorriso, anche se i risultati delle recenti elezioni presidenziali in America non sono l’unico motivo che ha di festeggiare.

A settembre l'attrice si è fidanzata ufficialmente con lo scrittore e regista Charlie McDowell. La settimana seguente, Emily in Paris è uscita su Netflix. Creata dall’autore di Sex and the City, Darren Star, la serie, diventata un fenomeno mediatico, vede Lily Collins nel ruolo di una marketing executive che dal profondo midwest americano si trasferisce nella capitale francese. Ma non è l’unico progetto di Collins che vede la luce sulla piattaforma streaming quest’anno: Collins è anche nel cast di Mank, il nuovo film di David Fincher, uno sfavillante omaggio alla vecchia Hollywood.

Nata nel Regno Unito e cresciuta in parte in California, la figlia del musicista Phil Collins e dell’attrice Jill Tavelman è stata sempre una ragazza ambiziosa. Da adolescente scriveva per Teen Vogue e nel 2008 ha raccontato le elezioni presidenziali in USA presentando Kids Pick the President sul canale Nickelodeon. Poi ha studiato giornalismo televisivo alla University of Southern California, ma nel frattempo faceva già l’attrice, ed è apparsa in The Blind Side (2009), Biancaneve (2012) e L’eccezione alla regola (2016), film, quest’ultimo, per nel 2017cui ha ricevuto una nomination ai Golden Globe. Sono seguiti altri ruoli più importanti, come il toccante dramma sull’anoressia Fino all’osso (2017), l’acclamato Okja (2017), l’adattamento della BBC de I miserabili (2018) e il crime thriller Ted Bundy, fascino criminale (2019).  

Mank, però, è una spanna sopra tutti gli altri. Ambientato nel 1940 e girato in un luminoso bianco e nero, racconta la storia, in parte romanzata, dello sceneggiatore Herman J Mankiewicz che vediamo alle prese con la scrittura di uno dei più grandi film di tutti i tempi: Quarto potere (1941). Soprannominato ‘Mank’ dagli amici e interpretato da un appassionato Gary Oldman, Mankiewicz, che ama giocare d’azzardo ed è un forte bevitore, qui si è dato l’ultima occasione per riscattarsi. 

In vari flashback, Mank ricorda i litigi con l’attricetta Marion Davies (Amanda Seyfried) e il suo potente amante, il magnate dei media William Randolph Hearst (Charles Dance) — entrambi ispireranno la sceneggiatura — ma è la sua stenografa inglese, Rita Alexander (ovvero Lily Collins) la persona a cui fa affidamento per riuscire a portare avanti il lavoro. Rintanati in un ranch nel deserto californiano, mentre Mank detta a Rita il suo capolavoro, fra i due nasce l’amicizia. Il film è una storia entusiasmante che sta molto a cuore a David Fincher, perché la brillante sceneggiatura era stata scritta dal padre del regista, Jack Fincher, prima della sua morte, nel 2003.  

In attesa dell’uscita di Mank, il 4 dicembre, Lily Collins ci racconta come è riuscita a entrare nel personaggio, come ha passato il lockdown e di quando a soli due anni ha incontrato per la prima volta il suo co-protagonista, Gary Oldman.

Lily Collins nei panni di Rita Alexander con Gary Oldman che interpreta Herman Mankiewicz, lo sceneggiatore di Quarto Potere in Mank (2020)

© Courtesy Netflix

Mankè un progetto che sta molto a cuore a David Fincher. Come è nata la vostra collaborazione?

“Un paio di settimane prima di partire per Parigi (per girare Emily in Paris, NdR) ne avevo sentito parlare. David è un regista con cui non avrei mai pensato di poter lavorare. Ho mandato una cassetta prima di partire e dopo due settimane dall’inizio delle riprese a Parigi ho fatto il provino su Zoom. Quando ho scoperto che avevo avuto la parte, ero davvero confusa (ride), ‘Troppo strana questa cosa. Non può essere andata così!’ Dopo sono dovuta tornare a LA per i fitting e le prove, ma stavo già girando Emily, compaio in tutte le scene e non avevo giornate libere. Quindi sono andata e tornata due volte nel giro di 24. Dopo le riprese notturne a Parigi ho preso l’aereo il sabato mattina, sono arrivata a LA, sono andata alle prove o a un fitting, o un camera test, ho ripreso l’aereo, sono andata a dormire e mi sono risvegliata alle 5 del mattino per essere di nuovo Emily. È successo tutto molto velocemente, non ho avuto il tempo per fermarmi e pensarci su, perché alla fine sono riuscita a fare entrambe le cose, una dopo l’altra”.

Ti sei sentita frastornata quando hai finitoEmily in Parise sei andata diretta sul set diMank?

“Quando sono tornata a Parigi da LA per la seconda volta, stavano appena iniziando a girare Mank. Ed era prima che io finissi Emily, ma la mia parte è iniziata quando sono tornata definitivamente. Ho avuto due settimane di tempo prima di cominciare. Ma non è stato così difficile, perché Emily e Rita sono agli estremi opposti. Emily non è solo brillante, audace e magari un po’ scontata dal punto di vista della personalità, ma vive in un mondo brillante, audace e magari un po’ scontato, mentre Rita vive in un mondo in bianco e nero. Rita è più difficile da decifrare, è più pragmatica, più posata in un certo senso, ed è inglese. Sono riuscita a dissociarmi dal primo personaggio non appena sono salita sull’aereo”.

Cosa voleva rappresentare il regista con il personaggio di Rita?

“Rita è, ovviamente, una persona reale, ma si sa molto poco di lei, oltre al fatto che è una stenografa inglese e che suo marito è stato in guerra. Credo di aver visto due foto di Rita. Quindi per creare il suo personaggio è stato necessario sottolineare quello che lei rappresentava per il personaggio di Gary Oldman, perché quando è con lei lui mostra il suo lato più vulnerabile. Sono il confidente l’uno dell’altra. Per essere una donna di quell’epoca, e in quel ruolo, Rita era molto coraggiosa. Credeva nelle potenzialità di Mank più di Mank stesso, e gli ricordava sempre quello che lui aveva promesso di fare. E lui a volte aveva bisogno di essere pungolato un po’. David voleva che Rita avesse questo senso di bontà innato. Mi piace molto il fatto che non ci sia stata una storia d’amore fra lei e Mank, la loro è un’amicizia appassionata che nessuno dei due si aspettava”.

Come hai lavorato con Gary Oldman per costruire questo rapporto così stretto fra Rita e Mank?

“A dire il vero, io avevo già conosciuto Gary, avevo più o meno due anni, sul set di Bram Stoker’s Dracula (1992, NdR). Mio padre recitava in Hook (1991, NdR) e i due film venivano girati nello stesso periodo a LA. Poi, molti anni dopo, ero al Met Gala l’anno di Heavenly Bodies (nel 2018, NdR), ero al guardaroba e ho visto Gary e sua moglie Gisele (Schmidt, NdR). Gli ho detto che lo ammiravo moltissimo. Chi avrebbe mai pensato che, anni dopo, avrei interpretato un personaggio che ammira così tanto il suo? Sul set di Mank, si rideva e si scherzava nelle pause fra un ciak e l’altro, ma poi quando gridavano ‘azione’, lui tornava a essere Mank. Mi dovevo dare un pizzicotto a volte, perché mi dimenticavo che dovevo rispondere. Un attore fantastico”.

In che modo i costumi d’epoca ti hanno aiutato a entrare nella parte?

“Rita non è un’attrice di Hollywood, non è sempre tutta agghindata, ma vuole comunque essere presentabile. Ha pochi gioielli, porta scarpe con il tacco basso ma anche scarpe con i lacci, a volte ha un look un po’ più sportivo. Indossa tailleur, ma spesso sono un po’ stropicciati, ad esempio se Mank e Rita sono stati ore e ore a scrivere e sono un po’ sudati. David diceva: ‘Non sistemateli, al massimo fateli vedere più sudati. Ma non fateli sembrare perfetti.’ Mi piaceva l’idea di rendere quel periodo meno perfettino”.

Lily Collins: un selfie dalla finestra di casa in Emily in Paris

© Courtesy Netflix

L’altro tuo progetto per Netflix,Emily in Paris, è una selle serie di cui si è più parlato quest’anno. Perché credi che sia riuscita a catturare lo spirito dei tempi?

“Tutti vogliamo viaggiare. Tutti vogliamo un po’ di evasione. Essere un’americana a Parigi non è certo un’idea rivoluzionaria, ma in questo momento non è possibile farlo. Vagabondare per una città sconosciuta, e perdere la cognizione del tempo è un cosa bellissima che manca a tutti. In Emily in Paris, avevamo Patricia Field come stylist, e sai già che vedrai abiti meravigliosi, e poi Darren Star, che trasforma le città in veri e propri personaggi aggiuntivi. La serie ha senso dell’umorismo, è un po’ naif ma è anche brillante, e credo che sia arrivata quando ne avevamo più bisogno. Tutti vogliamo farci una risata, sorridere un po’. Credo si intravveda un po’ di speranza all’orizzonte, e la serie vuole trasmettere proprio questo”.

Adesso che la seconda stagione della serie è stata confermata, quali aspetti speri vengano accentuati?

“Spero che nella seconda stagione Emily possa passare più tempo con i colleghi di Savoir fuori dal lavoro e possa conoscere meglio loro, ma anche la sua amica Mindy (Chen, interpretata da Ashley Park, NdR). Spero anche che Emily possa migliorare il suo francese mentre cresce all’interno dell’azienda, perché diventi una risorsa più utile e positiva, ma che continui a vivere situazioni divertenti, naturalmente. Mi piacerebbe molto che si sentisse più a suo agio nella città, che si immergesse nella vita parigina come una sua abitante e non tanto come una turista. Ma staremo a vedere cosa succederà”.

Il tuo lockdown è stato molto movimentato, ti sei fidanzata. Come è stato?

“Totalmente surreale. È stata una vera sorpresa, e si vede dalla mia faccia (nel post su Instagram, NdR). Non sono poi così brava come attrice (ride). 

Dal primo momento che l’ho visto ho capito che volevo stare con lui per sempre, ma non sapevo quando sarebbe successo. Eravamo in viaggio in macchina, una cosa che ci piace molto fare con il nostro cagnolino, e lui aveva pianificato tutto. Non c’era anima viva per chilometri. È stato bellissimo, e adesso che sono fidanzata mi dedicherò a organizzare il matrimonio, sono davvero elettrizzata”.

E a giudicare dal tuo profiloInstagramultimamente ti sei anche data al surf?

“Charlie fa surf da quando è piccolo, è bravissimo ed è anche un bravo insegnante. Mi ha insegnato a fare surf durante la quarantena. È fantastico, ti senti così forte. Devi stare in equilibrio sulla tavola, e siccome non hai il controllo, devi mollare la presa, mantenere la calma, ma lasciarti andare. Credo sia la metafora perfetta per questo periodo. E poi sono dei Pesci, adoro stare in acqua”.

Cosa ti rende più fiduciosa nel futuro?

“I risultati delle elezioni in America, e l’idea che abbiamo davanti 4 anni di speranza e non di odio. Non credo di essere mai stata più coinvolta e impegnata prima d'ora. Quando ha vinto Obama (nel 2008, NdR), ne parlavo su Nickelodeon ed ero coinvolta anche perché era la prima volta che votavo, ma quest’anno ho desiderato con tutta me stessa che vincessero Joe Biden e Kamala Harris. Non dimenticherò mai quel momento. Con questi risultati abbiamo dimostrato che possiamo usare la nostra voce, tutti insieme. E non è stato pazzesco che un’elezione americana sia stata vissuta come un’elezione mondiale? Alcuni miei amici in Inghilterra mi hanno mandato dei video di loro che festeggiavano. Una cosa così potente, e un vero sollievo”.

Mank è su Netflix dal 4 dicembre 2020

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