Creativity debut. Il Centro Fly Casa, a Milano

Ora che uno degli interrogativi su cui si discute maggiormente (anche) nel mondo del design riguarda il futuro dello spazio “negozio” in quanto tale, dunque della

vendita, delle sue formule e in sostanza del rapporto fisico con il cliente, è interessante recuperare l’avventura del Centro Fly Casa, a Milano, aperto nel 1966. Fu un’esperienza pionieristica che durò solo qualche anno; forse era in anticipo sui tempi e probabilmente, ieri come oggi, fu stroncata dagli affitti esagerati del centro città e dai costi troppo alti. Peccato. L’idea del grande negozio multimarca, ma specializzato, era però lanciata e nel tempo continua a esistere in forme sempre nuove e di successo. 

Il Centro Fly rimane negli annali anche come ricordo di cosa accadeva nella Milano del 1966 e, soprattutto, come conferma di una crescita inesorabile di interesse a più ampio livello per il “design”. L’arredo moderno diventava allora “pop”, nel senso migliore del termine e cioè non “di massa”, ma disponibile a tutti, come dimostrava la scelta curatissima degli autori, dei prodotti e dei marchi presenti al Fly.Casa Vogueraccontò la storia nell’aprile 2005, con le foto di Toni Nicolini (1935-2012), uno degli autori che con grande sensibilità al “fattore umano” raccontavano allora la nuova Italia. E c’erano (ci sono) i ricordi della progettista e art director del Fly, cioè Gae Aulenti, allora astro nascente dell’architettura e del progetto italiani. Per chi ne conosce il nome solo perché le è intitolata la piazza a un passo dal Bosco Verticale, la rilettura qui riproposta è l’occasione per approfondire la conoscenza di un’autrice che molto ha lasciato. Un’ultima nota: a chi infine volesse avere un’altra visione – meno abitata e più architettonica – del Centro Fly si consigliano gli scatti impeccabili che Giorgio Casali, altro nome imprescindibile tra coloro che hanno raccontato il design di allora, realizzò per un vasto servizio pubblicato su “Domus” nel maggio sempre del ’66. (Paolo Lavezzari)     

Certo a Milano c’erano già, fra gli altri, i negozi Danese, De Padova, Azucena, Gavina, gli “storici” Arform e Arteluce, e poi naturalmente La Rinascente. Ma, alla metà degli anni 60, l’apertura del primo grande magazzino del design, il Centro Fly Casa in via San Pietro all’Orto 7, meritava proprio una grande festa da ballo per oltre mille persone. Il 31 gennaio 1966, dalle 22, qui si ritrovarono intellettuali e artisti, architetti, grafici e designers, scrittori, fotografi, stilisti ed editori, assieme a registi, critici, giovani industriali e studenti. La serata era presentata da Nunzio Filogamo, cantava Giorgio Gaber

Nelle foto scattate quella sera da Toni Nicolini, gli uomini sono in smoking o in abito scuro, mentre le donne azzardano accanto a teste gonfie e cotonate caschetti lisci, perfino asimmetrici, assolutamente Vergottini, su abiti decisamente op-art. Erano gli anni della Swingin’ London, minigonna e Beatles anche a Milano; delle sperimentazioni artistiche dell’arte cinetica e programmata e degli esordi italiani della Pop art alla Biennale di Venezia del 1964; della prepotente affermazione del good design e assieme dei primi sintomi della sua messa in discussione; gli anni dell’apertura di spiragli per la riflessione critica che avrebbe condotto alle contestazioni dell’architettura radicale. La XIII Triennale di Milano del 1964 aveva affrontato l’emergente questione del tempo libero, e il gruppo dei curatori che era composto da sociologi, progettisti scenografi, da Umberto Eco a Vittorio Gregotti, da Luciano Damiani a Livio Castiglioni, guardava al tema con accenti critici e riflessivi, forieri di analoghi approcci contestatari e problematici che condurranno qualche anno dopo all’occupazione della successiva Triennale del Grande Numero. Era una nuova generazione di artisti, architetti e intellettuali che si affacciava sulla scena milanese e nazionale. 

Serata di inaugurazione del Centro Fly Casa

Proprio a una di loro, la giovane Gae Aulenti – che già con un suo evocativo allestimento ispirato alle bagneuses picassiane aveva chiuso la Triennale del Tempo Libero – è affidata l’art direction del Centro Fly. «Erano anni clamorosi», conferma oggi, «per i rapporti e gli scambi che si instauravano fra le discipline; l’energia, come si direbbe ora, era applicata a tutti i settori; erano anni tesi al futuro, allegri rispetto ai momenti terribili che sarebbero arrivati nei ’70». Sulla scelta dell’evento inaugurale scriveva su “Domus” pochi mesi dopo: «Mi parve appropriato che l’apertura del primo grande magazzino per l’arredamento a Milano dovesse aver luogo su tutti i piani con le scale mobili, in funzione di notte, con un gran ballo, un happening, con una dose insomma mista di gioia e imprevedibilità». In quegli anni stava cominciando la sua carriera di progettista, con interventi soprattutto nel campo dell’allestimento e del design, ispirati a un linguaggio moderno, colorato e provocatorio; dai negozi Olivetti in giro per il mondo, coi loro accesi cromatismi, alle ricerche sugli apparecchi illuminanti, per Martinelli (come il “classico” Pipistrello) e per Fontana Arte, o sugli arredi, per Poltronova e Zanotta. 

Per il Centro Fly, che rinnova lo spazio espositivo dell’azienda omonima di cucine all’americana e accessori dei primi anni 50, Aulenti allestisce circa duemila metri quadrati su tre piani, collegati da scale mobili color arancio. Eliminando le pareti verticali, ottiene uno spazio aperto e fluido, dove gli oggetti sono disposti su articolate pedane di varie altezze rivestite in moquette nocciola, mentre alte fioriere in metallo, sempre arancioni, fungono da elemento conduttore. Sugli estesi e piatti soffitti si alternano zone luminose, opache e a specchio, mentre sulle pareti perimetrali motivi geometrici rigati e chiazzati bianchi e neri, tratti dalle contemporanee ricerche optical, ritmano, dinamizzano, disorientano l’atmosfera. L’intervento visuale è progettato dal gruppo Unimark (Massimo Vignelli, Bob Noorda, Salvatore Gregorietti), che su analoghi segni grafici bicolor basa anche il marchio e l’immagine coordinata, dalla carta da imballaggio ai cuscini – disegnati da Ornella Noorda e Anna Fasolis – che ci si può liberamente portare appresso nel negozio componendo a terra “zebre e giaguari”. Si deforma addosso invece il motivo a scacchi degli abiti e delle calze delle commesse, abbinati a tunica e scarpe nere, disegnati da Mariuccia Mandelli. In più, sono in vendita multipli d’artista, firmati e numerati da uno a trenta, tra cui due Cronotopi di Nanda Vigo, i cilindri di Lucio Fontana, una scultura metallica di Luciano Fabro, oggetti cinetici di Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi e pezzi a colori di Pietro Bolla, Lorenzo Griotti e Sergio Anelli. 

Insomma, architetti, grafici, stilisti, artisti tra i più importanti del momento e della storia italiana, per allestire un grande magazzino a ingresso libero, che vende mobili e complementi d’arredo a prezzi per tutte le tasche. Innanzitutto i migliori pezzi della produzione italiana, dalla leggera ed economica sedia pieghevole Black and White della Aulenti dall’imballo limitato, da portare via subito (disegnata per il Centro, poi prodotta da Zanotta) alle lampade in metallo e alabastro di Umberto Riva; ma anche le sedie di Gregotti-Meneghetti-Stoppino (prodotte da Sim), bronzi e ceramiche di Angelo Mangiarotti e pezzi di Achillee Pier Giacomo Castiglioni, come il tavolino Cacciavite o la seduta Allunaggio (Zanotta). Proprio ai due fratelli è dedicata nel marzo 1966 la seconda (e ultima) mostra organizzata dal Centro, preceduta da quella inaugurale su Ettore Sottsass jr. Vi erano esposti anche mobili provenienti da altre parti del mondo: «Sceglievo», commenta la Aulenti, «divani statunitensi, lampade norvegesi o tavolini giapponesi e i proprietari si fidavano». 

Ci sono dunque sgabelli di Alvar Aalto a fianco della prestigiosa sedia di Richard Riemerschmid del 1899 e vasti divani mammouth dagli enormi braccioli-materasso. Un reparto è dedicato agli arredi per bambini: le pareti sono dipinte da Enzo Mari ispirandosi a un “bosco”, gli arredi sono mobili finlandesi e la serie Junior di Casaluci progettata da Mangiarotti. «Il ballo è stato il simbolo del piacere di ritrovarsi, conoscersi, stare assieme, vestirsi-travestirsi, caratteristico di quel momento a Milano, e questo antesignano del megastore permetteva di scegliere cose che potevano far distinguere le case dei giovani, di abbandonare per sempre i mobili in stile dei padri», afferma Giulia Borgese, che ha collaborato a una mostra fotografica dedicata all’evento dallo spazio Azibul di Milano, nel 2004. Un modo nuovo e avanzato di intendere il design, la distribuzione e la vendita dell’arredo. Ma tutto troppo presto: qualche anno dopo il Centro Fly chiude, avendo però lanciato il segnale importante di una differente maniera di immaginare la casa, l’abitare e il vivere. I tempi stavano cambiando.  

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