DiegoMaradona, morto a 60 anni il 25 novembre 2020, non è soltanto un calciatore, e nemmeno appena uno dei santini del pantheon laico dell'Argentina contemporanea.
Lui, che non aveva bisogno di allenarsi perché, come diceva uno dei suoi allenatori, “hai mai visto un gatto allenarsi?”, lui che faceva baldoria fino al mattino e poi scendeva in campo e segnava. Come scriveva il grande Eduardo Galeano: “Era stato prigioniero della cocaina, ma si drogava nelle feste tristi, per dimenticare o essere dimenticato, quando già era assediato dalla gloria e non poteva vivere senza quella fama che non lo lasciava vivere. Giocava meglio di chiunque altro malgrado la cocaina, e non grazie a lei”.
Lo street artist Jorit, che gli ha dedicato un ritratto a Napoli, gli aveva fatto gli auguri per i 60 anni, dicendosi certo che se Diego avesse visitato i quartieri più poveri della città come San Giovanni a Teduccio avrebbe detto agli abitanti che “non sono secondi a nessuno”.
Ed è proprio questo struggente ritratto di un uomo profondamente triste che emerge anche dal documentario “Diego Maradona” di Asif Kapadia, disponibile su Netflix, incentrato sugli anni passati al Napoli. Nel luglio del 1984 il Napoli, che non ha mai vinto uno scudetto, acquista dal Barcellona la più grande star del calcio mondiale, Diego Armando Maradona. I sette anni che seguono sono un'alternanza di vittorie, di feste e di eccessi, tra cui contatti pericolosi con i camorristi. Per realizzare il film il regista ha utilizzato oltre 500 ore di girato messo a disposizione dalla famiglia Maradona. Ci sono immagini incredibili della Napoli degli anni 80, che ci ricordano la figura tragica di Diego ma anche la nostra recentissima storia di italiani.