La lettera di Cate Blanchett per Vogue Hope
Mi auguro che possiamo trovare un modo per vivere insieme.
È molto semplice arrabbiarsi quando si sa
Ho riflettuto molto sulla rabbia. Su quel tipo di rabbia e frustrazione che in è in grado di impossessarti di te quando - per esempio - sei in quella sorta di bolla che è la tua auto, dove puoi sfogarti, lamentarti e sentirti nel Giusto, indipendentemente dalla realtà o dalle complicazioni richieste dall'ascolto di altre persone, di altre opinioni e di altra rabbia. E mi sono chiesta se anche Internet a volte non finisca per essere la stessa cosa: una sorta di luogo simile alla bolla della tua auto, un non-spazio che ha permesso a tutti noi di calarci sempre più in profondità all’interno della nostra rabbia e delle nostre frustrazioni private. Dove tutte le nostre soluzioni amatoriali – ammettiamolo! – ai problemi del mondo sembrano avere perfettamente senso. Un senso non censurato e catarticamente non vagliato da nessuno. Un luogo in cui qualunque cosa dici va bene. Un rifugio per gli atteggiamenti da ‘uomo autoritario’ e per chi ha l’abitudine ad atteggiarsi tale.
© © UNHCR / Hector Perez
Mi auguro che possiamo uscire da questa bolla, vederci nuovamente a tu per tu e re-imparare a vivere insieme. Mi auguro che possiamo ricordarci non solo di come si fa a parlare, a dialogare l’uno con l’altro, ma anche ad ascoltarci a vicenda.
Perché quando penso ai quei momenti in cui mi sento profondamente convinta della mia rettitudine, devo ricordami delle difficoltà dei rifugiati del mondo – persone sradicate da casa e dal proprio ambiente a causa di catastrofi come carestie, guerre e persecuzioni. Catastrofi che spesso sono state causate dal capriccio, l’istinto o la rabbia di un ‘uomo autoritario’ o di uno Stato belligerante. Cattive idee che hanno portato migliaia di giovani uomini a uccidere e a saccheggiare dopo essere stati rassicurati che la follia e il caos che avevano scatenato aveva l'obiettivo di rendere il mondo un luogo migliore.
E solo quando quegli uomini autoritari sono svaniti, portando con sé le promesse, le vanaglorie e l’atteggiamento di chi pensa di avere sempre la verità e la soluzione giusta, quei rifugiati, che avevano vagato alla ricerca di pace e protezione, sono finalmente potuti tornare a casa o hanno potuto mettere radici in un luogo nuovo, con una nuova famiglia, una nuova casa e una nuova comunità di riferimento. E per un certo periodo hanno potuto vivere senza rabbia e senza le risposte precostituite da chi sostiene di sapere sempre quale sia la soluzione migliore.
Il motivo per cui mi soffermo a lungo sui rifugiati della storia è perché quando si è esiliati e disperati, alla mercé di forze al di sopra del proprio controllo, l’unica cosa che abbiamo siamo noi e i nostri simili. Per il bene dei miei quattro figli, devo sperare che possiamo trovare il modo di aggregarci e diventare un’unità perché non ci possono essere sette miliardi di ‘numeri uno’.
© © UNHCR / Hector Perez
Una volta, durante uno dei miei viaggi in qualità di Goodwill Ambassador per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ho incontrato un giovane di nome Shadi in un campo per rifugiati in Giordania. Shadi aveva piantato un albero nell’implacabile terra del deserto e lo innaffiava ogni giorno. Lo aveva piantato in modo che diventasse grande e forte affinché sua figlia potesse godere della sua presenza per gli anni a venire, ma lo innaffiava in modo che ogni giorno lui stesso potesse confermare e fare esperienza della sua umanità e del suo agire, e del suo sperare a dispetto della sofferenza e del caos.
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Condivido la speranza di Shadi – e sottolineo la speranza non un ottimismo alla Pollyanna - perché non importa quanto una situazione possa apparire senza speranza, la risposta è reagire con realismo, accogliere le sfide che indubbiamente esistono, accettare e poi affrontare l’entità della cosa. Attualmente, ci sono quasi 80 milioni di profughi, ovvero persone costrette a lasciare le loro case a causa di conflitti, violenza, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Possiamo aiutarli agendo in unità, ascoltandoci e trovando soluzioni collettive. Facendo scoppiare quella “bolla da automobile” e liberandoci della rabbia e delle risposte di coloro che pensano di sapere sempre cosa sia meglio.
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Per maggiori informazioni sul lavoro dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e su come supportarlo visitare il sito dell’UNHCR