Se c’è una figura divisiva che ha dominato il dibattito sociale e politico degli ultimi anni, è quella dell’immigrato. Lo sa bene Elena Favilli, creatrice
Nel libro lei ringrazia chi emigra poiché arricchisce con la propria cultura le nostre comunità, e insegna a perseguire i sogni oltre i confini. Non rischia di essere una visione un po’ idealizzante? Molti credono che gli immigrati portino soprattutto problemi sociali e instabilità.
Prima di tutto, proporre una narrazione sull’immigrazione di segno diverso rispetto a quella dominante ha un valore di per sé. Inoltre, la narrazione non è mai solo idealizzante se ancorata alla realtà dei fatti. Quelli che racconto in questo libro sono esempi molto concreti di donne che hanno arricchito il Paese in cui sono emigrate, grazie al loro talento e al loro lavoro. Questo non equivale a dire che l’immigrazione è una passeggiata, è ovvio che resta un fenomeno con molti aspetti problematici, ma serve a smontare l’equivalenza tra immigrati e violenza che il populismo di certa politica ha fatto attecchire negli ultimi anni. Le storie hanno il potere di mutare il modo in cui si guardano le cose. E quindi cambiare il mondo.
Quali sono le “ribelli” che più simboleggiano l’idea di giving back?
Lupe Gonzalo, arrivata negli Stati Uniti dal Guatemala per raccogliere frutta e verdura nei campi della Florida, dove ha subito maltrattamenti: il suo attivismo ha dato vita al Fair Food Program, che impone ai negozi di alimentari e ai ristoranti di acquistare solo da aziende agricole che pagano gli operai in modo equo e offrono condizioni di lavoro sicure. Poi Joséphine Baker, ballerina e cantante emigrata in Francia, che durante la Seconda guerra mondiale trasmetteva messaggi segreti alla Resistenza scrivendoli con l’inchiostro invisibile sui suoi spartiti musicali. O anche Zainab Salbi, attivista irachena che, dopo essere emigrata negli Stati Uniti e sfuggita a un matrimonio violento, fonda la Women for Women International per aiutare le sopravvissute di guerra a rifarsi una vita.
Queste storie piacciono ad adulti e bambini: a che lettore pensa, quando le scrive?
Penso soprattutto ai bambini: sono sempre molto curiosi di sapere che cosa fanno gli adulti nelle loro vite, perché in cerca di punti di riferimento, di modelli.
Lei stessa, dopo l’università, è andata a vivere inCalifornia: chi sente di dover ringraziare per questa scelta e per il fenomenoRebel Girlsche ne è scaturito?
Mia mamma. Non ha mai avuto alcun dubbio che ce l’avrei fatta, neanche nei momenti più difficili. Tanto amore e fiducia incondizionata danno una forza incredibile.
Il libro propone anche un “ringraziamento” pratico: #futurosenzaconfini è l’iniziativa supportata dalle Bambine Ribelli che consentirà aSave the Childrendi acquistare materiali scolastici per l’infanzia siriana rifugiata nel campo Za’atari in Giordania. Come è nata l'idea?
Giovanni Fontana, fondatore di una onlus che lavora in un campo profughi nel Nord della Grecia, mi scrisse su Facebook dicendomi che spesso leggevano le mie storie ai loro piccoli ospiti. Da allora iniziai a pensare che questi libri potessero avere un potere speciale per i bambini rifugiati e ora, grazie alla collaborazione con Save the Children in Italia e a quella con International Rescue Committee negli Stati Uniti, sono riuscita ad amplificare questo potere.
In apertura: Josephine Baker in un’illustrazione di Tyla Mason tratta da “Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 donne migranti che hanno cambiato il mondo” (Mondadori).
In arrivo questo mese anche il gioco da tavolo “Sogni per bambine ribelli”, ispirato al best-seller mondiale.
Da Vogue Italia, n. 843, dicembre 2020
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