Ho passato il primo anno di matrimonio in lockdown: ecco com’è andata

Il giorno successivo al mio matrimonio a gennaio 2020, mi sono svegliata alle 6 del mattino con la faccia dolente, sono andata barcollando allo specchio

del bagno e mi sono vista davanti la Sposadi Chucky che mi guardava. Gli occhi stavano diventando neri molto in fretta e avevo una guancia viola e gialla grande il doppio dell’altra. Ero inciampata a un gradino nella stanza dell’hotel nel cuore della notte, battendo la faccia contro l’enorme telaio in mogano del letto.

Mentre andavo al Pronto soccorso, il mio neo marito andava all’aeroporto a prendere l’aereo per un viaggio di lavoro a cui non poteva sottrarsi. Non eravamo sposini felici; anzi, il danno al nervo facciale ha fatto sì che recuperassi il sorriso solo dopo quattro mesi, momento in cui c’era ben poco da sorridere. Eravamo al primo picco dei contagi, mio padre era gravemente malato di coronavirus e io mi sentivo più lontana di quanto avrei creduto possibile da mio marito, che era diventato l’unica persona con cui interagivo durante il lockdown.

Novelli sposi durante una pandemia 

Non avevo mai capito perché si dicesse che il primo anno di matrimonio è il più difficile. A parer mio dovrebbe essere il più semplice perché ci si ama abbastanza da superare l’incubo finanziario e psicologico di organizzare un matrimonio – e si è anche i nuovi orgogliosi possessori di nove lampade di John Lewis.

Come chiunque abbia una relazione a lungo termine potrà confermare, il 2020 è stato un anno travagliato. Il mistero e l’eccitazione sono spariti, sostituiti da metodologie radicalmente incompatibili di lavare i piatti e da domande (le mie) tipo: “Fai apposta a respirare così?” e “Hai pensato a me mentre finivi il latte stamattina?” L’etichetta ‘novelli sposi’ sembrava solo aumentare il senso di claustrofobia e d’ineluttabilità – respirerà in questo modo per sempre. Faremo questa vita per sempre.

Oltre alle piccole e grandi seccature arrecate dal passare 24 ore al giorno con mio marito in uno spazio ristretto, i grossi fattori di stress come lo smarrimento e l’incertezza non facevano emergere il meglio di noi né come persone né come coppia. Vedevo il nostro matrimonio come una pentola sul fornello. Ognuno metteva i suoi ingredienti nella pentola e la combinazione dei diversi ingredienti rende saporita la pietanza.

Durante il primo lockdown, mi sono accorta che avevo smesso di mettere nella pentola quello che mettevo di solito, e lo stesso mio marito, ma nonostante ciò entrambi ci aspettavamo che la pietanza avesse lo stesso sapore. Prima del Covid, rincasavamo entrambi dal lavoro o dopo aver visto gli amici e ci raccontavamo ognuno la sua giornata, le cose divertenti che avevano detto i colleghi, riflettendo su quella che ora mi rendo conto essere l’esperienza incredibilmente stimolante di vivere in una grande città piena di vita interagendo con decine di persone ogni giorno.

Mio marito organizzava sempre cose divertenti da fare insieme – gite, festival, cene e quella novità pre-Covid che era la passeggiata al parco. Mi mancavano quei programmi, erano un’occasione di svago per la nostra relazione. Quando gli ho chiesto in cosa gli sembravo cambiata, ha risposto che di solito mettevo tanta energia nella relazione e che lo coinvolgevo in lunghe conversazioni con tante domande, mentre durante il lockdown ero diventata silenziosa e fredda. Sembrava che entrambi avessimo perso le parti di noi che davano gioia all’altro.

Creare dei meccanismi di difesa 

Invece di programmare attività ormai impossibili da fare insieme, mio marito si è seppellito nel lavoro, tenendosi occupato con cose da fare e liste della spesa, e ha assunto un approccio molto razionale, serie ‘keep calm and carry on, rassicurandomi che mio padre se la sarebbe cavata e che sarebbe andato tutto bene. Aveva ragione, ma quel ripetere ‘andrà tutto bene’ ha cominciato a darmi ai nervi perché mi sembrava falso e lontano dalla realtà. Mi sentivo persa e in ansia, e volevo solo abbandonarmi a quelle sensazioni – senza cercare una soluzione al problema.

La psicoterapeuta Esther Perel, specializzata nelle relazioni di coppia, evidenzia proprio questo problema nel suo workshop online in quattro parti intitolato Come trasformare le differenze in risorse durante il coronavirus. “Alcuni possono manifestare il bisogno di creare ordine, di cominciare a organizzare le cose perché hanno l’impressione che l’ordine esterno porterà ordine interiore,” dice. “La sensazione di ordine che ricavano agendo in questo modo è per loro una sorta di baluardo contro il caos, contro la sensazione d’impotenza e la perdita di controllo. […] Il partner invece preferisce magari concentrarsi sui suoi sentimenti e sulla loro espressione, e può capitare che si chieda: “Come si può provare a fare ordine quando il mondo sta cadendo a pezzi?”

Quello di cui non mi sono accorta era che il programmare, l’organizzare e l’ostinato pensare positivo di mio marito erano un meccanismo di difesa proprio come lo erano il fatto di preoccuparmi e il mio bisogno di parlare dei miei sentimenti. “Anche se le strategie di difesa possono essere diverse,” continua Perel, “i sentimenti alla base – la tristezza, lo stress, lo smarrimento, l’impotenza – non sono diversi.” I nostri sentimenti erano più simili di quanto mi fossi resa conto – lui non era un “robot privo di emozioni” (uno dei miei insulti all’epoca), aveva solo un meccanismo di difesa diverso dal mio. E sia lodato il cielo, perché il pensiero di essere costretta a convivere con una persona come me – una catastrofista molto apprensiva – durante la pandemia mi avrebbe sicuramente mandato fuori di testa.

Prima di sposarmi, scherzavo sul fatto che la peggior qualità del mio fidanzato fosse il suo profondo gusto della vita e il suo approccio carpe diem al quotidiano. Mi faceva tenerezza ma fondamentalmente lo trovavo ingenuo, e dentro di me lo spiegavo con una complicata teoria del privilegio del maschio bianco. Quest’anno mi ha fatto capire che si tratta invece di un atteggiamento che sceglie consapevolmente di assumere e che è una strada molto più difficile da percorrere – una competenza di vita che ho finito per ammirare molto.

Come abbiamo imparato ad ascoltare

Una cosa che sono felice di aver perso nel mio matrimonio a causa della pandemia è l’ego. In lockdown non hai più l’armatura, non hai nulla dietro cui nasconderti – non torni più a casa vantandoti, seppur con umiltà, delle tue imprese al lavoro o di quanto sono stati divertenti i tuoi amici a cena. Mi sono accorta che prima del Covid il mio ego era in prima linea – il desiderio di fare colpo. Vivendo in tuta da marzo, senza trucco e con le sopracciglia come quelle di Helga, i miei argomenti di conversazione si riducono all’analisi dei punti di forza e delle debolezze tecniche e creative dei concorrenti di The Great British Bake Off. Non avendo molto da dire su di me, ho imparato ad ascoltare con più attenzione, a considerare i suoi sentimenti – che sono meno definibili dei miei ma non meno importanti.

A quanti anni corrisponde un anno di un cane? Durante il lockdown, quelli sono gli anni da cui ci è sembrato di essere sposati. Abbiamo condensato almeno cinque anni di liti, riconciliazioni, accordi e compromessi nel 2020. Ora che il nostro primo anno di matrimonio sta per finire, mi piacerebbe fare un brindisi a tutte le coppie che ce l’hanno fatta. Alla cosa peggiore che ci siamo detti, alle cose persino peggiori che abbiamo pensato l’uno dell’altra, e a vederci come siamo davvero, senza spocchia. Un matrimonio costoso non ti convince d’aver fatto la scelta giusta, ma una pandemia sì. Stiamo chiudendo l’anno più vicini di quanto credevo possibile e con la consapevolezza di essere una coppia in grado di superare qualsiasi ostacolo.

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