Zio Frank: la recensione di Vogue
I vampiri di True Blood e i becchini di Six Feet Under hanno in comune la penna delicata di
La trama
Frank (Paul Bettany, che vedremo il 15 gennaio nella serie Disney+ WandaVision) lavora a New York come professore universitario di lettere. Dalla mente arguta e dai modi gentili, è considerato una sorta di pecora nera dalla famiglia che vive in un paesino, Creekville, nella Carolina del Sud, dalle vedute piuttosto tradizionaliste e ristrette. È il 1973 e l’omosessualità viene punita dalla legge, quindi l’uomo non ha mai fatto coming out con nessuno. Quando però la nipote Beth (Sofia Lillis) inizia a frequentare l’ateneo la verità viene a galla piuttosto rapidamente, così come la presenza del suo partner da oltre dieci anni, Wally (Peter Macdissi). I due si ritrovano a fare un road trip insieme quando il padre di Frank muore all’improvviso e devono tornare a casa per partecipare al funerale, sconvolgendo ogni precario equilibrio domestico.
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Paul Bettany è lo "zio Frank" in Uncle Frank di Alan Ball
© Brownie Harris/Amazon Studios
Poesia in movimento
Questo viaggio tra i pregiudizi e lediscriminazionidell’America in un passato prossimo riecheggia ancora più forte oggi, un tempo in cui l’odio, soprattutto nella provincia più chiusa, non è stato ancora sradicato. Senza retorica e buonismi, Frank torna a chiudere (o ad aprire?) un capitolo dolorosissimo della sua storia personale verso la scoperta e l’accettazione di sé. Ritrovarsi faccia a faccia con gli errori, i segreti e i rimpianti rischia davvero di far crollare il protagonista, tutt’altro che perfetto e quindi deliziosamente preso sotto l’ala protettiva dello spettatore.
Le emozioni, le menzogne - le (dure) verità – e i sentimenti vengono raccontati con tale onestà e poesia da togliere il fiato. La società impone una pressione tale da logorare, sbriciolare e annientare gli animi e ridurre così gli essere umani in “sopravvissuti”. Questo film invece si oppone, pur senza scendere in piazza con dimostrazioni sui diritti civili o atti rivoluzionari: la vera trasgressione resta la normalizzazione dei diritti civili.
Frank e Wally (Peter Macdissi) in un frame del film
© Brownie Harris/Amazon Studios
Cuori a pezzi
“Ho sempre saputo di essere diverso, fin da piccolo”, confessa Frank, “pensavo non ci fosse nessuno come me”. Basta una semplice frase per capire perché quest’uomo, all’epoca solo un adolescente spaventato, ha deciso di non voler far parte di una famiglia che lo mettesse in un angolo. In parte si è trattata di una reazione, più che di una scelta, per tutelare la propria libertà e identità, ma sembra arrivato il momento della resa dei conti. Ecco, allora, che Alan Ball entra in punta di piedi in questi conflitti, interiori e sociali, fino a scardinarne ogni dinamica, per poi ricostruirli dalla base o distruggerli totalmente. Sia nelle scene più surreali che in quelle di maggiore intimità lascia un retrogusto agrodolce, un sapore di spiazzante onestà con cui fare i conti dopo i titoli di coda.
Beth (Sofia Lillis)
© Brownie Harris/Amazon Studios