Camila Falquez mi chiama su Zoom dopo che Biden viene dato, in base alle proiezioni, come 46esimo presidente degli Stati Uniti. Anche se forse lei
«Mi sento grata per tante, tante cose», esordisce. «Profondamente, per quello che sono e che sto diventando. In un certo senso», aggiunge, «lo devo anche alle persone queer che ritraggo e che non si riconoscono in nessuna etichetta. Quello che faccio e il modo in cui lo faccio, essere la donna che sono, lo sento come una grande responsabilità in questo momento. Devo rendere onore alle donne venute prima di me e a quelle che verranno dopo di me. Ho questa sensazione: se mi trovo qui è per sistemare qualche porcata che ha bisogno di essere rimessa a posto, nella Storia», dice mentre la sua risata contagiosa riempie la stanza.
Gli scatti – che includono persone queer, trans e non-bianche (un segmento demografico emarginato da Trump e, in senso più ampio, dalla Storia) – li ha realizzati il giorno delle elezioni americane. Non potendo mettere la scheda nell’urna, in quanto cittadina straniera, Falquez ha sfruttato quel momento esplosivo, in cui il futuro si apriva a possibilità contrastanti, per far sentire la propria voce con il mezzo che conosce meglio: la fotografia. Il suo metodo e il suo punto di vista sono il risultato di un duro lavoro e di una prolungata riflessione. «È un sacco di tempo che lavoro per arrivare a questa sintesi visiva, e spero che continui a evolversi», spiega.
«Sono una colombiana di Barcellona, e questo significa che sono cresciuta con una storia dell’arte in cui si parla di un solo argomento: il potere gestito da maschi cisessuali bianchi. So che nell’arte e nelle descrizioni della bellezza non avrei visto rappresentato null’altro», prosegue. «Andando al Louvre, alla National Gallery o al Prado, di fronte ai dipinti sembra di sentir dire: “La bellezza è questa”. E noi la ammiriamo. Ma di fatto quella bellezza è un inganno: quando ci insegnano cosa è, in realtà ci stanno indicando cosa dovrebbe rimanere al potere. E se guardate chi è rappresentato nei dipinti, sono le stesse persone che il potere lo detengono ancora». L’opera di Falquez può essere definita come una specie di magia empatica, un rituale mimetico che dona forza, in cui lei mette in scena i soggetti – spesso emarginati dal potere – utilizzando le composizioni e i motivi formali tradizionalmente riservati ai potenti.
«Cerco di conferire loro quel senso del potere con un linguaggio visivo che, secondo quanto ci è stato insegnato, può essere usato solo da certe persone, e di inserirli così nel concetto dominante di bellezza. Poi, magari con un po’ di fortuna, riusciremo a introdurli nelle discussioni sul potere e sulla dignità. Spero che molto presto, per comprendere il potere, potremo esprimerci con i nostri codici, non con quelli dei bianchi».
E continua: «I queer, i neri, i non binari esistono da sempre, solo che non sono stati rappresentati nella storia della bellezza così come la conosciamo». Pertanto Falquez, non inventa la bellezza di chi ritrae: la mette semplicemente in risalto. «È questa la mia ricerca. Collocandoli in una posizione di regalità, tento di capire quale sarà l’effetto sulle persone. Quando mi domandano come sia arrivata a scegliere i miei soggetti, la risposta è che vedo la loro bellezza. Non perché siano queer, ma la vedo in sé e ne sono attratta». Una bellezza latente, come l’inchiostro invisibile, resa riconoscibile dalla posa e dal piedistallo, dalle lenti e dal flash, dai panneggi della seta e del cotone. E se è vero che il tempo e la cattiveria non riescono a ridurre in polvere certe conquiste, è altrettanto giusto che i soggetti di Falquez indossino i look della collezione Gucci Epilogue, in cui viene riconfigurato un certo mondo onirico del marchio negli anni Settanta: gli anni d’oro, come Alessandro Michele li definisce, nei quali ha spesso trovato ispirazione e di cui parla come «il momento di più grande liberazione», quando sono stati piantati «i veri semi del cambiamento». L’amore è uno sguardo rivolto all’indietro; è riconsiderare con occhi nuovi il punto in cui eravamo e come eravamo. Amare è ricordare. Rendere nuovo. Questa bellezza che non si fonda solo, o prevalentemente, sulle umiliazioni che ci sono state inflitte né su ciò che abbiamo perduto, ma sulla gratitudine per tutto quel che sappiamo, possediamo e saremo. È il dono del mondo a venire.
Le chiedo cosa spera di pensare in futuro, guardandosi indietro. «Accidenti, è stato quello il momento in cui abbiamo piantato i semi che hanno portato al cambiamento! E fra 30 anni spero i miei figli diranno: “Mamma, ma non è stata tutta ’sta rivoluzione! Adesso tutti sono queer e possono far sentire la propria voce!”. Ecco, vorrei che non gli sembrasse una cosa tanto eccezionale. Piuttosto, la normalità».
Scoprite la collezioneGucci Epilogue
Crediti moda
Styling Malaika Crawford
Set design Mat Cullen
Hair Evanie Frausto
Make-up Stevie Hunyh
Manicure Nails by Mei
Tutti gli abiti sono della collezione Gucci Epilogue
*Otamere Guobadia scrive di tematiche quali il desiderio, la queerness, l’arte, la razza, l’amore e la pop culture. Ha pubblicato su i-D, Dazed, Vogue Uk. Attualmente sta lavorando al suo primo libro.
Da Vogue Italia, n. 843, dicembre 2020
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English Text
When Camila Falquez zooms me from New York, the day after Biden is projected to be the 46th President of the United States, she is admittedly nursing a hangover. For both of us, like many the world around, it had been an evening spent celebrating. While she is perhaps not basking in the glow of Biden's victory (many questions hang over the progressiveness of his future administration) we indulged for a brief moment, in the collective sigh of relief at Trump's defeat. We agree that there is much more to do. Not liberation, but a return to civility; not the end of all oppression, but a stay of execution. A chance, a narrow window, to repair our broken world.
"I'm grateful for many, many, many things," she begins. "I am extremely grateful for the person I am [and] the person I'm becoming...I kind of owe it to my queer folks too," she adds. "I think I have a responsibility of doing what I do and how I do it, of being a woman of the type I am—it's a really big responsibility right now. [Honouring] the women before me, and [for] the women [coming after] me. I feel that I'm this part in history that needs to fix some shit, you know?" she says, her contagious laugh filling our rooms.
Falquez shot her subjects—a gorgeous spectrum of queer and trans people and people of colour (and a demographic frequently marginalised by Trump's term and history more broadly)—on US election day. As a foreign citizen, she could not participate at the ballot box, but she used this charged moment, bursting with potential and divergent futures, to make her voice heard in the way she knows best: her photography.
Falquez's process and perspective is the result of many years of hard work and reflection.
"I have been working on arriving at this visual conclusion for a long time and I hope it continues to evolve" she begins to explain. "I am a Colombian, [who] grew up in Barcelona, and that means that I grew up with art history that only spoke about one thing: that history of the white power and [cis] male driven power, and that was what I would see represented in art and in the descriptions of beauty," she elaborates. "So when you go to the Louvre, to the National Gallery or El Prado, you would see these paintings, and they were like, 'this is beauty," and we admire it, [but] essentially beauty is a trick: what we've been taught beauty 'is' is actually what they're telling us should be maintained in power. And if you look at who is in those [old] paintings, it's still the same people in power."
Falquez’ work can be understood as a kind of sympathetic magic. An empowering, imitative ritual in which she stages her subjects—often sidelined by the powerful—in the very modes of power, using the frames and motifs often reserved for them. "I'm trying to give them that sense of power through that visual language that we've been taught that only certain people have...to include them in the [mainstream] narrative of beauty, and then with some luck, we will be able to include them in their conversations of power and dignity. I'm hoping very soon we don’t have to use the white codes to understand power, and can express our own."
"These people have existed in our history," she says. "[Minorities], queer people, black people, non-binary people, have existed since forever, they just haven't [largely] been portrayed in this history of beauty." Falquez does not claim to invent her subject’s beauty. She foregrounds it. "That's my quest," she states. "I'm trying to see if you place them in a position of regalness and power, what effect does that have on people?" she asks. "I only want my work to be about beauty, and when you ask me how I arrived at my subjects, it is because I see their beauty," she explains. Not because they're queer [or minorities], I just see and I'm really drawn to their beauty." A latent beauty, like invisible ink, made visible by pose and pedestal, by the glass and flash of her lens, by the drapings of cotton and silk.
Her photographs, by design, simply help the world recognise and remember their power. There are some things that time and malice cannot grind to dust. It is fitting that subjects were dressed in looks from Gucci's Epilogue, a collection that revisits and reconfigures aspects of Gucci's 70's dreamscape: the Alessandro Michele proclaimed halcyon days, where he so often finds inspiration. He speaks of that time as "the period of greatest liberation" which sowed "seeds of change." Love is a backwards glance; it is to appraise with fresh eyes, where and what we have been. To love is to remember. To seek out. To make new. It is a beauty not founded solely or even primarily in what indignities we have suffered and what we have lost, but in a shining gratitude for all we know and have and shall be. The gift of the world to come.
I ask Falquez what she hopes to feel when she revisits these photographs—this era of her work—in the years to come: "I'm just hoping when I look back at it, it's like "Wow, that was a moment", [that] we all planted the seeds that actually created change. I just hope in 30 years, my kids are like: 'it wasn't that revolutionary mami!'" she laughs. "Everyone's queer now and everyone can speak up now! I hope they feel like it wasn't that great, because it will be normal for them."
Discover theGucci Epilogue Collection
Vogue Italia, n. 843, December 2020