Che cosa ci ha insegnato il Covid sulla gestione della crisi climatica

Quando all’inizio dell’anno nei paesi di tutto il mondo ha avuto inizio il lockdown forzato a causa del Covid, la natura è ritornata nelle nostre

città – dai delfini avvistati nei porti sardi alle capre che hanno conquistato la cittadina gallese di Llandudno. Città come Dheli hanno potuto ammirare cieli azzurri grazie all’abbassamento dei livelli di inquinamento atmosferico, mentre le emissioni di CO2 sono calate del 17% ad aprile a livello globale.

“Ci ha dato un’idea di come potrebbe essere, se riuscissimo ad affrontare il problema delle emissioni,” racconta a Vogue Corinne Le Quéré, professoressa di scienze dei cambiamenti climatici presso la East Anglia University. “È stato un messaggio positivo in un periodo in cui ce n’era estremo bisogno.”

Il 2020 era stato visto come un anno cruciale per la crisi climatica

Doveva essere un anno cruciale per risolvere la crisi climatica, con il quinto anniversario dell’Accordo di Parigi — l’impegno firmato da 195 nazioni per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e possibilmente sotto 1.5ºC — in corso proprio questo dicembre. Le nazioni avrebbero dovuto presentare i proprio impegni per la riduzione delle emissioni dei prossimi cinque anni, ma il rinvio di COP 26 — l’annuale conferenza delle nazioni unite – a causa del Covid-19 ha rimandato tutto.

Eppure, si sono verificati alcuni sviluppi importanti, compresa la dichiarazione del presidente-eletto Joe Biden, il quale ha affermato che gli Stati Uniti si riuniranno all'Accordo di Parigi nel 2021. Nel frattempo, l’Unione Europea ha proposto un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni pari al 55% entro il 2030, mentre la Cina si è impegnata a diventare a impatto zero entro il 2060. Il Giappone si è altresì impegnato a diventare un paese a emissioni zero entro il 2050, il Regno Unito ha rivelato il suo programma climatico in 10 punti, e la Nuova Zelanda ha ufficialmente dichiarato l'emergenza climatica.

Il ponte sulla baia di San Francisco, nell'aria il fumo arancione degli incendi che hanno devastato la California nel settembre 2020

© Getty Images

Dobbiamo trattare una crisi come tale

Quello che è chiaro, tuttavia, è che finora non abbiamo trattato l’emergenza climatica come tale. Il Covid-19 ha dimostrato con quanta velocità i governi riescano a intervenire quando c’è una crisi da affrontare – che si tratti di imporre un rigido lockdown o investire in nuovi vaccini per bloccare la diffusione del virus. “Il Covid ha dimostrato la capacità politica di risposta a una crisi rapida, forte e, per molti aspetti, senza precedenti”, chiosa Rhiana Gunn-Wright, direttrice alle politiche climatiche presso il Roosevelt Institute. “Il cambiamento climatico è un problema che riusciremo a tenere sotto controllo solo attraverso azioni decisive dei governi”.

Ora c’è un modello per il tipo di intervento necessario ad affrontare la crisi climatica. “Le persone hanno un’idea generale di cosa sia un’emergenza,” continua Gunn-Wright. “Spesso abbiamo pensato che il cambiamento climatico fosse qualcosa di lontano e per le persone è difficile concettualizzare la verifica di questi eventi quando non accadono dove vivi. Penso ci sia un parallelismo adesso.”

Ciononostante, per alcuni, gli effetti della crisi climatica sono già a un passo da casa – che si tratti degli incendi in California, dei tifoni nelle Filippine o dei cicloni in India e in Bangladesh, che stanno diventando sempre più frequenti a causa del riscaldamento globale. “Siamo arrivati a un punto in cui gli impatti dei cambiamenti climatici sono visibili a occhio nudo,” asserisce Le Quéré. “Siamo vicini a realizzare la gravità della situazione.”

Una donna chiusa in casa con il suo bambino in attesa del ciclone Amphan in Bangladesh, a maggio 2020

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La giustizia climatica è fondamentale

Questi disastri relativi al cambiamento climatico, che hanno avuto luogo durante la pandemia, hanno dimostrato altresì le sfide immense di chi ha a che fare contemporaneamente con diverse crisi, e spesso sono le persone di colore a pagarne lo scotto. “I più esposti alla crisi da Covid sono i lavoratori in prima linea, coloro che vivono in condizioni di povertà e le comunità cosiddette BIPOC (black, indigenous and people of color, ndr),” spiega Tasneem Essop, direttrice esecutiva del Climate Action Network. “Queste comunità sono più vulnerabili anche alla crisi climatica.”

Ecco perché è così importante battersi per la giustizia climatica e assicurare l’aiuto necessario a queste comunità, che sono più vulnerabili all’impatto da riscaldamento globale. “Bisogna assicurare un supporto finanziario adatto a costruire la resilienza di questi individui vulnerabili per combattere le crisi future, ecco l’insegnamento che dobbiamo trarre da questa situazione,” prosegue Essop.

L’importanza di una ripresa “green”

Ora che stiamo iniziando a emergere dalla pandemia è fondamentale non ritornare alla ‘vecchia normalità’, fatta di un’economia basata sui combustibili fossili. “Quando si parla di ripresa economica (o recovery), ci si focalizza sull’aumento dell’attività economica, indifferentemente dall’impatto delle emissioni”, sostiene Gunn-Wright. “Ciò è molto pericoloso, soprattutto adesso che abbiamo necessità di decarbonizzare rapidamente e ci troviamo alla soglia di un impatto climatico molto più sostenibile”.

Alexandria Ocasio-Cortez, nota anche come AOC, politica democratica americana durante una conferenza sul Green New Deal

© Bloomberg/Getty Images

Abbiamo l’ incredibile opportunità di sfruttare questo momento per riconsiderare le nostre azioni, con il Green New Deal — suggerito dalla deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey nel 2019 – ad esempio di ciò che si potrebbe conseguire. “Abbiamo bisogno di investimenti nelle infrastrutture verdi: energia rinnovabile, trasporti elettrici, elettrificare tutte le industrie già esistenti,” aggiunge Le Quéré. “Possiamo pensare in grande se realizziamo la portata d’azione necessaria.”

Come per il Covid-19, tutti noi possiamo fare la nostra parte nel far fronte alla crisi climatica, che si tratti di riesaminare le nostre abitudini di consumo o di fare pressioni sui governi e le grandi multinazionali attraverso proteste (online o di persona). “Possiamo tutti diventare cittadini attivi,” conclude Essop. “Informarsi è già un buon punto di partenza – ascoltiamo ciò che ci dicono gli scienziati e adottiamo le misure necessarie sulla base di quelle informazioni. Possiamo dare un grosso contributo all’impegno collettivo, sia all’interno della nostra comunità sia a livello globale.”

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