Katherine Langford si tocca spesso i capelli, ma è l’unico dettaglio che tradisce un po’ di nervosismo nel suo aplomb impeccabile da giovane diva in
Katherine Langford non è figlia d’arte, ma le sue ispirazioni artistiche hanno contagiato anche la sorella Josephine, sedici mesi più piccola di lei, oggi star di un altro teen cult, After (il secondo capitolo arriva in sala il 2 settembre).
Katherine Langford in collegamento streaming al Giffoni Film Festival 2020
© CarlaCelentano
Qual è il primo ricordo “da attrice”?
Avevo appena 4-5 anni e sentivo già il mio cuore diviso a metà tra due passioni, la musica e la recitazione. Le pratico da che ne ho memoria, ho sempre scritto poesie e canzoni, una vera e propria bambina creativa. Ma la città australiana dove sono cresciuta, Perth, non offriva grandi sbocchi cinematografici. Ci ho messo un po’ di tempo a capire che volevo trasformare questo amore in un mestiere. Ho fatto tre lavori insieme per pagare le lezioni alla scuola di recitazione ma a 17 anni, come tutte le adolescenti, mi sentivo già troppo vecchia, non volevo perdere tempo. Ovviamente non era vero, quindi mi sforzavo di credere che non fosse poi così impossibile realizzare il mio sogno. D’altronde se c’erano riuscite altre artiste australiane come Nicole Kidman,Margot Robbiee Cate Blanchett potevo decisamente provarci.
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Quale altre attrici guarda con ammirazione?
Ho sempre guardato con ammirazione a Kate Winslet, Carey Mulligan e Michelle Williams: la loro carriera mi dava speranza e forza.
Le nuove generazioni, invece, prendono lei a modello. Quali temi sociali le stanno a cuore tra quelli toccati nei suoi lavori?
Inevitabilmente ti resta addosso qualcosa di ogni personaggio che interpreti, ma sono convinta non siano solo puro intrattenimento, soprattutto quando parliamo di temi importanti come l’uguaglianza di genere e il femminismo.
Katherine Langford in Tredici
© Beth Dubber/Netflix
In Tredici si tocca il tema del suicidio minorile. Le era familiare?
Mi stava a cuore anche prima di girare la serie e sono sicura che continuerò ad occuparmene anche dopo. In “Tuo, Simon”, per esempio, si parla di coming out e per me lavorare con Greg Berlanti a un film di una casa di produzione importante è stata una svolta, ma soprattutto collaborare ad un progetto che è sì una commedia romantica ma con due giovani uomini protagonisti. Ogni set diventa un’esperienza e mi arricchisce.
La salute mentale è un argomento delicatissimo, cosa vorrebbe dire ai ragazzi che stanno lottando con la depressione?
Ogni battaglia è diversa e personale e io non sono certa un esperta del settore né un medico, ma mi piacerebbe dire loro che non sono soli e possono chiedere aiuto e sapere che c’è vita oltre questo dolore.
Se non fosse diventata un’artista che strada avrebbe intrapreso?
Avrei voluto aiutare le persone facendo il dottore come i miei genitori, oppure l’insegnante o la preside perché credo moltissimo nella scuola e nel valore dell’istruzione.
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